«Caos francese, non nostro» di Ezio Mauro

«Caos francese/ non nostro» Intervista con Franco Marini, segretario Cisl, sullo sciopero anti-Chirac «Caos francese/ non nostro» «Rifiuto l'interpretazione di un sindacato italiano in perenne crisi» - «Basta con lo sport dell'autoflagellazione, Pizzinato ha torto» - «Qui non siamo ideologizzati» - «E poi Craxi non è Chirac» ROMA — Marini, qua! e la lezione che viene dalla Francia per il sindacato italiano? Dopo la rivolta degli studenti, dopo i quindici giorni di sciopero dei ferrovieri, a Parigi ormai tutto il mondo del pubblico impiego minaccia la protesta, con le confederazioni scavalcate: lei che guida la Cisl, il sindacato più forte nel servizi pubblici, vede i sintomi di un contagio francese per il ceto medio inquieto d'Italia? •No, per una ragione molto semplice: Craxi non è Chirac, e soprattutto il nostro sindacato non è quello francese. Voglio dire che chi contrappone una sorta di bonaccia italiana a un'improvvisa e inspiegabile turbolenza parigina sbaglia. Ci sono cause e spiegazioni molto precise, sia per la disgregazione francese sia per la strada su cui è incamminato il nostro Paese, una strada del tutto diversa». — Vediamo le differenze, allora; secondo il sindacato italiano, qua! è la miscela che fa dilagare la protesta in Francia? «E' una miscela di estremismo governativo e di scarsa rappresentatività sindacale: pericolosissima. Con un vero e proprio integralismo neoliberista, Chirac cerca di imporre una meritocrazia astratta e radicale. Questo estremismo del governo si trova di fronte una mancanza quasi assoluta di mediazione e di filtro delle spinte sociali, perché il sindacato francese è debole. Le tre confederazioni, insieme, pesano in termini di iscrìtti meno della sola Cisl. Queste cose contano: le domande e i conflitti che nascono dalla società cozzano direttamente contro il radicalismo del governo, perché non trovano quella sintesi che può venire solo da un forte movimento sindacale». — Ma in Italia non c'è almeno una di queste condizioni francesi, e cioè la crisi di rappresentanza del sindacato? «E' proprio qui lo sbaglio. Io mi ribello a questa interpretazione che ci vuole per forza in crisi. E' ora di dire che, se il Paese è governato, è perché il sindacato conta, anche se continua a flagellarsi. Io rifiuto questo sport, perché è un falso storico. Ma insomma, la Francia ci insegna qualcosa oppure no? Perché il nostro Paese, pur avendo gli stessi problemi di riassetto produttivo che hanno a Parigi, non è paralizzato dal conflitto sociale? Perché da noi c'è una gestione politica meno ideologizzata, più flessibile, più attenta e aperta alle novità. E di questa gestione fa parte anche il sindacato, eccome». — Marini, sta dicendo che il sindacato italiano è fuori dalla sua crisi, c non lo sa? «C'è una cosa che io so: dall'81 all'84 il sindacato in Italia ha attraversato anni durissimi, colpito com'era da una fortissima caduta dell'occupazione in regioni-chiave. Poi, è riuscito nei fatti a riaggiustare la sua linea, dando alla sua azione quella flessibilità assoluta che ha consentito proprio in quelle aree del Paese una riorganizzazione industriale diffusa e intensa, come qualità». — Ma una parte del sindacato non vive queste novità come un segno di cedimento, piuttosto che di rafforzamento? «Si, c'è una parte nostalgica. E c'è una parte, più grossa, ipnotizzata dalla crisi, ferma a contemplarla, incapace di vederne la fine e di trovare l'uscita. Eppure noi oggi, anche se abbiamo grossi problemi da risolvere, siamo un'eccezione rispetto al sindacato francese, inglese e americano, per la capacità di mettere insieme una grande flessibilità e un forte radicamento sociale. Questo spiega la "governabilità" dell'Italia: altro che bonaccia». — Mi scusi, ma questa lettura ottimistica della fase che il sindacato sta attraversando non è l'opposto di quella che fa il segretario della Cgil Pizzinato, con la sua denuncia Insistente dei pericoli di una nuova burocrazia sindacale? «Io non condivido la denuncia di Pizzinato, Ma lo capisco. Lui è segretario della Cgil: e sa che nella Cgil il burocratismo è un problema vero, concreto. Ma questa non è la crisi del sindacato. E' la crisi di un metodo, quello dell'organizzazione per correnti, con il risultato degli apparati che si gonfiano.in modo abnorme, mentre il processo decisionale s'inceppa. Una crisi che non si risolve riducendo l'apparato, ma sbaraccando la divisione rigida delle correnti. Io non do consigli, ma certo se la Cgil s'incamminasse su questa strada, aluterebbe tutto il sindacato italiano». — Ma i problemi non sono tutti di. Pizzinato, chiamano in causa anche lei, e Benvenuto: come pensa di rispondere il sindacato all'esplosione della spinta autonomistica, alla segmentazione degli interessi, alla crescita di nuove figure professionali in cerca di rappresentanza? «Ricordandosi di essere nato per fare una cosa molto difficile, ma molto chiara: unire la domanda settoriale, il segmento, all'interesse generale. Guai a perdere il filo di questo interesse generale, per correre dietro ai sindacati autonomi, come fa una parte della cultura politica ed economica del nostro Paese. Stiamo calmi e guardiamo i fenomeni per quel che sono. Questa grande esplosione dell'autonomismo, alla fine, non c'è stata. Nella sanità, le tre confederazioni organizzano 300 mila persone, gli autonomi non vanno oltre le 30 mila, compresi i medici dell'Anaao». — L'86, che secondo lei è l'anno della ripresa, è però anche l'anno in cui il ceto medio ha cercato di mettersi in proprio, con marce, proteste, tentativi di autorappresentarsl: per II sindacato non è una denuncia di crisi? •Il ceto medio ha certo al suo interno più contraddizioni del sindacato, come dimostra la marcia antifisco di Torino, e per questo non può pensare davvero di autorappresentarsl. Anche qui, comunque,- la ricetta è una sola: niente corse ad inseguimento, 11 sindacato può solo selezionare le spinte, rappresentare quelle che giudica giuste, raccordarle all'interesse generale». — Marini, lei, senza dirlo, non sta disegnando l'immagine di un sindacato che da controparte sociale si trasforma in grande mediatore? «Può darsi. Nel rapporto economico diretto, quando fa i contratti, il sindacato è controparte. Ma nella vita di tutti i giorni di una società complessa come la nostra, il sindacato porta dentro di sé spezzoni di interessi di tutti, dai lavoratori agli imprenditori, allo Stato, e deve saperlo». — Non « un modo, questo, per rilanciare il vecchio pansindacalismo, dopo averlo tanto criticato? •Per carità: lo rimpiangono magari gli orfani dell'onnipotenza sindacale, degli anni in cui gli applausi erano facili. Io preferisco l'oggi, quando tutti sono tornati a fare il loro mestiere: e noi, 11 nostro». Ezio Mauro

Persone citate: Chirac, Craxi, Franco Marini, Pizzinato