Con Camille Claudel all'inferno di Barbara Spinelli

Con Camille Claudel, all'inferno CINEMA E LETTERATURA RISCOPRONO LA TRAGEDIA DI UNARTISTA Con Camille Claudel, all'inferno Troppo romanzata, la vita della scultrice appare monca - Film e libri trascurano l'orrore dei manicomi in cui per trent'anni fu tenuta prigioniera dalla famiglia - Le gravi responsabilità del fratello poeta Paul, convertito al cristianesimo, ma bigotto e spietato - L'amore con Rodin è il dramma di un'arte morente, nel crepuscolo dell'Ottocento PARIGI — Un romanzetto che in Francia ha venduto 800 mila copie, e anche in Italia va a ruba; un filmone interpretalo da Isabelle Adjani, come sempre scintillante, come sempre specialista nelle parti della folle; e per completare il bouquet, una gran quantità di articoli sentimentali, di libri pensosi, di commossi dossiere psico-medici: dimenticata dalle enciclopedie, inghiottita dal tempo, ecco riapparire all'orizzonte Camille Claudel — scultrice non irrilevante della seconda metà dell'Ottocento — più viva che mai. Scultrice non irrilevante e però reietta, abbandonata a un destino che usiamo definire tragico, quando andiamo di fretta. L'amante di Auguste Rodin, la sorella dello scrittore Paul Claudel, fu internata nel 1913 in manicomio. E ivi si spense, nel 1943. Tutti i libri e i film e i fumettoni hanno un nobile scopo: resuscitare l'artista ingiustamente obliata, strapparla dall'ombra, ricostituirne l'epopea. Fu un romanzo, la vita e l'opera di Camille: un tipico romanzo di donna Di donna sfruttata doli 'uomo, e dall'uomo offuscata, armichilita: come tante prima di lei, e dopo, e per l'eternità. 1 redentori di Camille Claudel sono quasi tutte donne: da Isabelle Adjani a Brigitte Fabre-Pellerin ad Anne Delbée, l'autrice del libro che va a ruba. Il romanzo s'intitola Una donna in Italia è pubblicato da Longanesi, e ha strappato lacrime a molli lettori. Non so come Camille Claudel avrebbe reagito a quest'onda di affetti: spumeggiante, trionfalmente complice. Sospetto tuttavia che non avrebbe gradito i fumettoni che invariabilmente si fermano di fronte ai cancelli dei manicomi, e oltre i cancelli addensano insignificanti punti esclamativi, e spiegano tutto troppo • loquacemente, troppo poeticamente. O che la descrivono splendente, sino al giorno dell'internamento: bella come Isabelle Adjani spettinata e felina, nell'ultima sequenza del film di Bruno Nuytten. No: al di là dei cancelli finisce ogni poesia, e perfino parlar di destino tragico perde senso. Il destino è un disegno nel quale ti iscrivi, è la versione laica dell'antica Provvidenza, La tragedia è peccalo, sacrificio, espiazione, e finale coscienza del male. Nulla di tutto questo, negli spazi manicomiali dove Camille abito per trent'anni. Nessun destino, nessuna tragedia, ma un inspiegabile buco nero, uno sradicamento totale. Un inferno in terra. Lo spettatore non può identificarsi coti l'incubo trentennale di Camille. Può solo ascoltarne l'orrenda monotonia, smettere il parlottio complice, e sperare che sia fatta luce. Il vero libello sulla scultrice imprigionata viva, il j'accuse sul caso-Claudel, ancora deve uscire. Meglio ■nell'attesa leggere i libri dì Foucault, sulla? storia della follia e i manicomi dell'Ottocento. Meglio leggere le lettere di Camille dagli asili, cercare di vedere nelle fotografie, guardare le sue sculture, e assieme ad esse quelle di Rodin. Cominciamo dalle lettere, le rarissime messe a disposizione dalla famiglia Claudel. «Mia cara mamma-, scrive Camille nel febbraio '27, quattordici anni dopo l'internamento, «ho molto tardato a scriverti perche il freddo è tale che non potevo stare in piedi... Sono ghiacciata fino