Flauto in Laguna

Flauto in Laguna VENEZIA, FESTA D'INVERNO Flauto in Laguna VENEZIA — Canale di Sant'Andrea, nostra stazione di frontiera: tra i garage raddoppiati dall'acqua, bloccati da una chiesa del Quattrocento. Partono prima di notte i pochi ospiti della domenica d'inverno: gli amici-esuli che capitano solo a quest'epoca, la morosa di campagna conciata da baraccone. Ancora una volta ci siamo visti, riconosciuti, toccati — la breve fila di anime che amiamo. Loro, via verso il continente, il mondo solido o quasi. Io ripasso a piedi il confine, torno a casa. Non un rumore sulle rive. Venezia — dicono gli specialisti — città del futuro: traffico ben suddiviso*; aggregazione «per insule», vita di quartiere... Sarà. Traffico, non ne vedo; isole, tra sgangherate e sprofondate; vita, non c'è un'anima in quartiere. O forse ce n'è una:, all'angolo del muro, la statua che aspetta. E ora oscilla — è la bora. Il vento cava la pelle, si ingolfa nelle strettoie, tenta l'imbocco del dedalo... Entrate o abbandonare? Tocco il muro tenero, friabile: l'imbocqo si apre, prende dentro. Sempre lei, la città sex-femelle di Apollinare e di chiunque la sfiori, con un po' d'attenzione, nella sera giusta. Sera «matta», come dicono qui, gelida e deserta: una qualunque domenica d'inverno, tra gennaio e febbraio. * * Un ristorante aperto — sì e no; senza un'insegna, un richiamo. Dentro, poco più d'un sottoscala; dominato da due isolane enormi, voce roca, mai ferme, mani da barca a remi. Tavoli di legno, vecchie credenze, foto di gruppo con bandiere delle regate: la vecchia osteria che credevamo sommersa. Nonostante il turismo, qualcosa re-' sta; per una ragione: che questa e una citta demente, seIcoricagli opcr«c«Ì''W)riH| I anc^a turistica ^ SOTSjfcftr/fc ' prio, logico-occidentale. Nelle sere più belle dell'anno è disimpegnata fino al coma, inospitale; turistica neanche per sogno. Il massimo della desolazione nelle feste più battute, fra Natale e Capodanno: non un battello, un'osteria, un caffè, un wc, un teatro, un cinema. Il risultato è la totale disponibilità, per giorni e notti, ' non' occorre prenotazione, d'un'intera città-fantasma — acqua e.pietre, tutto compre so. L'ultima al mondo; e inoltre, quel che basta, abitata: per non lasciarti solo del tutto, qualcuno continua ad aspettare, senza macchina, nelle case rognose. Dalla finestra dell'osteria seguo due ragazzini fuori nel buio, sull'orlo dell'acqua, vanno e vengono in punta di piedi, senza ragione e senza divieti — senza confini —; ogni tanto si fermano e guar¬ dano abbacinati: giochi sovrapposti di rive, palazzoni bianchi,.campanili morti. Disperazione per l'immensità delle cose da vedere, tormento per quelle che non vedrò mai. Fuori anch'io, non si può più star fermi. Ma le due energumene mi fanno uscire dall'altra parte — «stiamo chiudendo» — piombo tra cortili da galera, capito su piazze immobili, dove si sollevano tutt'attorno, passo dopo passo, nelle pietre gonfie, nei muri scoppiati, gli strati sovrapposti del tempo: ogni piazza il suo preciso stravolgimento, tra lontane voci umane, continuamente distorte. Si scopre tutto nel buio, i palazzi che dormono sugli arconi sbilenchi, paurosi, e quanti vi hanno dormito e vi sognano, tranquilli; mentre sull'altra riva le voci si precisano: voci slave, di donne, forse russe. Passano fra strani giri, come nelle prove d'un balletto: giovani o no, anche loro stanno