Quell'anno a Gerusalemme di Guido Ceronetti

Quell'anno a Gerusalemme SUSSURRI E GRIDA Quell'anno a Gerusalemme Ah! Un momento che sarebbe stato da vivere, e altri l'hanno vissuto, e per loro, forse, non fu memorabile. Chi sa, dei curiosi, qualche giornalista... Fu quando Edmund Allenby, ottimo comandante britannico, entrò a Gerusalemme, il 9 dicembre 1917, settahtuno anni fa; i Turchi, che nessuno ricorda con piacere, dopo quattrocento anni, spariti — travolti da un'offensiva alleata delle più brillanti, partita dal Cairo cinque mesi prima. Allenby, ufficiale di cavalleria, volle entrare a piedi, solitario, come un pellegrino, nella città liberata-conquistata. Entrò per la porta di Giaffa. Era quello il momento di essere-là, per mangiare una pannocchia di storia autentica, bene arrostita, assimilarla, farne sentimento e idea. La scuola storica concettualista non tiene conto del sentimento: se questo è lasciato inerte, quel che si cerca di far rivivere sarà anemico, spettrale. Allenby a Gerusalemme! Diceva André Gide che il nome Agamennone gli dava voglia di piangere: è così, quando si avvertono le forze in movimento, nell'invisibile, dietro i nomi e i fatti. Avrei voluto essere là, il 9 dicembre 1917, opportunamente digiuno, per godere meglio la commozione, sentire l'ala del destino passare. C'è una parola ultraconsolatrice nei diari di Tommaseo: «la dolce ebrietà degli studi e della meditazione». Di questa ringrazio, ne ho avuta un po', ne ho ancora, ne difendo con le unghie gli attimi, ma essere una o più volte, nel corso di un'esistenza, attraversati dalla vertigine dei forti, irripetibili, decisivi avvenimenti della storia, questo è madre di rutto, questo è un formidabile ossigeno dell'anima. Si è costretti a far bastare i libri, le date, certe date, gli anniversari, perché in una nazione immensamente avvilita dalla rinuncia collettiva alla sofferenza e al tormento dell'essere-nella-storia non resta che la pena dell'incretinimento, la voluttà di sprofondare in assenze e in diminuzioni di eticità propria e comune, in laghi quasi oceanici di malavita. La figura di quell'ufficiale della più libera nazione del mondo che porta con sé i drammi e la confusione dell'Occidente moderno e li depone dentro il dado mistico dell'Oriente più pensato, più avvolto di pensiero e di sangue, è un'immagine che riscatta, perché ci ricongiunge con i fili di un destino. Al di là della porta attraversata da Allenby c'erano, allora, un po' meno di ottantamila abitanti, greci, armeni, turchi, arabi, ebrei-, e una topografia rimasta invariata, dall'epoca delle mura di Solimano; stracci, putredine, barbe, occhi in attesa, pugnali nell'ombra. Un mese e sette giorni prima c'era stata la Dichiarazione Balfour. Sui giornali di allora leggo questo curioso particolare di cronaca: dopo un trionfale Te Deum a Westminster, la folla dei cattolici cantò in inglese il God save the King, novità per le chiese cattoliche, dove la lingua di rigore era il latino. Scopro anche un curioso errore — anzi, piuttosto madornale! — nelle dichiarazioni che fece allora Chaim Weizmann, presidente della federazione sionista e grande macchinista, nell'ombra, della dichiarazione Balfour (Daily Chnmcle, 12 dicembre 1917): «La caduta di Gerusalemme non dev'essere chiamata caduta, ma resurrezione. E' avvenuta precisamente il giorno nel quale Giuda Maccabeo conquistò contro i Romani il tempio santo, fatto che gli Ebrei del mondo intero celebrano attraverso i secoli..;». Ma Giuda Maccabeo non fece mai guerra coi Romani e morì nel 160 avanti l'era volgare combattendo contro i Greci dei successori di Alessandro. Gerusalemme l'aveva tolta al greco Nicànore, la cui testa fu portata nella città insieme al suo braccio. Giuda Maccabeo ne tagliò la lingua e comandò che fosse fatta a pezzettini e data a beccare agli uccelli, e \oyad, il braccio, simbolo della forza e del sesso, di sospenderlo in faccia al tempio. Il «giorno di Nicànore- divenne ricorrenza festiva in corrispondenza del tredicesimo giorno di Adar (dodicesimo mese del calendario lunare, il nostro marzo). Forse Weizmann giocava con le date e i nomi per rendere più pregnante l'avvenimento? Non ce' n'era bisogno. E altro che guerra coi Romani! Giuda Maccabeo, appena presa Gerusalemme, inviò a Roma una deputazione che tornò con un patto di ferro tra Ebrei e Senato di Roma, un patto che pre¬ vedeva assistenza reciproca in guerra e nessun rifornimento in pace: non battersi, era la vera fame... La lettera, su tavolette di bronzo, che i delegati di Giuda tornando portavano a Gerusalemme, invocava per Ebrei e Romani prosperità perpetua «in terra ed in mare» (I Maccabei, Vili). Dei giornali mai fidarsi, mai... (Delle Scritture sacre un po' di più, ma verificare tutto, setacciare...). Di vero c'è, certamente, che Sir Edmund Allenby, dalle campagne di Fiandra — cielo nero e tango, alberi morti e nuvole di gas, dove morivano «uomini degni delle tue lacrime» OX'ilfrcd Owen) — era stato portato fin là dalla «epifania di Dio» (II Maccabei, XV) spargendo poco sangue, e stabilendo nella città, dove lo crociarono i cavalieri di Malta, una legge marziale che assicurava la protezione di tutti quei luoghi sacri e di culto, conventi e moschee, che avrebbero potuto facilmente infiammarsi. E questo avveniva nel più cruciale dei cruciali anni di questo secolo. La rottura con Roma è di un secolo dopo, quando Pom¬ peo vorrà introdurre immagini divine nel Tempio implacabilmente iconofobo, e i Romani divennero per i Giudei peggio che Edom e Amalek. Allenby aveva ben più saggezza di un generale romano ed entrò fra le benedizioni di tutti, arabi compresi. Va notata la ricorrenza magica del numero Sette, nel destino di Gerusalemme. Tito la prende e distrugge il tempio nel 70. (La prima crociata è fuori del 7: partenza nel 1096 e carneficina tinaie a metà luglio del 1099, un paradiso per le mosche). I Turchi la prendono ai cristiani nel 1517. Nel 1897, a Basilea, è il primo congresso sionista mondiale. Nazioni alleate, ancora nominalmente cristiane, ma per tutt'altre ragioni, sventando il progetto di un principato tedesco accarezzato dal Kaiser, la riprendono ai Turchi nel 1917. La spartizionedelia Palestina decisa dalle Nazioni Unite è del 19-47. Gerusalemme è conquistata e di fatto annessa dagli Israeliani nel 1967. Nel 1977 Anwar Sadat arriva in Israele e fa la pace tra Egitto e Gerusalemme. Nel 1987 ha inizio da Gaza alla Cisgiordania (Giudea e Samaria) il moto lapidatorio palestinese (.al-intifada, «lo scuotimento», «la scrollata»). Nel 1997... Guido Ceronetti