Impietoso specchio amburghese di Alfredo Venturi

Impietoso specchio amburghese 40 ANNI DELLO «SPIEGEL»; UN'AVVENTURA EDITORIALE E POLITICA Impietoso specchio amburghese Rudolf Augstein nel gennaio 1947, quando divenne direttore-editore del nuovo settimanale, aveva 23 anni e una grinta speciale - Oggi vende 940 mila copie la settimana, guadagna 35 miliardi di lire l'anno - Linguaggio, formula e temi di un fenomeno giornalistico studiato e emulato - L'«affare» che fece cadere l'accoppiata Adenauer-Strauss DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BONN — In principio, racconta Rudolf Augstein, era un giornale chiamato Hannoversche Nachrichtenblatt: uno scarno foglio di due facciate che usciva quattro volte la settimana. Usciva dal '45 a Hannover, nel Nord della Germania sotto occupazione britannica. Lo dirigeva Friedrich Rasche, uno di quegli oppositori del nanismo che ora, nel tempo della grande palingenesi germanica, hanno il diritto di tenere alto il capo. Rasche vuole accanto a sé un vicedirettore: eccolo, lo individua nel giovanissimo Rudolf. E' uno studente di Goettingen, è stato ufficiale d'artiglieria, ha vissuto sul fronte dell'Elba, dove è stato ferito negli ultimi giorni di guerra, la fiammeggiante catastrofe della Wehrmacht. Nella Germania devastata, è tempo di guardare avanti. Le autorità militari britanniche vogliono un buon settimanale di notizie, che plachi la lunga fame tedesca d'informazione. Detto e fatto: Dlese Woche esce dal novembre del '46 a Hannover, che è la sede del governo militare di Sua Maestà britannica. Lo curano alcuni ufficiali inglesi, con Augstein e altri collaboratori tedeschi. Eccoli nelle foto d'epoca, tutti insieme al lavoro, i visi scavati di quei tempi di diete ipocaloriche. Dopo poche settimane Londra decide: è ora che il giornale passi in mani tedesche. Lo affidano a Rudolf, che ha solo ventitré anni ma una grinta speciale. Lui va dal padre e gli chiede: come chiamerò il mio giornale, L'Eco o Lo Specchio, Das Echo oppure Der Spiegel? La risposta, Der Spiegel, segna l'inizio di una straordinaria avventura editoriale e politica. n primo "numero dèlia creatura di cAù'dÌteth!ìèsce ili gennaio del '47. Ristampato tale e quale, lo Spiegel della settimana celebrativa lo ha offerto in ghiotta rilettura. Porta in prima pagina il ritratto del plenipotenziario austriaco Kleinwaechter in visita alla Casa Bianca, che levando il cappello sembra salutare i tempi nuovi. Dentro, domina la stringente attualità delle varie sistemazioni postbelliche. C'è la Francia che vorrebbe approfittare delle circostanze per annettersi la Saar, e intanto ha grossi problemi in Indocina. C'è l'Italia alle prese con il separatismo siciliano. C'è l'India che preme per affrettare l'indipendenza. Ci sono, con tanto di diligente tabella, i corsi del mercato nero: pane, burro, caffè. C'è la foto di Marlene Dietrich con Jean Gabin, e di Eric von Stroheim nella parte del maresciallo Rommel, C'è anche la foto di Albert Einstein con un curioso errore nella didascalia: lo hanno infatti ribattezzato Alfred. Der Spiegel costa un Reichsmark, che è ancora la vecchia moneta germanica: la Repubblica federale, e il suo Deutsche Mark, devono ancora nascere. Tiratura di quel primo numero: quindicimila copie. Vogliamo saltare quarantanni e portarci ai giorni nostri? Ecco: Der Spiegel ha oggi una tiratura superiore al milione, una vendita media di 940 mila copie per settimana, un bilancio di 320 milioni di marchi, un introito pubblicitario di 200 milioni, un utile annuo di 50 milioni, circa 35 miliardi di lire. Del resto sarebbe semplicistico, nel Paese della Bild, limitare alle cifre di bilancio la misura di ciò che Der Spiegel rappresenta nella storia del dopoguerra germanico. Includiamo almeno le cifre dell'udienza: cinque milioni di lettori, e fra di essi il 36 per cento dei tedeschi con istruzione superiore, il 26 per cento degli imprenditori e dei liberi professionisti. Il fenomeno Spiegel è stato frequentemente studiato. Già nei "57 Hans Magnus Enzèhsberger analizzava il lin•guàggio'del setttmanale'r''Dle Sprache des Spiegel Più di recente uno specialista di comunicazioni, Mathias Kepplinger, si è soffermato su quello che si potrebbe definire l'irradiamento del giornale in fatto di temi e di idee: Der Spiegel als Trendsetter. Risulta da questo studio Che l'influenza del settimanale amburghese non si limita a giornali