L'atleta misterioso dei Messapi di Sabatino Moscati

L'atleta misterioso dei Messapi UNA CITTA' MILLENARIA RISORGE NELLA PENISOLA SALENTINA L'atleta misterioso dei Messapi Straordinarie scoperte archeologiche svelano altri segreti di Vaste e del popolo che vi fiorì tra il V e il IV Secolo a. C. Grandi tombe sotterranee testimoniano che non fu, come si credeva, una cultura modesta - Vasi di terracotta con eleganti pitture suggeriscono anzi l'ipotesi che l'aristocrazia fosse così ricca da poterli ordinare in Grecia disponendone le forme VASTE (Lecce) — I,'antica strada corre lunga, dritta, a perdita d'occhio tra i campi e le casette del piccolo borgo moderno. Che sia carica di secoli e di millenni lo si vede subito dal selciato, dalle fratture, dai ruderi stessi che la fiancheggiano. Ma una strada cosi, davvero imponente, farebbe onore a una città del tempo attuale; e dunque è inevitabile dedurne che essa caratterizzò una città del passato, imponente del pari. L'istinto dell'archeologo mi fa ragionare così, mentre ripercorro l'antico cammino a Vaste, una frazione del paese di Poggiardo, che ho raggiunto in pochi chilometri da Otranto, lasciando il mare e puntando verso l'interno, tra gli uliveti fitti della terra salentina. E non c'è solo la strada a suggerire l'abitato antico: ecco a tratti le mura, in ottimo stato di conservazione, con ì grandi blocchi squadrati che si dispongono ad angolo nel disegnare le porte. Chi dice che le città moderne ampliano per ovvio sviluppo quelle antiche? Talvolta è vero il contrario, perché la grandezza del passato non ha retto all'incalzare dei secoli; e allora le campagne coltivate a grano, le distese di ulivi e di vigne, le fattorie sparse ereditano anch'esse la gloria di un tempo. Ma si tratta di un'eredità spesso ignorata: è una fortuna e una sfortuna insieme, per il nostro Paese, l'enorme ricchezza archeologica di cui è pressoché impossibile avere una conoscenza adeguata, anzi a volte neppure una nozione elementare. Accade, così, che l'antica città corrispondente alla frazione odierna di Vaste riemerga solo ora alla piena luce della storia, per merito degli scavi che vi stanno conducendo, sotto la direzione di Francesco D'Andria, gli archeologi dell'Università di Lecce. Si tratta di un'impresa a larga partecipazione- internazionale, come ci si accorge subito sentendo parlare varie lingue sul campo. Collaborano la Scuola Normale di Pisa, la Scuola Fran- Ma soprattutto, questo un cantiere scuola, nel quale lavorano gli studenti dell'Università di Lecce insieme con i volontari che vengono da varie Università italiane e straniere. Gli abitanti del luogo possono assistere agli scavi; e lo fanno attenti e curiosi, affacciandosi dalle transenne che il Comune ha predisposto intomo all'area archeologica. E' questo, sema dubbio, un momento memorabile per l'archeologia. E piace guardarsi indietro, perché ogni scoperta ha i suoi precedenti, inadeguati ma pure significativi per comprenderla. Cosi va ricordato che già nel Cinquecento un umanista salentino, Antonio De Ferraris detto il Galateo, riferì la scoperta a Vaste di una necropoli e di una lunga iscrizione nella lingua ancor oggi misteriosa dei Messapi, la popolazione che nel primo millennio a. C. occupò queste terre. Molto più tardi, agli inizi at dell'Ottocento, numerose tombe sotterranee furono saccheggiate dal soldati di Gioacchino Murat. Si resero conto, quei soldati, della città acuite tombe appartenevano, del suo significato per la storia e per la civiltà della Puglia antica? E' lecito dubitarne. Quindi trascorse ancora del tempo, finché alla fine dell'Ottocento si ha la notista di qualche sondaggio, certo insufficiente a delineare la fisionomia dell'abitato. Solo le mura si vedevano, a tratti; e a esse fanno breve riferimento le guide (quando lo fanno), senea dedurne al- 'Bt^orrtoa, coti,' aVnostro ttempo. Un ingegnere di Vaste, Gianni Carluccio, s'appassiona alla ricera nella sua terra, la percorre palmo a palmo per identificare gli antichi ruderi, interroga si- stematicamente gli abitanti della frazione e i contadini del circondario per raccogliere ogni possibile notizia. Quindi elabora una carta archeologica, dalla quale si desume che il centro antico doveva essere molto ampio, perché le mura si estendevano per più di tre chilometri, e che dovevano esservi fitti quartieri di abitazioni. Si aggiunga il contributo della fotografia aerea, che disegna la pianta dell'abitato anche se richiede una verifica diretta. Si aggiungano pure le notizie delle antiche fonti, perché Plinio e Tolomeo collocano qui l'antica Basta, do cut deriva evidentemente il nome - attuale.. Tutto, dunque, orienta allo scavo archeologico, che infatti viene come naturale conseguenza. E lo cogliamo ora nel pieno del suo sviluppo, quando i primi punti fermi possono dirsi stabiliti. Vaste, dunque, fu un'antica città del Salente, sede dei