Dolce vita, dura vita dell'animatore turistico di Pier Paolo Cervone

Dolce vita, dura vita dell'animatore turistico professioni Pro e contro di un lavoro che affascina i giovani Dolce vita, dura vita dell'animatore turistico CANTANO, ballano, scherzano, ridono, si scoprono attori e ca. barettisti, fanno tutto per il piacere e il divertimento del signori vacanzieri. Si chiamano animatori turistici, professione emergente degli Anni 80 in un settore che non conosce crisi. I giovani l'hanno inventata e ora cercano e trovano anche le giuste protezioni: è recente la nascita a Milano del primo sindacato degli animatori turistici, mestiere nato per caso che sembrava destinato a scomparire nel giro di pochi anni, o comunque a rimanere saltuario e occasionale. Nessuno pensava ad una evoluzione di questo tipo, ovvero professione in piena regola, occasione di impiego per ragazzi e ragazze in cerca d'avventura, oltre che di lavoro. Scuole e corsi per diventare animatori sono nati un po' in tutta Italia. Qualcuno li chiama «fabbriche delle illusioni». Gli allievi sognano la spiaggia dorata, il mare azzurro, un mondo tutto nuovo da scoprire, il viaggio ai Caraibi, in Kenya e Costa d'Avorio, Grecia e Turchia, Seychelles e Maldive. Poi, improvvisa, la realtà. Ecco tutti i risvolti della medaglia nelle parole di tre giovani che ormai da parecchi anni hanno scelto di fare gli animatori turistici: spiegano perché, quando, come e dove e aprono gli occhi dei futuri colleghi, senza inganni. Barbara Corbellini ha 23 anni, è nata a La Spezia, dove vivono i genitori, grande tifosa dei bianchi «aquilottiche inseguono la promozione in serie B di calcio. E' diplomata ragioniera, ha fatto mille domande, mille concorsi. Niente da fare. «Un giorno ho letto l'inserzione su un giornale. Un importante operatore turistico italiano cercava personale di assistenza e animazione per un villaggio in Africa. Mi sono precipitata. Mi hanno messo a fare la commessa nella boutique. Guadagnavo 300 mila lire al mese, più vitto e alloggio. Soltanto dopo ho cominciato a fare l'animatore e a ricevere qualche soldo in più. Ora che sono responsabile dell'intero settore animazione in un villaggio dei Caraibi guadagno di più, diciamo tra il milione e il milione e mezzo. I miei colleghi hanno stipendi più bassi. In media ricevono tra le 300 e le 700 mila lire, lavora- no come me sette giorni la settimana, senza ferie retribuite». Ma qual è la molla che spinge a fare l'animatore? Risponde Marco Ghezzi, 27 anni, milanese, licenza di terza media, esperienze in Turchia e Santo Domingo. «A volte si comincia per caso, anche se i due principali motivi sono la disoccupazione e la voglia di vivere all'estero, in Paesi sempre caldi. Io ho fatto il fattorino e l'assistente per conto di un'a¬ genzia. Quando hanno aperto un villaggio mi hanno proposto di partire e io ho accettato. Sono soddisfatto ma penso anche al domani. Questo non è un mestiere che puoi fare per una vita. Mi fa paura pensarlo, ma quando sei vicino ai cinquanta, o anche prima, quando il fisico comincia a cedere, tu devi capire che è l'ora di smettere. Io voglio farlo prima. Dopo un certo numero di anni senti il bisogno di trovare un lavoro normale, di pensare alla pensione e ad una casa». Gli animatori devono saper fare di tutto, improvvisare, cambiare ruolo: chi balla deve anche recitare, chi racconta le barzellette non può tirarsi indietro al momento del cabaret. Adriano Albettino, 33 anni, di Milano, prima di girare nei villaggi di Kenya, Maldive, Sardegna e Calabria, suonava la chitarra nei locali intorno al Naviglio. Ha un diploma delle magistrali ma non ha mai avuto la vocazione dell'insegnamento. «Preferisco fare l'animatore senza pensare al futuro. Mi sta bene questo lavoro, che considero un'autentica professione. Facciamo una vita dorata, mare splendido, spiagge bianche, belle ragazze. Tutto vero: ma siamo anche impegnati 24 ore su 24, spesso in posti isolati. E non c'è soltanto lo spettacolo serale, ma anche l'attività sportiva al mattino e al pomerig¬ gio. I clienti devono essere seguiti tutto il giorno. La nascita del sindacato? E' una cosa importante, bisognerà vedere quali risultati si otterranno. Per il momento siamo considerati ancora come pacchi postali: quando non fai più comodo sei rispedito a casa». Barbara Corbellini è un vero talento: ha l'arte dell'intrattenimento e il gusto dello spettacolo, divertirsi per fare divertire. Ma non pensa che resisterà a lungo in questo mondo. «Voglio smettere entro un anno. Questo lavoro è come una droga, vivi in un ambiente dove la gente è sempre sorridente, gentile, con tanta voglia di vivere e di scherzare. Il mondo esterno è diverso e tu non puoi pensare di stare in un villaggio turistico ed essere sempre sorridente, anche quando magari hai grossi problemi». Consiglio ai giovani: non illudetevi e non mitizzate questa professione. E' una bella esperienza che si può fare, magari per qualche anno: qualcuno resiste, gli altri tornano a casa, non tutti con la promessa di un altro lavoro. Pier Paolo Cervone

Persone citate: Adriano Albettino, Corbellini, Marco Ghezzi