«Ronnie, stai trascurando l'Asia»

«Ronnie, stai trascurando l'Asia» Un articolo dell'ex segretario di Stato Kissinger: troppe cose si stanno muovendo in Estremo Oriente «Ronnie, stai trascurando l'Asia» «Mentre l'America era presa dalPIrangate Tokyo ha sfondato il tetto delle spese militari: è un fatto che avrà conseguenze ben più profonde» «In quel Continente l'equilibrio è importante quanto in Europa» - «A un Giappone troppo forte risponderanno Cina, Urss, Vietnam, India» Mentre Washington età assorbita dalla vicenda Itan-conIras, in Asia è avvenuto un fatto che avrà conseguenze ben più profonde sul futuro: la decisione del Giappone di infrangere il tetto dell'I per cento del prodotto nazionale lordo nelle spese per la Difesa. Con l'abolizione di questa tacita barriera di bilancio, e con l'aumento delle spese militari dovuto all'incremento del pnl nipponico, è inevitabile che Tokyo divenga una potenza militare di primo piano in un avvenire non troppo lontano. Allo stesso tempo, la modernizzazione economica della Gna va avanti, anche se a sbalzi. Tutto questo rende improragabile per gli Usa una revisione, già troppo a lungo rinviata, dei loro interessi strategici in Asia. Per quarantanni gli Stati Uniti hanno tentato di .contrastare la potenza militare sovietica in Europa, ma nel frattempo hanno accettato un equilibrio regionale in continuo deterioramento nell'Asia. Le posizioni militari di Mosca si espandono lungo le coste dell'Indocina e nel Pacifico meridionale, mentre le forze americane sono state ritirate dal Sud-Est asiatico e sfoltite persino in Corea c in Giappone. Il fatto che l'America non debba essere militarmente impegnata nel continente asiatico è divenuto un assioma della politica estera Usa dall'epoca della guerra del Vietnam. E' un'idea strana. In base a qualsiasi valutazione razionale, gli Stati Uniti hanno un interesse vitale all'equilibrio delle forze tanto in Asia quanto in Europa. Un'egemonia della controparte sull'Asia avrebbe per l'America conseguenze almeno altrettanto gravi di quelle che avrebbe l'Europa Occidentale. Indubbiamente la realtà asiatica è diversa da quella europea: nel Vecchio Continente, la sicurezza dipende anzitutto da due sistemi di alleanze opposti. L'Unione Sovietica viene vista come potenziale aggressore; un'imponente presenza flnndo nuli tire ••frtegflR** ™ uri Consiglio di ambasciatori Nato sottolineano la determinazione Usa ad appoggiare i loro alleati. All'opposto, le nazioni asiatiche non individuano una minaccia comune. Alcuni Paesi — Giappone e Cina, per esempio — temono l'Unione Sovietica; altri, quali l'Indonesia e la Malaysia, si preoccupano della Gna; altri ancora, come la Corea e la Gna, guardano con apprensione alla rinascita del Giappone. Alcuni Paesi del SudEst asiatico considerano il Vietnam la principale minaccia; l'India e il Pakistan sono ossessionati l'uno dall'altro. Le alleanze che là esistono sono ben diverse dalla Nato. L'alleanza degli Usa con il Giappone, che non poggia su un apparato formale, ha carattere di garanzia unilaterale; le basi militari americane nelle Filippine non hanno impedito a quel Paese di far parte del gruppo dei Non-allineati. Soltanto nella Corea del Sud c'è un rapporto analogo a quello con l'Europa, anche se con un assegnamento ben maggiore sulle forze convenzionali «indigene». Dal punto di vista della sicurezza, i Paesi asiatici vivono in due mondi diversi: sul piano dell'equilibrio mondiale sono nell'era nucleare, e in in nome del Non-allineamento contano su un equilibrio mantenuto da Stati Uniti e Unione Sovietica; ma sui problemi regionali sono più inclini a usare la forza rispetto ai Paesi europei, frenati da due guerre mondiali. Di conseguenza, l'accresciuta forza di un Paese determina aggiustamenti quasi automatici da parte di tutti gli altri Stati in grado di provvedere alla propria sicurezza. Sotto' questo aspetto, la gestione dei rapporti internazionali tra i Paesi asiatici è analoga a quella dell'equilibrio militare in Europa nel XVIII e nel XIX secolo. Quanto al Giappone, i leader americani danno l'impressione di ritenere che la sua crescente forza militare possa soltanto alleviare l'onere degli Usa per la difesa. E anche «e un maggior sforzo ro df^fiSkyo possa ci la sua competitività commerciale. "~ ~ Ma la scelta di soluzioni facili è