già ricordati Messapi. Raggiunse la sua massima fioritura tra il V e il IV Secolo a. C, come testimoniano concordemente le mura, la grande strada che l'attraversa in lunghezza, i resti delle case, un'area sacra da cui vengono altari, stele e cippi finemente scolpiti nella «pietra leccese; che il Barocco renderà celebre. Nell'area sacra restano le offerte votive, le coppe e gli altri vasi lasciati dopo le libagioni rituali. Sugli altari e sulle stele votive, le iscrizioni designano inequivocabilmente la gente messapica. La scrittura si comprende bene, perché è di origine greca. Ma la lingua appare diversa, forse di origine illirica, certo difficile a intendersi al di là dei nomi propri. Come non ricordare la parallela situazione dell'etrusco? E anche nella cultura il parallelismo è valido: si tratta dell'incontro tra i Greci venuti d'oltremare e la gente che abitava l'Italia, in questo caso la penisola salentina tra l'Adriatico e lo Ionio (Messapi vuol dire appunto *coloro che stanno in mezzo*, tra i due mari). Ma la scoperta più straordinaria di Vaste sono le grandi tombe sotterranee, rimaste spesso miracolosamente intatte a oltre duemila «untiti distanza. Nel loro interno, i sarcofagi elegante» mente- * lavorati accolgono, con i resti dei defunti, i ricchi doni votivi che dovevano accompagnarli nell'aldilà. Troviamo, cosi, 1 piccoli recipienti destinati a contenere profumi propri delle tombe femminili, insieme ai vasi con manici ornati da piccole ruote che sono rimaste tipiche di questa terra con il nome di *trozzelle*. Più ricche sono le tombe maschili, tra cui spiccano quelle di alcuni eminenti personaggi. Uno è l'*atleta; che così chiamiano perché sono stati trovati con lui due strigili in bronzo, specie di cucchiai dal lungo manico che servivano a pulirsi dopo gli esercizi ginnici. Un altro personaggio è il «cavaliere», cosi denominato perché aveva accanto a una mano uno sperone pure in bronzo, del tipo che serviva a pungolare i cavalli. Ai piedi del «cavaliere» un grande bacile sempre in bronzo, retto da tre sostegni terminanti in zampe ferine, richiama al rituale della lavanda dei piedi già noto dall'opposta sponda balcanica. Soprattutto, però, è straordinaria la scoperta di grandi vasi in terracotta che recano eleganti pitture. Di queste si riconoscono spesso gli autori, celebri ceramisti greci che raffigurano in particolare le vicende del banchetto, con Dioniso che guida il corteo delle Menadi e dei Satiri, i quali si abbandonano a danze e a libagioni spillando il vino dagli otri. Pure frequenti sono i motivi della palestra, ad esempio il giudice di gara dinnanzi all'atleta nudo pronto per entrare in campo: è la pratica dell'educazione dei giovani allo sport, che si riflette già nella tomba dell'tatleta: Dinnanzi a una tale resurrezione di arte pittorica, la deduzione più semplice è quella dell'influenza profonda esercitata dall'arte greca sulle genti della Puglia antica; e ciò sia per l'importazione diretta attraverso la vicina base marittima di Otranto, sia per l'importazione indiretta da Taranto, da Metaponto e dalle altre città greche in Italia. Ma tale deduzione non basta: si è ormai constatato che l'afte pittorica greca si realizzava a volte su vasi di forma tipicamente locale; e allora è legittimo pensare che l'aristocrazia indigena fosse di tale ricchezza e prestigio da poter ordinare l'esecuzione di vasi in Grecia disponendone le forme. E' un vero rovesciamento del concetto tradizionale di una provincia, di una cultura modesta per non dire barbarica. E il rovesciamento non accade solo qui, è già accaduto in Etruria ed è verosimile che accada via via in tutto il mondo degli antichi italici. Siamo dinnanzi, dunque, non solo ad affascinanti scoperte, ma anche a un modo nuovo di concepire le nostre origini; ed è verso questa gloria della prima Italia, questo crogiuolo ineguagliabile d'arte e di civiltà, che debbono sempre più orientarsi le ricerche e gli studi. Tali pensieri volgo tra me e me percorrendo questa terra, esaminando e discutendo passo a passo i singoli ritrovamenti, la loro interpretazione, le prospettive verso cui indirizzare le ricerche future. E' l'eterna avventura dell'archeologia, che si vive nei luoghi più impensati e diversi, dove la cultura libresca non basta più e il confronto con le novità immediate accende la fantasia non meno che l'ingegno. Oltre i ruderi ora maestosi e ora modesti, oltre l'arte ora chiara e ora enigmatica, si delinea sempre più affascinante il vero volto dell'Italia antica. Sabatino Moscati Vaste. Vaso dipinto con testa di vittoria alata, trovato nelle tombe dell'antica città di cui narrarono Plinio e Tolomeo Vaste (Lecce). Particolare di un vaso greco dei IV Secolo a. C. con giudice di gara e atleta (Foto G. Carluccio)

Persone citate: Antonio De Ferraris, D'andria, Gianni Carluccio, Gioacchino Murat, Greci, Scuola Fran, Tolomeo Vaste