provando. Un'ombra mi precede, ora; si affianca, mi segue. Osserva porta per porta: cerca un numero — spiega — «anagrafico». Già, ma qui non si trovano proprio i numeri, l'essenza del mondo moderno: vanno .su e giù senza senso, continuano a impazzire, a salire e a scendere: aescono coi secoli, qui, non «per strade» — chi è arrivato prima, ha il suo numero prima; come all'Usi ò all'inferno. Ma allora — chiede l'ombra — perché vado in giro? Ormai non cerchiamo più un numero, cerchiamo un filo. E infatti passa una coppia abbracciata: l'hanno trovato. Sono brevi, secondo i poeti, gli amori a Venezia: però, a quel che si vede, intensi. Ora ci inseguiamo un po' tutti: lóro due, l'ombra, i due ragazzi di prima, le donne russe, i numeri delle case, tutti attratti da un suono, un flauto,... .flaute-masico, dalle' I calli-più interne... Qualcuno I si - ferma suKv ^ N ponte, ascolta. Siamo sotto i muraglioni della Fenice, e il suono è Mozart: il flauto si spande sulla città silenziosa, ci fa tornare in mente — ci fa sperare — nella sera d'inverno la primavera. Allora passo da Martino: eccolo, parte per la pesca. Sono cosi le mie feste — ride —: esco a prendermi il pesce per la settimana. Si rabbrividisce dal freddo, vogando per i canali; ma scivolando nell'acqua bassa ci si mette al ritmo coi respiri nascosti, molto più ampi e anche molto più effimeri dei nostri: con le infinite presenze vegetali e animali, nel corpo umido della città che ora attraversiamo per tutt'altre vie. Al largo, lastre di ghiaccio lungo le curve dei canali. Sui pali di segnalazione, i gabbiani: uno per palò, immobili. Fra le tamerici, disturbiamo piccole anitre: planano stordite sul ghiaccio invisibile. ★ * La basilica solitaria sopra i canali di Torcello, unica creazione umana nel deserto d'acqua scura. Unica, ci sembra, in questo mondo, nel breve tempo assegnatoci. Controllo delle reti, lampade accese, pesci che saltano, guizzano... E intanto ci sono congiunzioni in cielo: Giove con Marte, la luna con la terra. Ora siamo in linea noi e i pesci — assicura Martino —, coi pianeti lassù: chissà come andrà. E difatti basta una curva del canale, eccoli: banchi di pesci morti dal gelo, la pancia bianca in su: noi abbiamo beccato gli ultimi vivi. Di colpo i gabbiani filano via dai pali, calano nelle secche: non è un buon segno. Ma non è il brutto tempo o i banchi di pesci: è che ali orizzonte, nell'orlo verso la terraferma, s'accendono i fari delle industrie. Di domenica la produzione è ridotta, molte fabbriche chiuse, la laguna oa;-e.tra poco è lunedì. ^Di»'tìrarhtok|«&°tìHtàk' «pi Marghera la laguna è biancastra, non c'è più ombra di ghiaccio. In aria, odore di carbone sospeso. Le centrali stanno già scaricando, nell'aria e nell'acqua. Nel gelido gennaio, filoni di corrente tiepida: la laguna biancastra spuma, hai l'impressione dell'agguato. Va bene per i pesci — dico —, qui non muoiono. Però — fa Martino — tra poco, ai primi di marzo, in tutta questa zona cominceranno le alghe: alghe nane, prima; alghe mostruose, poi sterminano i pesci, soffocano ogni forma di vita. Avevamo dimenticato, come ogni inverno: a Venezia, da qualche anno, non si può più sognare, neanche in pieno inverno, la primavera. Sbarchiamo sul molo, attenti a non scivolare in quest'acqua, mezzi assiderati anche noi come i gabbiani. Paolo Barbaro

Persone citate: Mozart, Paolo Barbaro, Torcello

Luoghi citati: Venezia