«Così ho convinto Shultz »
«Così ho convinto Shultz » «Così ho convinto Shultz » La «pista svedese» parte da Stoccolma e attraverso Gerusalemme, Il Cairo e Washington porta a Ginevra - «Dopo il no al visto per Arafat pareva tutto perduto» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON — Dietro l'apertura del dialogo tra gli Usa e l'Olp c'è la -swedish connection-, la pista svedese, una pista romanzesca su cui il ministro degli Esteri della Svezia Sten Andersson e riuscito a realizzare il miracolo politi'o dell'ultimo decennio in Medio Oriente. Ricostruita ieri nei particolari dal New York Times, questa pista, ai conlini tra i servizi segreti e la diplomazia, parte da Stoccolma e attraverso Gerusalemme, il Cairo e Washington conduce all'Onu a Ginevra. Il suo è un itinerario affascinante, che mette in luce come uomini in apparenza senza potere ma di buona volontà possano diventare portatori di pace. La data di nascita della -swedish connection» è il marzo di quest'anno. Quel mese. Sten Andersson, un socialdemocratico cresciuto alla scuola di Olof Palme, il premier assassinato tre anni fa, si reca In Cisgiordania e a Gaza per toccare con mano la realtà dell'insurrezione palestinese. Ne torna sconvolto: i territori occupati, osserva, sono il Vietnam di Israele, o si risolve il problema della Palestina, o il Medio Oriente salterà entro pochi anni. D'accordo con il premier Ingvar Carlsson, Andersson forma una task force speciale all'interno del suo ministero, e l'aprile successivo parte per Washington. In un incontro con Shultz. gli chiede via libera per la mediazion. Andersson, riferisce il New York Times, spiega il proprio piano al segretario di Stato. Si tratta di far prendere contatti con l'Olp alle comunità ebraiche americane più illuminate, che costituiscono un tramite sia con Washington sia con Israele, e di indurre Arafat ad abbracciare incondizionatamente le risoluzioni 242 e 338 dell'Orni e a rinunciare in toto al terrorismo. L'Egitto, precisa il ministro, sa del tentativo ed è pronto a collaborare. Shultz è nel pieno delle sue vane missioni presso i governi arabi e israeliani, intravede nella proposta la possibilità di una schiarita e acconsente. Il ministro degli Esteri svedese mobilita il suo braccio destro, il sottosegretario Pierre Schori, conoscitore del Medio Oriente come lui, che si reca subito dalla lobby ebraica a Los Angeles. Nel massimo segreto, nei sei mesi successivi, la punta più progressista delle comunità ebraiche americane e Arafat comunicano tramite Stoccolma. A novembre, tre loro leaders, Hauser, Kass e Sheinbaum, tengono a Stoccolma la prima riunione clandestina con uno dei fondatori dell'Olp, Khalid al Hassan. Hanno una base concreta su cui lavorare: il proclama di Algeri, che ha attirato l'attenzione di Shultz senza però convincerlo. Come in un giallo alla James Bond. in un ristorante della capitale svedese, su carta intestata del ministro degli Esteri, i quattro preparano una -bozza d'impegno» dell'Olp nei confronti di Israele che dovrebbe riuscire gradita al segretario di Stato. Il 25 novembre scorso, un membro della task force di Sten Andersson consegna la bozza a Shultz, che deve decidere proprio in quelle ore se concedere o no ad Arafat il visto per New York. Andersson è convinto che il grande momento sia arrivato, che il documento basti perché Shultz dica si e Arafat compia un ingresso trionfale al Palazzo di vetro. Ma il signore della diplomazia Usa tergiversa: -Queste cose — decreta — Arafat deve scriverle o pronunciarle in pubblico-. Il giorno dopo, contro il parere del vicepresidente Bush, del consigliere della Casa Bianca Powell e forse di Reagan, Shultz rifiuta il visto al leader dell'Olp. Hanno raccontato i protagonisti della «swedish connection- che in quel momento temettero di aver perduto la partita. -Fu Arafat a riaprirla» ha rilento Rita Hauser, un noto avvocato di New York. Il primo dicembre, i tre leader delle comunità ebraiche americane ricevono infatti una telefonata improv¬ visa da Anderssson: «Tìie big man», il grand'uomo come lo chiamano in codice, Arafat in persona li vuole vedere a Stoccolma il giorno 6 e 7, ed è disposto a soddisfare le condizioni di Shultz. I tre si precipitano nella capitale svedese, insieme con una nuova «bozza d'impegno- su Israele stilata dallo stesso segret ario di Stalo, le speranze sono di nuovo alle stelle. Anche questa volta è un fiasco: «Per motivi d'orgoglio», dice Andersson, Arafat ritocca purtroppo la bozza. Ma le varie parti si rendono conto di aver imboccato una strada senza ritorno, e nelle parole di Andersson «da quel momento è un tango, due passi avanti e uno indietro». e. c.
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