Murnau e i vampiri di Gianni Rondolino

Murnau e i vampiri CENTENARIO MAGO DEL «MUTO» Murnau e i vampiri Murnau è una cittadina dell'Alta Baviera, un luogo di villeggiatura non lontano da Garmisch, a circa settantacinque chilometri da Monaco. Ai cultori dell'arte contemporanea è nota per la bella e ricca raccolta di dipinti del movimento Der binile Reiter ospitata nel Russenhaus; ai cultori di cose cinematografiche perché ha dato il nome (non i natali!) ad uno dei più geniali e misteriosi registi del cinema tedesco, Friedrich Wilhelm Murnau, l'autore di Nosferatit e deilUltimo nomo. Perché Murnau, che era nato il 28 dicembre 18H8 — giusto cent'anni fa — col nome più modesto e borghese di Friedrich W. Plùmpe nella ricca città industriale di Bielefeld, in Vestfalia, aveva scelto quello pseudonimo un po' esotico per affermarsi nel campo del teatro e del cinema? Forse perché in quella piccola città sperduta fra le Alpi bavaresi si davano convegno alcuni dei giovani pittori del Blatte Reiter, di cui egli era amico e di cui amava l'arte, lui così attento ai fenomeni artistici e letterari, studente di filologia a Berlino e poi di storia dell'arte e della letteratura ad Heidelberg,' O forse, più probabilmente, perché a Murnau, dove egli si recava in villeggiatura presso la famiglia Ehrenbaum, che possedeva una bella villa di campagna nei dintorni, ebbe la prima esperienza amorosa con l'amico carissimo Hans Fhrenbaum? Mistero. Certo è che di non pochi misteri è avvolta la vita, e più ancora la leggenda, di questo regista sensibile e introverso, autore di alcuni Ira i più sconvolgenti e appassionanti film degli Anni Venti, maestro incontrastato della cinecamera, che sapeva usare come uno strumento duttile e affascinante per "dipingere- il movimento, per rappresentare le cose nella loro dimensione dii mimica, nel loro aspetto sernoverjtj.v Ancora recentemente una fine studiosa del cinema tedesco come Frieda Graie sottolineava la natura "pittorica» dell'opera di Murnau, ma giustamente aggiungeva: ••Murnau non usa la cinecamera per fotografare il mondo esterno, i comportamenti e i dati visibili; egli filma i pensieri, le possibilità, i sogni, i miti, i fantasmi". Nel senso che le immagini dei film di Murnau, così evanescenti e tuttavia concrete, plasticamente rigorose, appaiono non già come riproduzioni di una realtà data, ma come visioni interiori, rappresentazioni d'un mondo incitabile. E' fin troppo facile rinvenire nell'opera complessiva di Murnau una linea di sviluppo contenutistico e formale che ruota attorno al concetto di mistero, di presenze inafferrabili, di fantasmi appunto, e di sogni, di pensieri, di desideri inappagati. Non soltanto Nosferatu il vampiro, il suo film più famoso realizzato ne 1921, che ha per sottotitolo Etne Symphonie des Grattem (Una sinfonia dell'orrore), è ricco di elementi fantastici e gioca tutto il suo fascino sulla figura del «vampiro» che, con la sua sola presenza fisica, riesce a trasformare la realtà quotidiana nella rappresentazione stessa del mistero e dell'orrore. Ma molte altre sue opere ci inquietano e ci affascinano per quel tanto, o quel poco, di «eccedente» rispetto alla riproduzione del reale, che la sua cinecamera riesce a cogliere attraverso piccoli scarti dalla norma, quasi impercettibili elementi visivi o dinamici. Si pensi al Castello di Vogelìid, al Campo del diavolo, a Pbantom, ed anche a non poche pagine dell'Ultimo nomo, di Tartufo, di Faust, in cui Murnau riesce a introdurre nel tessuto narrativo e ambientale delle storie e dei personaggi taluni elementi di disturbo, proprio grazie all'uso inconsueto