UN'ARMA DI GUERRA? USAVANO L'ELEFANTE

Già nel 326 a. C. Alessandro Magno li impiegò in India Già nel 326 a. C. Alessandro Magno li impiegò in India UN'ARMA DI GUERRA? USAVANO L'ELEFANTE Capaci di sfondare qu La campagna di guerra che Alessandro Magno conduce in India nel 326 a.C. lascia importanti ricordi anche nella storia della medicina e dell'impiego dei grandi mezzi lesivi. I soldati del re macedone muoiono continuamente colpiti dalle frecce dei soldati indiani, intinte nel veleno di serpente. La leggenda racconta che Alessandro, il quale conosce ed esercita personalmente l'arte medica insegnatagli dal suo precettore Aristotele, una notte sogna una pianta capace di guarire queste lesioni. Si sveglia, riesce ad identificare il vegetale ed elabora cosi il primo antidoto di cui si abbia notizia in questo settore. Si tratta di un rimedio di cui sarà sempre gelosissimo, riservandosi di prepararlo e somministrarlo egli stesso. Torniamo alle operazioni militari. I soldati del suo nemico Poro sono armati con spadoni a due mani ed hanno una robusta protezione di cuoio, 1 cavalleggeri lanciano acuminati giavellotti e vi è pure un gran numero di carri d'assalto. La vera forza dell'armata di Poro risiede però in ben 200 elefanti giganteschi in grado di terrorizzare con il loro barrito e. se lanciati contro l'avversario, di disperdere le truppe più agguerrite. E' la prima volta che le armate dell'Occidente si trovano di fronte a questi pachidermi. Alessandro tuttavia — nonostante la novità — vince egualmente la battaglia dell'Idaspe con un'abilissima manovra di aggiramento. Rimane peraltro impressionato e ritorna in Grecia con un certo numero di elefanti. Si inizia cosi la storia di questo animale come mezzo di offesa bellica. Tutti i successori di Alessandro lo impiegano. E' Pirro che lo porta in Italia ed l romani se lo trovano di fronte. Se ne servono ancora i cartaginesi e cosi pure i re di Numidia. Lo usano a loro volta anche i romani nella guerra contro Filippo re di Macedonia, in Grecia, in Spagna e perfino a Tapso nel 47 a.C. Per singolare combinazione sono recentemente comparse nel mercato antiquario alcune copie della «Hlstoire militaire des éléphants» del colonnello Armandi, pubblicate a Parigi nel 1843. E' forse l'unica opera specifica sull'argomento, tra l'altro ricca di notizie di interesse medica-legale sulla potenzialità lesiva, verrebbe fatto di dire sulla micidialità, degli elefanti. Sono animali, per carattere, capaci di uccidere facilmente. Da tempi immemorabili sono stati impiegati in Asia come carnefici facendo loro schiacciare il capo ma più spesso a poco a poco gli arti e 11 tronco del condannato. Annibale espone prigionieri romani ad elefanti infuriati in maniera da abituarli alla battaglia. Gli elefanti sono stati impiegati per rompere, con la loro massa, le file avversarie. Nessuna truppa dell'antichità è in grado di resistere all'urto di questi bestioni che poi. inferociti per i colpi inevitabilmente ricevuti, si accaniscono contro quanti giungono loro a tiro, provocando devastanti lesioni contusive. Alcuni elefanti bene addestrati risultano alsiasi linea nemica ques capaci di scagliare distanti i soldati che afferrano con la proboscide oppure di sollevarli al di sopra della testa per farli uccidere dal conducente. L'elefante ferisce con le zanne come il toro con le corna ma con un enorme energia grazie alle sue poderose masse muscolari e riesce a trapassare tanto i cavalieri con la loro corazza quanto i cavalli. Del resto è ben noto che questi quadrupedi sono impauriti dalla vista, dai barriti ed anche soltanto dall'odore degli elefanti. Non è raro che in battaglia si affrontino elefanti di opposti schieramenti: si scatenano duelli furibondi che terminano soltanto con l'annientamento fisico del ti pachidermi furono poi perdente. E' evidente però che c'era anche a quelle epoche chi non si spaventava. Più fonti riferiscono un curioso episodio avvenuto proprio nella battaglia di Tapso. Un elefante, esasperato dalle ferite, sta accanendosi contro un soldato romano. Accorre un veterano, l'elefante si rivolge contro di lui, lo afferra e lo solleva con la proboscide, n vecchio militare non si perde d'animo e con un colpo ben assestato di spada taglia la proboscide riuscendo a liberarsi e facendo fuggire l'elefante con terribili barriti. Il punto è proprio questo: il progresso delle tecniche di combattimento e di miglioramento del potere di offesa delle armi ad uh certo punto «sostituiti» dai fucili dimostra che anche gli elefanti sono vulnerabili e questo determina l'abbandono del loro impiego. Ciò avviene clamorosamente in India nel 1571 davanti alle difese della colonia portoghese di Doa stretta da un esercito con 2500 elefanti. I portoghesi si difendono sparando e riescono a colpire a grande distanza gli elefanti che imbizzarriti devastano le proprie linee. Si tratta del tipico esemplo di un mezzo di offesa per lungo tempo ritenuto micidiale ed a un tratto reso inutile dalla comparsa di una nuova arma ancora più efficiente. Pierluigi Balma Bullone Università di Torino

Persone citate: Alessandro Magno, Armandi, Pierluigi Balma