alle ossa tagliata in due dal gelo... Mai potrai immaginare quel che soffro in queste case... Quanto alla camera, è lo stesso: non c'è alcunché, né un piumino, né un bugliolo, nulla, solo uno schifoso vaso da notte i tre quarti delle volte sbreccato, e uno schifoso letto di ferro... Sei ben dura a rifiutarmi un rifugio a Villeneuve. Non farei scandalo, non oserei più muovermi, tanto ho sofferto. Non farei nulla di reprensibile-. fi desiderio di essere accolta nella casa di campagna dei Claudel, a Villeneuve, non si spegnerà mai. Camille tornerà a pregare la madre alla fine di febbraio, e più volte implorerà il fratello Paul: 7iel marzo 1927. nel marzo 1930. nell'aprile 1932 i-Come vorrei essere a casa mia e chiudere bene la mia porta!-). Difficile capire tanta ferocia, se non aggrappandosi alle fiabe di Grimm o di Basile. Difficile penetrare l'ipocrisia tardoottocentesca della famiglia Claudel, sema provare nausea. La madre. Louise, non smetterà di odiare la figlia, di chiamarla sgualdrina e stravagante (mai ne temerà la violCTiza. tuttavia). Respingerà il consiglio dei medici di trasferirla a Parigi; e fino alla propria morte si rifiuterà di andarla a visitare. E che dire di Paul Claudel, il compagno-fratello dwenuto poeta e ambasciatore famoso? Convertito al cattolicesimo durante l'adolescenza. Paul cotisidera ovvia la degradazione morale della sorella, invocherà la sua morte come una -liberazione-. Nel 1913. lo stesso anno in cui ordinerà il sequestro di Camille, rievoca ampollosamente la propria conversione: -Che mi importava il resto del mondo, di fronte al nuovo e prodigioso essere che mi veniva rivelato. L'inferno, ormai lo so. e ovunque Gesù non e-. Paul Claudel vedrà dunque la sorella sfigurarsi, e non sussulterà: nel 1920 Cannile gli appare -magra, tutta grigia senza denti-, nel '25 la descrive «sdentata, sfasciata vegliarda-; ne/ '33 la scopre «ternburnente vecchia, pietosa, la bocca corredata di qualche orribile radice di denti-. Solo nel settembre '43. un mese prima della morte di Camille. annoterà nel diario: -Amaro, amaro rimpianto di averla cosi a lungo abbandonata!-. Infame cristianesimo di Claudel. Cristianesimo estetizzante, perché la sorella che Paul ha amato era una sola: era la stupenda ventenne che scalpellava il marmo con spavaldo accanimento (Camille era uno dei rari scultori a farlo, nell'Ottocento) e plasmava il bronzo, e voleva creare opere. Stupenda era. come nel film interpretato dalla Adjani. ma per breve tempo. Appena dieci anni dopo, a trent 'anni, Camille è già un'altra donna: una foto la ritrae ingrassata, il volto tumefatto dall'alcol, gli occhi non più malinconici ma del tutto spenti. Qualcosa e accaduto a questa donna, di terribile; e alla sua arte, di devastante. Dieci anni sono passati e un mondo si è capovolto. Dicono biografi e autori di film che in mezzo c'è il grande male, che ha guastato ogni cosa: l'amore tra Camille e Rodin, anzi lo spasmo, seguito dall'abbandono, la caduta, e la perdizione. Dicono che Rodin ha sfruttato il suo genio, e poi l'ha sacrificata per meglio farle ombra. Dicono che non era amore bensì dominio, e violazione di una autonomia di donna. Camille avrebbe sofferto di troppa dipendenza di troppo assoggettamento, e per questo avrebbe poi maledetto Rodin sino a divenire una persona braccata, con deliri di persecuzione. L'amore-possesso l'avrebbe ridotta a quel che infine è divenula. Confesso che non mi convincono punto, queste storielle psicologizzanti su Rodin che offusca Camille, e su Camille che non ha potuto esser se stessa Non vedo cosa c'entrino le vicende amorose, che son roba privata e intricata, con l'opera die l'artista ha saputo — o non