Le luci di Cassola di Carlo Cassola

Le luci di Cassola LO SCRITTORE E LE SUE STAGIONI Le luci di Cassola La vicenda narrativa di Cassola è segnata all'inizio da una presenza contraddittoria di modelli e punti di riferimento, capaci, proprio in forza della loro diversità abissale, di comporre insieme un terreno per esperienze vitali e originali: da un lato, la tradizione toscana del bozzetto provinciale, limpido e sobrio; dall'altro, il Joyce dei Dublino?, per quel che di inquietante e misterioso e sospeso c'è in essi; e, a fare da mediazione, la prossima suggestione della prosa ermetica, runa tesa a creare atmosfere incantate, a insistere più sulla suggestione che sull'espresso, sul ritmo musicale del periodo più che sulla realtà delle cose. Nascono da qui i racconti brevi delle due raccolte La visita e Alla periferia, entrambe del 1942. Cassola vuole giungere a far coincidere perfettamente il ritmo della narrazione con il ritmo stesso della vita, colto nel suo divenire lento e continuo, senza aggiungervi nulla di letteratura o di pateticità, tutto risolto com'è nella pura evocazione di gesti, oggetti, luoghi, momen- corrotto della via Cassola ritaglia sezioni, istanti, figure, illuminandoli per un attimo di piena luce: nulla si sa né di ciò che è stato prima né di ciò che sarà dopo, e neppure di ciò o di chi e intorno o accanto al protagonista solitario del racconto, all'occasione in cui è stato colto dallo scrittore. Ne nasce un senso di mistero e di sospensione, come dalla contemplazione di una fotografìa o di una stampa che 10 scrittore si metta a descrivere minuziosamente, con rigorosissima oggettività. Tale oggettivazione è una conquista molto significativa. Non e realistica, ma è di sguardo che detta alla scrittura soltanto ciò che vede e nulla di più. La brevità di questi racconti rende certamente più sicuri e saldi i risultati, ma la novità di tale forma narrativa nutre vivamente anche le due prime opere pubblicate da Cassola nel dopoguerra: il lungo romanzo Fausto e Anna (1932) e 11 racconto lungo II taglio del bosco (1954). Sono due opere molto di verse come struttura e intenzioni, ma insieme testimoniano efficacemente lo sforzo che lo scrittore compie per andare al di là delle poche paginette dei primi racconti per più ampi organismi narrativi, che, tuttavia, conservino la scoperta della perfetta oggettività come assoluta neutralità di sguardo che registra fatti e sentimenti senza che l'autore intervenga mai a scegliere, a giudicare, a prendere posizione, a far sentire la sua presenza, ideologica o sentimentale. Fausto e Anna è un romanzo di formazione e di esperienza, che si svolge fra guerra e Resistenza e coinvolge la vira privata del protagonista e gli eventi della storia nell'uguale rappresentazione ferma e precisa, con una fedeltà assoluta a ciò che dei fatti si vede e si sa per diretta conoscenza, senza indugi di analisi interiori c senza tentazioni epiche o celebrative. // taglio del bosco, con gli altri racconti più o meno lunghi che Cassola vi ha aggiunti nelle edizioni successive, ha un argomento ^privato», intimo, che è il dolore di un piccolo - impresario del taglio degli alberi per le carbonaie in Maremma per la morte della mo- t glie, intrecciato con la descrizione del lungo periodo trascorso nel bosco appunto per compiere, con un gruppo di . altri taglialegna, il lavoro. Ma . in entrambe le opere la perfetta oggettività giunge a offrire un modello di narrazione certamente nuovo nella storia del romanzo novecentesco: il susseguirsi delle discussioni fra i coetanei di Fausto, fra i partigiani, fra i taglialegna, dei giorni sullo sfondo del paesaggio maremmano che per molte opere costituirà l'ambientazione caratteristica del narrare di Cassola, col senso tenace e un poco rassegnato del trascorrere della vita senza sbocchi e senza attese. Dopo, Cassola ha sempre più ridotto l'ambito del suo narrare, fino a far prevalere quel che di provinciale toscano è nelle sue origini culturali, sempre meno corretto dalla tensione sperimentale e dalla coscienza della novità della scoperta di un'oggettività assoluta come negazione e altcrna- tiva rispetto al realismo del dopoguerra da un lato, al romanzo di idee o di miti o di storia dall'altro. Un che di limitato, di circoscritto, di troppo ristretto è già ne / vecchi compagni (1953) e in Un matrimonio del dopoguerra (1957), che tuttavia hanno ancora una nuda efficacia nella rappresentazione perfettamente oggettiva dei fatti della lotta politica e dei rapporti umani sullo sfondo della Maremma. Ma già meno riusciti sono romanzi come La casa di via Valadier (1956) e // soldato (1958), in cui l'abbandono del paesaggio maremmano coincide con