ideologicamente vicini, come la Frankfurter Rundschau, ma arriva a contagiare fogli conservatori come Die Welt. A'on si contano poi gli studi su quell'affare Spiegel che agli inizi degli Anni Sessanta portò il settimanale, come vedremo, sotto i prolettori della scena internazionale. L'ultimo nato, frai titoli di questa folta bibliografia, è Die Splegel-Story. L'ha scritto Leo Brawand, uno che fin dal primo numero di quarant'anni fa visse quest'avventura in prima persona, al fianco dell'editore-direttore. Avventura politica,, prima | ancora che editoriale. Sentiamo; lo''stesso' Àùgslétìù''Lé mie prime decisioni, ricorda, furono la scelta della testata (in realtà delegata al padre, come si è visto}, e quella della sede. Via da Hannover, cara agli inglesi che vi pescarono la loro dinastia reale: il giornale andrà nella città tedesca tradizionalmente più aperta sul mondo, affonderà le sue radici nel terreno protestante di Amburgo. E' proprio Augstein a insistere sulla qualità positiva di un ambiente protestante. Anticipando cosi il nodo centrale della sua esperienza: la lotta contro il regime AdenauerStrauss, «cattolico e antidemocratico», come lui lo definisce. Riassumiamolo, quell'affare Spiegel che fu di questa lotta l'episodio centrale, e risolutivo. E' il '62, tempo di drammatiche tensioni nel mondo: dopo l'erezione del Muro a Berlino, dopo la crisi dì Cuba. Nell'autunno esce sullo Spiegel un articolo di Conrad Ahlers, futuro portavoce di Brandt. Parla di cose militari, affrontando le tematiche della strategia Nato attacca le scelte del governo: cancelliere Adenauer, ministro della Difesa Strauss. Scatta furibonda la reazione governativa contro l'irriverente periodico amburghese: custodia preventiva per Augstein e sei collaboratori, la sede del settimanale perquisita e sigillata dalla polizia. Mentre si trascina il processo, migliaia di dimostranti manifestano in piazza per la libertà di stampa. Dopo 103 giorni, Augstein può tornare al suo giornale. Per lui è il trionfo: su pressione degli alleati liberali Strauss deve lasciare il governo di Bonn e tornarsene nella sua Baviera. Il «regime cattolico e antidemocratico» è sconfitto. Si conclude un'era: alla pericolosa accoppiata AdenauerStrauss, ricorda Augstein, succedono i protestanti Erhard e Schroeder. E presto sarà la svolta socialdemocratica, con quel cancelliere Brandt che un giorno si vedrà ritratto, sulla copertina dello Spiegel, come un monumento che si sgretola. L'affare del '62 non ha conseguenze soltanto sull'organigramma ministeriale di Bonn. Per noi, ricorda Augstein, significò la consacrazione in termini di successo editoriale e di prestigio. Per lui, personalmente, qualcosa come una tentazione politica diretta. Cui cede soltanto nel 12, quando si presenta come candidato liberale e viene eletto al settimo Bundestag. Ma sente subito che non è aria: dopo poche settimane il deputato Augstein rassegna il mandato. Meglio battersi dalle sponde dell'Elba, sulle colonne dello Spiegel, che perdersi in riva al Reno nelle prolisse chiacchiere parlamentari. Così lo specchio amburghese riflette da quarant'anni la Germania del dopoguerra, questo Paese contraddittorio e cosi poco amato, questa nazione splendida è complessata. E' uno specchio fedele? E' questo un pùnto sul quale! l'opinione', tedesca si divide, ovviamente, secondo linee di differenziazione politica. Certo è uno specchio del quale sarebbe impensabile fare a meno, se si vuol guardare la Germania dal di dentro. Su un altro influente periodico, il Rheinischer Merkur, Guenther Deschner dice che lo Spiegel è anche Zerrspiegel, specchio magico. A volte deformante, dunque: almeno quando incoraggia e soddisfa «il voyeurismo politico dei tedeschi». Certo è uno specchio vivido e aggressivo, con le sue copertine impietose quando si tratta di sottolineare un pericolo per i corretti equilibri democratici, o una crisi del potere. Non è mai stato molto amato, lo Spiegel, dalle parti della Cancelleria federale. Nella copertina in edicola la scorsa settimana si vedeva Helmut Kohl abbigliato come un cancelliere d'altri tempi, di tempi meno democratici. Ancora una volta il giornale amburghese lancia l'allarme: arrivano i conservatori, e denuncia le mene reazionarie di Strauss. Augstein insiste sul dovere della vigilanza e spiega: «Sono un figlio di Weimar e sono stato scottato: e adesso ho paura del fuoco». Alfredo Venturi