Lo Stato nel pallone

Lo Stato nel pallone Il controllo pubblico soffoca lo sport Lo Stato nel pallone Dagli onori della cronaca (ma per fatti non sempre edificanti), lo sport sta passando nelle maglie della contabilità dello Stato. I fatti sono noti. Meno note le conseguènze. Quelle, in particolare, della inclusione, nel 1986, di un rappresentante del ministero del Tesoro negli organi di controllo delle federazioni sportive. Questa inclusione è l'ultimo passo fatto sulla strada della progressiva statizzazione dello sport Perché la vicenda sia più chiara, proverò a spiegarla dall'inizio. Lo sport è attività privata o sociale, nonché volontaria I poteri pubblici se ne interessavano, in principio, dall'esterno, in quanto, ad esempio, potesse porre problemi di ordine pubblico. Successivamente, il Coni fu trasformato in ente pubblico, sotto la vigilanza statale, perché — si disse — un fatto cosi diffuso e socialmente rilevante, come lo sport, non può lasciare indifferente il governo. Poi, le federazioni sportive, che del Coni sono le padrone perché contribuiscono a formarne gli organi di governo, furono dichiarate organi del Coni, e cioè parti subordinate di quell'ente di cui sono padrone. Veniva a crearsi, cosi, accanto all'ambiguità tra pubblico e privato, un rapporto incestuoso. Il secondo passo fu compiuto con l'inclusione, nel 1975, del Coni nel parastato: da ente pubblico anomalo, esso diveniva — cosi — parte di una categoria di enti pubblici a disciplina uniforme. Segui, nel 1981, una legge sulle società sportive, che le sottoponeva a controlli minuziosi, operati dalle federazioni in nome del Coni. Se il Coni è ente vigilato dallo Stato e le federazioni, su sue istruzioni, controllano le società, i legami tra i tre livelli saranno rafforzati e le società sportive risponderanno più direttamente alle autorità pubbliche. Tutto questo — si badi — non accadeva senza una ragione. Infatti, sia pur per una parte non determinante, le federazioni si valgono di entrate del Totocalcio. E queste, .come le altre entrate derivanti dal gioco, sono sottoposte a riserva statale. Accanto a questo motivo ve n'erano altri: le difficoltà, le irregolarità, i dissesti di molte società sportive. Sin qui — siamo nel 1986 — vi era un' equilibrio, per quanto precario. L'ordinamento sportivo era un po' come un centauro, metà' intemazionale e metà nazionale, metà pubblico e metà privato. V'erano, si, già segni di tensione: basti pensare che nelle federazioni lavorano dipendenti della federazione — organo del Coni —-, che sono pubblici, e dipendenti della federazione — associazione privata non riconosciuta — che sono dipendenti privati. Tuttavia si era trovato un modus vivendi. Viene, a quésto punto, la trovata di introdurre rappresentanti del Tesoro nei collegi dei revisori delle federazioni. Ora, che fanno costoro? Da bravi funzionari dello Stato, esperti di contabilità di Stato, con le migliori intenzioni, chiedono che le federazioni seguano le procedure proprie della contabilità dello Stato. Ma bisogna ricordare che le norme di contabilità di Stato hanno un contenuto molto più vasto della mera gestione finanziaria, perché riguardano non solo il bilancio e le procedure di spesa, ma anche i contratti e il patrimonio. La conseguenza di questa estensione, non espressamente prevista, ma indotta attraverso il controllo, delle regole statali alle federazioni è che queste, pur essendo associazioni di società o di leghe sportive, evidentemente private, si vedono arrivare in casa una rete di principi, procedure, regole proprie di un organismo diverso, lo Stato. Ma la cosa più grave è che le norme di contabilità di Stato sono unanimemente considerate obsolete (risalgono, infatti, al 1923). Tanto è vero che la stessa ragioneria generale dello Stato, che è il cuore del ministero del Tesoro e la vestale della contabilità, noi) si è vergognata di far approvare dal Parlamento la legge 17 dicembre 1986 n. 890, secondo la quale le spese per il sistema informativo «sono eseguite in deroga alle norme sulla contabilità dello Stato». Di qui la conseguenza paradossale che la Ragioneria e il ministero del Tesoro non fanno applicare a se stessi quelle regole di cui chiedono il rispetto da parte delle federazioni sportive. Non vorrei essere profeta di sventure, ma azzardo due previsioni. Il prossimo passo sarà l'estensione di contabilità e controlli statali alle società sportive. Quello successi-' vo sarà la richiesta del ripianamene dei deficit delle società in dissesto da parte del Tesoro. A quel punto, la statizzazione dello sport sarà completa e il ministro del Tesoro si accorgerà delle conseguenze di quella infelice decisione del. 1986. Sabino Cassese

Persone citate: Sabino Cassese