pericolosa consigliera in politica estera. Il Giappone, che ha una tradizione di indipendenza antica quasi quanto quella cinese, si riarmerà per i suoi fini. Un riarmo di grande portata metterebbe in moto una catena di sviluppi e di tentazioni imprevedibili alla luce delle at- tuali dichiarazioni di intenti; e, invece di portare a una recessione economica, rischia di incentivare la nascita di nuove tecnologie e di accrescere le spinte per la creazione di mercati protetti in nome della sicurezza nazionale. Come minimo, rischierebbe di provocare «compensazioni» destabilizzanti da parte di altri Paesi asiatici. Certamente gli Usa non possono impedire a un alleato di prima grandezza di perseguire i suoi obiettivi nazionali; ma devono stare attenti a non forzargli la mano. Un maggior contributo militare del Giappone è in buona., misura superfluo ai quilibrio mondiale. Da sole, ìrlo^csfe fòrze difensTveTHzTonali sono in grado di rendere estremamente costoso un attacco sovietico contro il territorio nipponico, attacco che comunque farebbe entrare in gioco l'alleato americano. Il Giappone potrebbe contribuire in misura più consistente alla pace mondiale aumentando gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo, invece che con un op impegnativo programma militare. C'è una profonda differenza tra un incremento graduale o improvviso dello sforzo difensivo giapponese, tra un rilancio della Difesa come manifestazione di un nuovo nazionalismo politico e mercantile, o come contributo a un ordine mondiale basato sulla coopcrazione. Di conseguenza, obiettivo prioritario della politica estera americana dovrebbe essere quello di coinvolgere il Giappone in un rapporto politico più ampio prima che la sua potenza militare prenda tutto il suo slancio. Sarà, soprattutto la Gna a segui* **&imm\*m versi della potenza militare to l'arco della sua storia, quel Paese è stato l'equilibrio dell'Asia. Sarebbe un'imprudenza dimenticare che per un verso, e non irrilevante, la Seconda guerra mondiale è incominiciata con l'invasione giapponese della Manciuria, nel 1952. Oggi, ancora una volta, la sottomissione della Gna, o anche la sua umilia¬ giapp^rìeseT'Xùnger 'quasi" raF~f zione, avrebbero sull'equilibrio mondiale conseguenze non troppo diverse dalla caduta dell'Europa. Gli orgogliosi leader di Pechino amano ripetere che questo pericolo non esiste. Ma una visione strategica sul lungo termine dovrebbe tenere conto delle possibilità, non delle certezze. E una di quelle possibilità è indubbiamente la reazione sovietica il giorno in cui la modernizzazione cinese sia divenuta autosufficientc e irreversibile. Il Cremlino può decidere di non dover consentire la nascita di una grande potenza lungo una frontiera contesa, in una regione tri cui un miliardo di Sfittati 6»riccggi»na*i*« milioni di sovietici. Può tentare di ~f~far saltare l'industrializzazione della Gna e di creare un «cuscinetto» ai suoi confini asiatici, sul modello della Mongolia Esterna o dei Paesi satelliti nell'Europa Orientale. Se questo sia più o meno probabile di un attacco all'Europa è tutto da valutare. Ma in Europa il rischio, per quanto ridotto, di un attacco sovietico ha comportato il di- spiegamento di eserciti imponenti. E' troppo chiedere ai politici occidentali di considerare quale posizione assumerebbero in caso di attentati all'integrità territoriale della Gna e alla sua libertà d'azione politica? Gli strateghi americani devono rendersi conto del fatto che in una simile eventualità gli Usa non potrebbero assolutamente restarsene in un angolo. • Di certo, gli Stati Uniti non hanno alcun interesse ad aggravare le incognite per la Gna con azioni o prese di posizione provocatorie. Per Washington come per Pechino non è necessario, né auspicabile, concordare una politica dettata dalle contingenze. Ma in ultima analisi la politica di Washington come di Pechino deve essere orientata dalla consapevolezza di avere un interesse comune ad opporsi ai disegni «egemonici» nella regione dell'Asia e del Pacifico. Di conseguenza, devono far attenzione a non esasperare le divergenze al punto in cui una parte abbia la sensazione che il preciso obiettivo dell'altra sia quello di indebolirla. Una politica americana oculata deve tener conto del fatto che la Gna ha cumulato la storia di indipendenza più lunga di qualsiasi altro Paese essenzialmente grazie a una sottile consapevolezza dei suoi interessi nazionali. I leader cinesi non hanno bisogno di sentirsi perorare la tesi secondo la quale un clima diverso, o intese limitate con Mosca, non renderanno meno lunga la frontiera con l'Unione Sovietica. Non metteranno facilmente a repentaglio il «paracadute» americano legando completamente il futuro del Paese alle reiterate di^arWWi'«!W.