ha sapulo — creare. L'opera e al di la del nome, e un'altra cosa dal nome, nasce da qualcosa di più insondabile del nome. Mi piace osservarle, le opere, senza conoscere i curriculum. Prefc risco il breve saggio di Rilke su Rodin alle molte biografie. Preferisco il dramma di Ibsen sull'incontro mortale tra Auguste e Camille '-Ci nsveglieremo tra le tombe-) agli straripanti romanzi rosa. L'incontro fu grandioso, fu sublime esperienza artistica basta dimenticare i libri e guardare le statue o i magnifici acquarelli di Rodin per accorgersene. Cose simili accadono cosi di rado-due artisti che per un attimo formano un viluppo, hanno comuni visioni, allacciano statue Luna ali altra, scalpellano insieme la pietra, creano mani, piedi, corpi Rodin tendeva faticosamente verso forme statuarie classiche. Camille verso l'informe, il deforme. Rodin puntava il dito al cielo, con estrema fatica, la scultrice guardava l'inferno. Il giorno in cui Camille ha voluto uscire fuori dall'ombra di Rodin — e ha cominciato a chiedersi per chi lavoro io? per chi lavora lui? — si è perduta, ed è caduta pesantemente sul suolo dell'Ottocento. L'Ottocento superbo e sciocco di Leopardi. l'Ottocento melmoso e ipocrita di Flaubert, che stritola i piccoli sogni di grandi destini. D'altronde forse la storia di Cannile e Rodin e essenzialmente questo: il dramma di un'arte morente, nel crepuscolo dell'Ottocento. Di una scultura disperatamente con¬ servatrice di forme, di corpi umani, in mezzo al dilagare dell'arte astratta. Rilke racconta molto bene la tragedia di quelle statue sospese ormai nel vuoto, orfane delle cattedrali che a suo tempo le giustificavano, delle architetture di cui le statue erano tasselli. Rodin ha sentore della tragedia, quando scolpisce due mani congiunte e le chiama: «Cattedrale-. La cattedrale non e più, invano le mani la implorano, e la sostituiscotio. Quanto a Camille, il suo mestiere fu immenso, ma parte della sua scultura ha qualcosa di incompiuto, e mal-compiuto. A volte la pietra si raggruma parossisticamente, e inutilmente. Altre volte è retorica e ridondante come certe statue fasciste. E' il caso di una delle sue ultime sculture, Perseo e la Gorgona Gorqonn e priva di fascino: ha il volto rigonfio ài una dorma volgare, la testa coperta da serpenti carnosi e senz'anima. Per questo e sgradevole, la fiaba sull'autonomia dell'artista, e della donna. Di autonomia si può morire, e può morire l'arte. Compiuta l'emancipazione, non resterà che il mondo dei nomadi evocato da Rilke nel saggio su Rodin nomadi -senza tetto, senza focolare dove fermarsi né luogo dove costruire, senza casa comune- Luogo di alienati mentali. Se la storia di Camille dev'essere una parabola, e meglio forse che sia parabola dell'arte, più che di una donna. Che resti intatta la magia sia pur momentanea dell'incontro con Rodin. Dentro il cerchio dell'incontro Camille comincio a splendere, e ancora splende. Sotto quel tetto non era se stessa ma pura obbedienza, pura dipendenza: come ai tempi in cui l'artista ubbidiva a Dio. o almeno lo cercava. Fuori dall'incontro fu il precipizio. ■ quello descruto da Nietzsche nello Zarathustra -Ti dici libero? Voglio udire il tuo pensiero dominante, e non che sei sfuggito a un giogo Sei uno che ha dovuto sfuggire a un giogo? Ci sono quelli che hanno gettato il loro ultimo valore, quando hanno gettaui la loro dipendenza-. // valore di Camille Claudel non e andato disperso: per fortuna vive ancora all'ombra dell'amicomaestro, nel museo Rodin di Parigi. Barbara spinelli Camille Claudel a vent'anni in una fotografia di Cesar la sua vita, un romanzo di donna sfruttata

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