Cattivi Pensieri di Luigi Firpo

La patria degli incentivi Cattivi Pensieri di Luigi Firpo La patria degli incentivi Il dipendente di un Ente locale, all'annuncio di uno stanziamento di centinaia di milioni per dare incentivo all'efficienza degli addetti, avrebbe dichiarato: «No, non accetterò nulla, perché già sono pagato per fare il mio dovere ». Bisognerebbe richiamare dall'Oltretomba il buon Sacconi per far erigere in Roma, a questo umile eroe, un monumento a cavallo, più vasto, candido e opulento di quello che incombe su piazza Venezia. Invece sono sicuro che un comitato di colleghi ne ha chiesto l'immediato ricovero in una casa di cura per alienati mentali, perché la nostra è ormai la patria degli incentivi. E poiché molti svolgono con fatica e affanno un secondo lavoro, quelli che di lavoro ne fanno uno solo, e male, ritengono giusto essere pagati due volte: la prima a ufo. per l'ozio legalizzato, e una seconda a cottimo, per cominciare a ' fare qualcosa. Mi accade di utilizzare con una certa frequenza, di prima mattina, l'ingresso di servizio di un Ente semi-pubblico, dove assisto a un flusso denso e frettoloso di dipendenti che entrano, timbrano la cartolina ed escono per i fatti loro: rientrano poi alla spicciolata, a sole alto, pronti a tesaurizzare caterve di straordinari quando l'orario normale sia scaduto. Così si risponde all'allarme degli economisti, che vedono nel secondo lavoro una delle cause della disoccupazione: il lavoro resta uno, raddoppia solo lo stipendio. Ma l'incentivo principe resta quello pubblicitario, insinuante o massiccio, sottilmente subliminale o di martellante ripetitività ossessiva. E lo si può anche capire quando si tratti di incrementare le vendite di prodotti industriali in spietata concorrenza e spesso sostanzialmente identici: fustini, pannolini c formaggini, contraccettivi, lassativi e digestivi. Dove la qualità è standardizzata, solo l'immagine fa differenza, ed è appunto l'immaginario che si sostituisce al reale, provocando bisogni inconsistenti e preferenze ipnotiche. Ma sin qui, purché non si spaccino bugie troppo grossolane, siamo ancora nel campo del tollerabile: «Mundio vuit decipL.n dicevano gli antichi: il mondo desidera essere ingannato e dunque lo si inganni. Se non altro, almeno per i più desti e meno influenzabili, esiste la valvola di sicurezza della verifica. Se apro il pacchettino umidiccio della mozzarella reclamizzata e trovo una palla informe di caseina, basta che per una sola volta nella vita abbia avuto la fortuna di gustare una mozzarella vera per rendermi conto che si tratta di un surrogato di scarto e non comprarlo mai più. Se assaggio un vinello in scatola, manipolato con tagli industriali, e lo confronto con una buona bottiglia contadina, non mi resta ombra di dubbio. Dunque la pubblicità è decisiva solo per prodotti equipollenti, che si potrebbero vendere sfusi, con enorme risparmio del consumatore, cui tocca pagare l'agenzia pubblicitaria, l'involucro coloratissimo, i gettoni d'oro e le vezzose imbonitrici. Se una è convinta che, a parità di prezzo, un detersivo lavi più bianco di un altro, fa benissimo a comprarlo: il suo bucato sarà più o meno eguale a quello della vicina, ma la propria auto-considerazione, il senso di avvedutezza compiaciuta e di lungimiranza saranno una motivazione eccellente della scelta. Quella però che non capisco è la pubblicità di un prodotto che ciascuno è tenuto a usare, perché fornito in regime di monopolio. Qui dicono che non si tratti più di pubblicità ma di ricupero delt'«immagine». Prendiamo le Ferrovie dello Stato che, dopo la recente riforma, hanno scatenato una campagna per esaltare la loro efficienza. un dinamismo irrefrenabile e progetti fantascientifici per linee direttissime e convogli da 300 all'ora. Ma gli italiani i treni li prendono e sanno come vanno le cose. Sere fa, alla stazione di Roma, dovevo salire sul treno delle 22, e poiché lo sciopero era finito alle 21 mi aspettavo forse qualche leggero intoppo, ma non che, in un clima di generale menefreghismo, il treno non fosse ancora sul binario di partenza alle ore 3 del mattino successivo. Per i soli treni rapidi, quando il ritardo supera un'ora, è previsto il rimborso del supplementobeffa pagato dal viaggiatore, il quale in quei casi, stanco e imbestialito, non va quasi mai a far la coda per ricuperare poche migliaia di lire: eppure l'Azienda ha sborsato a questo titolo, nello scorso anno, una quindicina di miliardi. Perché beffare la gente promettendo i super-treni, mentre fra Torino e Milano gli espressi viaggiano a 60 all'ora e dovunque s'incontrano vetture sgangherate, binari da sobbalzo, personale sciatto, assenza di decoro e di disciplina? Non crede il presidente Ligato che su questo terreno si costruisca l'immagine di un'azienda rinnovata e non con gli imbonimenti dei paginoni cui nessuno crede? Lo stesso vale per il Parlamento che sta mettendo in piedi un ufficio destinato a riscattarne l'immagine un po' offuscata. Ma questa, on. Jotti, dipende solo dall'attitudine a stabilire leggi utili, chiare e tempestive. Il resto è fumo negli occhi. Ultime vengono le Poste con la loro oscena promessa di consegnare una lettera entro 48 ore dietro pagamento di un francobollo da lire 20 mila. Qui il servizio pubblico confessa in modo emblematico il proprio fallimento. Stracarica di personale inutile o male impiegato, meccanizzata non si sa come né con quale incidenza percentuale, cronicamente ritardataria, svogliata e sgarbata, questa Amministrazione propone di fare, per un prezzo assurdo, quello che dovrebbe fare come compito istituzionale c per prirrario dovere. Ma perché non 100 mila, un milione? I collezionisti di francobolli esulterebbero; gli altri, già adesso, si servono del cornere.

Persone citate: Cattivi Pensieri, Jotti, Ligato

Luoghi citati: Milano, Roma, Torino