«ftbaona volontà. Finché Pechino còme Washington^P renderar conto da' limiti obiettivi del loro rapporto bilaterale con Mosca, potranno trarre vantaggi dall'allentamento della tensione internazionale. Ma se una delle parti si lascerà attirare in una gara per ottenere i favori di Mosca, ogni freno dell'altra parte salterà, e la sicurezza degli Usa come della Cina ne soffrirà. Se la Gna doppieri il capo della modernizzazione senza dover affrontare un'aggressione sovietica o disordini interni, si creerà una situazione nuova. Un mutamento così radicale nell'equilibrio militare probabilmente determinerebbe una sostanziale revisione della politica sovietica. E sposterebbe di molto il problema della sicurezza nel SudEst asiatico. Il Vietnam si troverebbe nella necessità di distaccare forze tanto ingenti al confine con la Gna da essere costretto a rivedere le sue ambizioni espansionistiche. Paesi quali l'Indonesia, che diffidano delle intenzioni di Pechino, cercherebbero ulteriori rassicurazioni. E in Asia si instaurerebbe una concorrenza triangolare fra Giappone, India e Gna. Perché a quel punto anche l'India, con ogni probabilità, avrà fatto enormi progressi sulla via della modernizzazione. E sarà portata a perseguire la vecchia politica britannica a Est di Suez. Non si vede perché la sua strategia prioritaria tesa a impedire la dominazione sovietica dell'Iran e l'egemonia delle grandi po¬ tenze sul Sud-Est asiatico dovrebbe cambiare ora che è Delhi a decidere, dal momento che questa è sempre stata tesi geopolitica della sicurezza indiana, non britannica. Un'evoluzione che dovrebbe far migliorare i rapporti di Delhi con gli Stati Uniti, poiché non è logico che l'India consideri la superpotenza geograficamente più lontana come la minaccia più diretta all'indipendenza dell'Asia del Sud e del Sud-Est. Sul iungo termine, è altamente probabile che Washington venga vista come contrappeso alle tendenze espansionistiche di Paesi più vicini. Da tutto questo derivano due conclusioni. 1): In caso di un'aggressione che minacci l'equilibrio mondiale, la maggior parte dei Paesi asiatici conta sull'appoggio americano; presume pero che l'aiuto degli Usa derivi da una valutazione degli interessi comuni, non da impegni formali o da dislocamenti di truppe. Di conseguenza, la continuità e il contributo bipartitico nell'elaborazione della politica estera Usa sono fondamentali. I continui cambiamenti di li¬ nea sono già pericolosi nell'area atlantica, dove pure c'è l'«ombrello» di norme definite nel corso di decenni; sono ancor più scoraggianti per l'Asia, dove esistono pochi impegni formali e i vari Paesi devono congegnare la loro politica sulla capacità dell'America di definire i suoi interessi generali. 2): Nella ricerca di un equilibrio mondiale, gli Stati Uniti devono mostrare estrema sensibilità alla maniera in cui i vari Paesi asiatici valutano l'equilibrio locale delle forze, e il loro ruolo in quell'equilibrio. Gli Usa non possono comunque avete interesse ad avere in Asia una potenza, o un gruppo di potenze, tanto forti da poter dominare il resto del Continente. L'America deve esercitate il suo peso sulla parte più debole, soprattutto in quelle questioni che nel tempo possono influite sull'equilibrio mondiale. Molto dipende dunque dalla capacità di intuizione dell'America. Nessuno lo ha spiegato meglio del primo ministro giapponese Nakasone, alcuni mesi fa, contrapponendo la concezione europea della sicurezza a quella asiatica: «In un dipinto europeo, ogni particolare è occupato, e pochissimo spazio viene lasciato all'immaginazione. In un quadro giapponese gli spazi vuoti delimitano il disegno; l'intuizione è quindi determinante». Henry Kissinger Copyright «L«A. Times Sradicate» e per l'Italia «La Stampa» Tokyo. Il premier giapponese Nakasone passa in rassegna le truppe durante l'annuale parata

Persone citate: Henry Kissinger, Kissinger, Nakasone