dei movimenti della cinecamera, all'originalità del montaggio, al taglio particolare delle inquadratu• re.. Ma si pensi soprattutto a Tabù, il suo ultimo film girato in collaborazione con Robert Flaherty nel 1931, in cui la natura esotica delle isole dei Mari.del Sud — ben altrimenti interpretate dal solo Flaherty nel suo Moana — diventa lo sfondo per una vicenda erotica dominata dalla presenza del male, del mistero, del mito ancestrale: dalla presenza, in altre parole, di Nosferatu, sotto le nuove sembianze del vecchio sacerdote Hitu. E' come se si chiudesse un cerchio — dall'antica Germania romantica al mondo incontaminato della natura selvaggia e ancora ai nuovi turbamenti dell'espressionismo tedesco —, in cui il destino dell'uomo pare segnato in modo indelebile: un destino tragico che vede il fallimento del singolo di fronte all'immensità del male, alle forze indistruttibili del "caso». E il caso volle che anche la morte di Murnau rimanesse avvolta nel mistero. Una morte accidentale, imprevista, proprio quando egli aveva progettato di tornare in Germania dopo il lungo soggiorno a Hollywood, dopo l'affascinante e conturbante esperienza di Tabù. Come se la maledizione del sacerdote Hitu, e il suo potere magico, l'avessero raggiunto fuori della finzione del suo film, nella realtà quotidiana della sua vita privata. Pare che egli avesse affittato una Packard per andare da Los Angeles a Monterey. Durante il tragitto il suo giovane cameriere-amante Garda Stevenson, inesperto di guida, volle mettersi al volante e Murnau l'accontentò: bastarono pochi chilometri perché l'automobile uscisse di strada. Nel gravissimo incidente rutti furono sbalzati fuori dalla vettura, ma solo Murnau riportò delle ferire mortali. Erano le cinque del pomeriggio del 10 marzo 1931: nella notte egli spirò all'ospedale di Santa Barbara. Aveva da poco compiuto 42 anni. Questa morte improvvisa non soltanto concluse la sua breve, intensissima attività di regista, ma relegò il nome di Murnau fra i «maestri», riconosciuti ma non più frequentati; del cinema muto. Come se una stagione fosse definitivamente trascorsa e il cinema sonoro, il rinnovato splendore dello spettacolo hollywoodiano, avesse troncato ogni legame col passato, avventurandosi sulla nuova strada, lastricata di successi, del film spettacolare per le grandi masse. La polvere che si era andata depositando sui capolavori del cinema muto aveva in certo senso «omologato» opere ed autori. Così il solitario ed aristocratico Murnau era stato incasellato con i Lang, i Pabst, i Grune, i Leni, i Lupu Pick, nel capitolo deila storia del cinema dedicato all'espressionismo, alla «nuova oggettività», al «cinema da camera». Certo, la sua opera poteva anche sopportare quelle etichette — ma dove mettere i film da lui girati negli Stati Uniti? —; e tuttavia se ne smarriva il significato più autentico, la sua propria originalità. Solo in anni recenti, grazie soprattutto al lavoro di indagine di Lotte Eisner, il cinema di Murnau sembra tornato ad essere ciò che era stato allora: lo sguardo d'un romantico idealista sulla tragica realtà contemporanea. Attraverso questo sguardo, che l'opera dei nuovi filologi cinematografici e dei restauratori di film tende a riportare al primitivo splendore, quella realtà pare avvolta in un alonedi mistero, a volte di orrore, o di angoscia, che ci turba e ci inquieta. Un'inquietudine che la cinecamera semovente di Murnau rende plastica, concreta, terribile nella sua, apparentemente evanescente, presenza. Gianni Rondolino

Luoghi citati: Berlino, Germania, Hollywood, Los Angeles, Monaco, Monterey, Stati Uniti