Scrivendo di musica raccontava l'uomo di Giorgio Pestelli

Scrivendo di musica raccontava l'uomo Scrivendo di musica raccontava l'uomo «La prova generale!», aveva detto dopo essere scampato al tremendo incidente automobilistico del 1981 ; e nell'ultimo articolo, pochi giorni fa su queste colonne, aveva ancora difeso la vis comica del\'Elisir d'amore contro l'intimidazione moderna al divertimento e alla comicità («L'allegria non è più di moda... poverini, i cantanti, non li lasciano più divertirsi»). Per Mila, intriso di umorismo fino alle midolla, l'allegria era il dissolvente delle pose e delle frottolazioni; una sua battuta bastava a smontare castelli di retorica vuota; e con umorismo e finezza intellettuale si è opposto fino all'ultimo al male e al dolore. Dall'uomo queste qualità passavano senza residui nel critico e nello studioso; e se intelligenza, ironia e umorismo erano così penetranti era perche alle radici c'era una spietata sincerità, una riserva di sensibilità e di emozione umana pari solo a quella sobrietà espressiva che era poi il solo frutto appariscente. Equilibrare sensibilità e intelligenza, emozione e ironia, è presto detto, e un tempo si ricorreva alla comoda formula del «pudore sentimentale»; io credo invece che quella sintesi di sensibilità e intelligenza sia stata una battaglia continua: una aizzava l'altra, in un impegno critico rimasto costan-_ te dalle prime prove fino ad oggi- Quello di Massimo Mila è stato un esordio precocissimo, un articolo su Muzio Clementi pubblicato a diciott'anni sul Barelli, la rivista di Piero Gobetti; cinque anni dopo, nel 1933, esce a stampa la sua tesi di laurea, // mei/dramma di Verdi, dove le caratteristiche del critico sono già consolidate con impressionante nitidezza: ad intendere le quali poco serve, come spesso è stato fatto, il riferimento all'estetica di Benedetto Croce, capitale certo (e come sarebbe stato possibile altrimenti?), ma lontana dai problemi specifici della critica musicale. Là plomh, la chiarezza con cui Mila, col minimo di superficie verbale, spiegò Verdi a tutti, più giovani e più vecchi, ha le sue radici nell'ambiente intellettuale della Torino del primo dopoguerra, nella celebre covata di Augusto Monti al liceo D'Azeglio, in Gobetti e Casorati, nell'insegnamento universitario di Ferdinando Neri e Lionello Venturi, in Guido M. Gatti che spinse Mila sulla strada della musica affidandogli la redazione della «Rassegna Musicale». L'anima di Torino europea e moderna, Torino città d'ingegneri, di tecnici e di operai specializzati, è la culla di quella mentalità snebbiata, nemica dei vapori della retorica e del sentimentalismo in cui matura la personalità critica di Massimo Mila. Con un esordio così, sembrava destinato a una facile e pacifica carriera di studioso; che invece gli fu subito interrotta dai cinque anni di carcere per antifascismo. Grande lavoratore che odiava perdere tempo, mise a frutto questo periodo impadronendosi della lingua tedesca e dedicandosi a vaste letture («come si legge bene in galera!», disse una volta in uno dei suoi rarissimi sguardi all'indietro); letture che approdarono, fra il 1944 e il 1950, a una serie di libri che fecero tutti epoca nella cultu ra musicale italiana: i Cent'anni di musica modena, vari studi mozartiani, la celebre Brere storia della musica, forse l'ulti ma impresa del genere condotta in porto con risultati duraturi da un solo studioso, e L'esperienza musicale e l'estetica, nato dall'esigenza di verificare sul piano teorico i criteri del lavoro critico e latore della nozione chiave di «natura in consapevole dell'espressione artistica». Dopo la fine della seconda guerra, l'attività di Mila si è diretta in tre settori principali, nella sua personalità tutti intrecciati e complementari: la critica musicale su quoti diani e periodici (su l'Unità dal 1946 al 1967, su L'Espres so fino al 1967, su La Stampa dal 1967 ad oggi), l'insegnamento al Conservatorio e al l'Università (dove ha fondato nel 1963 l'Istituto di Storia della Musica), la consulenza editoriale presso l'Editore Einaudi, promuovendo la circolazione in Italia di correnti critiche fondamentali per la cultura musicale moderna. Dall'attività giornalistica ha tratto i volumi Cronache musicali 7955-59 e Terza pagina: 36 articoli; dei suoi metodi didattici è specchio fedele la pubblicazione di alcune Letture dedicate a vari capolavori, la Nona Sinfonia di Beethoven, Le nozze di Figaro e // Don Giovanni di Mozart. Collaborando e partecipando a riviste, congressi, trasmissioni radiofoniche ha prodotto una innumerevole quantità di saggi, e solo alcuni hanno trovato organica collocazione nei suoi ultimi volumi. La giovinezza di Verdi, Maderna musicista europeo. L'arte di Verdi, Compagno Stravinski, I costumi della Traviala, Ma quando si tenterà di raccogliere i suoi scritti, si vedrà che l'uomo che ci sta dietro salta fuori sì nel saggio ad ampio respiro e nell'articolo sull'avvenimento di grido, ma con pari vivezza (e talvolta di più) nella recensione di poche righe sul concertino che altri avrebbero snobbato, nella presentazione di una mostra, nell'articolo su qualche rivista di alpinismo. Appassionato del nuovo, non rinunciò neppure a una briciola del passato: Dufay, Monteverdi e il melodramma italiano, con Rossini e Verdi beniamini; il mondo di Bartok e di Janacek in cui, senza ombra di retorica, versò dentro il suo amore per la natura; il carattere asciutto, l'espressività stringata di De Falla; Brahms, di cui fra i primi indicò il lato decadentistico, moderno; Chabrier e Satie, oggetto di conferenze spassose, indimenticabili; Stravinski con cui era sopra tutti in consonanza di gusto e di spirito; ma anche gli autori che d'istinto gli erano lontani, i catastrofici, gli espressionisti, i grandi viennesi del '900, li penetrava e li faceva suoi con l'intelligenza. Uno dei suoi apporti più preziosi, senza precedenti in Italia, era la sua capacità di convertire i fatti musicali, anche i più tecnici, in fatti di cultura e di storia. Mila era l'opposto di quegli studiosi, numerosi sopra tutto nel mondo anglosassone, che credono di allacciare la musica alla cultura scrivendo cappelli introduttivi di «storia delle idee»; per lui il discorso partiva sempre dal centro, dalla musica, ma sapeva allargarsi alla vita culturale e civile. 1 suoi articoli erano letti dà tutti, anche dai non musicisti: e questo è il segno migliore che attraverso la musica toccava problemi di tutti. Talvolta le sue cronache erano più belle della musica descritta, più vive delle serate da cui prendevano spunto. Con tutta la sua simpatia per la solitudine, nella vita musicale era di una socievolezza totale; sentire musica da soli gli pareva un'operazione priva di senso, un vizio solitario. Nella prefazione delle Cronache l'aveva spiegato molto bene: «L'irradiazione della sensibilità altrui aiuta a riconoscere i limiti e le insufficienze della nostra; la presenza del prossimo integra la nostra personalità e ci fa uomini completi». Ed è anche per questo che oggi, quando non potremo più dire «cosa dirà Mila, cosa ne penserà Mila?», ci sentiamo tutti oriani, privati di quella persona unica, di quell'uomo completo che ci arricchiva con la sola presen- Giorgio Pestelli

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