pretese e ambizioni di narrativa di costume, di memoria, di nostalgia, che rompono l'equilibrio dell'oggettività senza arrivare ad attuarsi, tanto che la scrittura si fa più povera che efficacemente spoglia ed essenziale. Con La ragazza di Bube (1958) Cassola scrive il suo romanzo di maggiore successo, descrivendo la vicenda della ragazza che s'innamora del giovane partigiano, colpevole d'un grave atto di violenza subito dopo la Liberazione, e gli resta fedele nel tempo, malgrado la lunga detenzione cui è stato condannato. Qui già appare quella che, per qualche anno, sarà la nuova poetica di Cassola: la rappresentazione, che è anche analogia, delle anime umbratili, chiuse, che sanno accettare la vita e complicazioni e i dolori che comporta con tranquilla rassegnazione, ma anche con fermezza, con tranquilla dignità, senza rimpianti e senza ribellioni. Nascono di qui romanzi come Un cuore arido (1961), Il cacciatore (1964), Tempi memorabili (1966), Ferrovia locale (1968), Una relazione (1969), Paura e tristezza (1970). poco a poco, però, sottentra nel narrare quieto e limpido di Cassola a contatto con i suoi personaggi che accettano la vita com'è e la sopportano lungo giorni uguali, minime vicende familiari e di paese, un'intenzione apologetica nei confronti di tali comportamenti, raffigurati come modelli positivi, esemplari, con parallela celebrazione della provincia opposta al mondo che muta, al fervore dell'azione, alle idee nuove, alle partenze come ricerca di esperienze e di maturazione: tutte scelte che sono date come colpe, mentre come nemico è rappresentato chi vuole spezzare l'aria chiusa della vita di provincia e cercare di far davvero vivere le anime raccolte nella loro dura rinuncia. La nuova avanguardia italiana negli Anni 60 definì Cassola una specie di nuova Liala; e' il giudizio era ingiusto così com'era ingiusta T'accusa di chi trovava negativa, di fronte a ideologie e realtà, la rappresentazione di figure femminili chiuse e crepuscolari, quando questa era pure la scelta di una verità umana degna d'essere oggetto di letteratura non diversamente dai personaggi «impegnati» e nutriti d'idee e di volontà d'agire. Ma Cassola, proprio dalla metà degli Anni 60 e poi, in modo clamoroso e anche alquanto penoso, negli Anni 70 e 80, ha fatto di tutto per dare ragione ai suoi detrattori. Ha scritto romanzi sempre più poveri, più limitati, più patetici, più prevedibili: con argomenti tipici del romanzo d'intrattenimento, ma senza l'abilità d'intreccio che sarebbe necessaria. Penso soprattutto a Monte Mario (1973), a L'antagonista (1976) , a La disavventura (1977) , a L'amore tanto per fare (1982), a Un uomo solo (1978), a // superstite (1978), a Vita d'artista (1980), ma anche alle ambizioni del tutto sbagliate dei romanzi storici // ribelle (1980) e La zampa d'oca (1981) . Cassola scrive sempre di più, e sempre peggio. E finisce così a far dimenticare il narratore indubbiamente originale c significativo che è stato. ' Divèrita'Wcfte paafista^jsttive molti libri con coraggio e costanza contro i rischi della guerra nucleare e contro le spese militari, con una forte carica utopica. Ma come narratore, quanto più tenta di dire, tanto più dimostra di non aver più nulla da dire. E' certamente un bel caso: un itinerario così lineare e così, in fondo, logico, ma tuttavia rovinoso, triste, dalla scoperta dell'oggettività assoluta nei primi racconti e romanzi alla riduzione sempre più circoscritta fino a rischiare la soffocazione dell'interesse a «cuori aridi» e ad ambienti «locali», e poi alla celebrazione di tale limitatezza e grettezza interiore, fino all'abbandono a una scrittura e a personaggi facili e senza spessore, di romanzetto rosa. L'innovazione delle prime opere, che è d'avanguardia e ha riscontri europei (Yécole du regard è stata giustamente citata a quel proposito), si perde totalmente, anche in un profluvio di opere che sembrano rispondere a un meccanismo di scrittura senza più freni, che va avanti da solo. La vicenda di Cassola viene così ad apparire emblematica di un'inarrestabile decadenza, che ha pochi riscontri nella letteratura contemporanea. In lui ha certamente avuto un'influenza del tutto negativa la mancanza di coscienza critica e di senso del limite. Ma non è giusto dimenticare il posto che, per le sue opere degli Anni 40 e 50 e, in parte, degli Anni 60, Cassola ha nella storia del romanzo del Novecento: non minimo, certamente, e destinato a essere riconosciuto, quando il tempo avrà depurato la sua bibliografia di tutti gli scritti caduchi e vani. G. Bàrberi Squarotti Grosseto. Carlo Cassola in un'immagine degli Anni Sessanta L id i di C dll di i

Persone citate: Cassola, Squarotti