L'amara parabola dei tre merli di Gianni Vattimo
L'amara parabola dei tre merli Fino a che punto le specie sono realmente «protette»? L'amara parabola dei tre merli Curiosa, a dir poco, la sentenza con cui il pretore di Cuorgnè ha assolto un cacciatore canavesano dall'accusa di aver violato la legge uccidendo tre merli nei boschi di Bairo. La legge che, secondo la sentenza, non è stata violata è' quella che include i merli tra le specie protette, in quanto «patrimonio indisponibile» dello Stato. Motivo dell'assoluzione (se abbiamo capito bene): i merli erano bensì «dichiarati» specie protetta e patrimonio indisponibile e te; ma non erano di fatto «detenuti» dallo Stato, per esempio entro i confini di un parco nazionale; dunque la «dichiarazione» non vale. Ha pensato il pretore alle conseguenze che potrebbe avere questa sentenza per altri beni dello Stato? Per esempio: in molti mosci statali i quadri sono bensì «dichiarati» bèni di proprietà pubblica, ma per lo più sono «detenuti» del tutto simbolicamente, giacché non ci sono controlli sufficienti. Se li rubate e riuscite a farla franca, potrete in ogni momento invocare l'analogia con la sentenza di Cuorgnè: alla dichiarazione di proprietà dello Stato non corrispondevano efficaci dispositivi di «detenzione». Avremmo creduto che la legge che vieto l'uccisione degli animali protetti fosse un dispositivo legalmente sufficiente, ma evidentemente ci sbagliavamo. Con la stessa logica i cacciatori, nel tempo libero dalla nobile attività della caccia potranno allenarsi sparando in città contro vari tipi di proprietà stotali non sufficientemente «detenute»: lampioni, insegne e finestre di uffici pubblici, monumenti o resti archeologici intorno a cui lo Stato non abbia provveduto a erigere trincee e camminamenti difensivi. Ma ciò che scandalizza ancor più di questa interpretazione della legge, è la concezione (ipatrimoniaie» che ispira la legge stessa: agli animali non è riconosciuto alcun diritto in quanto esseri viventi — diritto di cui si potrebbero prevedere eccezioni motivate: per esempio dannosità provato, esigenze alimentari della società etc. — ma solo la condizione di beni patrimoniali; il danno che si arreca loro è punito solo in quanto danno arrecato al loro proprietario — in questo caso lo Stato, un padrone del tutto aleatorio, assai poco incline a difendere questi e simili aspetti del suo patrimonio (non solo gli animali protetti, ma l'ambiente in generale: l'aria l'acqua, le bellezze naturali, le opere d'arte). Possiamo davvero ancora porre alla base dei nostri rapporti con la natura una concezione cosi strumentale, e in fondo predatoria e barbarica delle altre specie viventi e in genere del mondo naturale? Certo, noi veniamo da un passato in cui l'uomo si è costruito il proprio mondò in lotta e in concorrenza con la natura esterna, riducendola a puro strumento e a puro oggetto di sfruttamento. Oggi però, e non sono solo i merli canavesani a insegnarcelo, è sempre più evidente che la sopravvivenza dell'uomo non si assicura in contrasto con quella della natura e delle altre specie viventi; ci si salva o si perisce insieme, con l'aria l'acqua i venti, i ghiacci dei poli, e anche con i merli. Questo consapevolezza, che si usa chiamare «coscienza ecologica», è forse la vera grande novità che segna l'esperienza umana di quest'epoca Certo, non si può fare della sentenza del pretore di Cuorgnè un problema di filosofìa della storia; anche se, invece, sarebbe lecito aspettarsi una maggiore sensibilità a questi temi da un organismo come la Corte Costituzionale (che invece ha bocciato il referendum sulla caccia). Se è vero che, come dice il Vangelo, l'uomo «vale più di molti passeri», è anche vero che «nessuno di loro è dimenticato da Dio». Gianni Vattimo
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