Ma chi sono i «veri ebrei»?

Ma chi sono i «veri ebrei»? Le recenti elezioni politiche hanno incrinato il già delicato rapporto tra gli ebrei nel mondo e lo Stato d'Israele Ma chi sono i «veri ebrei»? Il successo dei partiti religiosi a Gerusalemme ripropone la disputa tra ortodossi e riformati liberali L'invasione del Libano e la guerriglia nei territori occupati frenano il ritorno nella terra dei Padri Elon Salmon, autore dell'articolo che pubblichiamo sui rapporti tra lo Stato ebraico e la Diaspora, è nato in Israele. Attualmente fa il giornalista e scrive romanzi. Israele sta attraversando U suo periodo peggiore. Mentre la decisione dell'Olp di proclamare uno Stato indipendente l'ha messo alle corde, l'inconcludente risultato delle elezioni ha reso impossibile una risposta plausibile. Fattore egualmente importante, c'è confusione e angoscia tra larghi strati dell'opinione pubblica a causa dell'accresciuto potere del blocco religioso, senza cui né il Likud né il partito laborista possono formare un governo. I partiti religiosi chiedono molto, e una richiesta, in particolare, sta creando tensione nei rapporti fra Israele e la Diaspora ebraica, più di quanto non avvenne con l'invasione israeliana del Libano, nel 1982, e quel che ne segui, Ano alla sollevazione palestinese nei territori occupati. La domanda investe l'eterno problema del 'Chi è ebreo?'. Gli ebrei ortodossi — la cui versione dell'ebraismo è l'unica ufficialmente riconosciuta e politicamente organizzata in Israele — sostengono che solo i Bgli nati da matrimoni ebraici ortodossi, o le persone convertite da ebrei ortodossi possono essere definite ebrei, e dunque avere i requisiti per l'immediata concessione della nazionalità israeliana in base alla Legge del Ritomo. Ma nella Diaspora —. segnatamente negli Stati Uniti — gli ebrei riformati e liberali, che interpretano la legge rabbinica in un modo lievemente diverso, superano largamente gli ortodossi. Costoro si oppongono a che la loro ebraicità venga posta in discussione e giudicata dalle autorità d'una tradizione rivale. E i governi israeliani succedutisi nel tempo hanno finora resistito alle pressioni su questo punto. Ora, il blocco religioso ha in mano la carta vincente. Molti ebrei dell'Occidente pensano ancora che Israele sia una democrazia di tipo europeo, egemonizzata dagli askenaziti, vivente sui valori che si guadagnarono l'ammirazione del mondo 40 anni fa, quando venne creato lo Stato ebraico. All'inizio, Israele era un Paese largamente laico, e socialista, ma le immigrazioni di massa dal Nord Africa, dall'Asia e dai Paesi arabi negli Anni Cinquanta hanno cambiato questo stato di cose. I nuovi immigrati erano religiosi e ortodossi, ma in un primo tempo si orientarono verso i partiti secolari, il laborista o il nazionalista Herut di Menachem Begin. Le immigrazioni successive divennero sempre più a carattere religioso, in particolare dopo il 1957. Anche allora, le fortune politiche dei partiti religiosi israeliani vennero solo marginalmente migliorate, ma le componenti religiose della società si rafforzarono massicciamente. Lo Stato d'Israele ha dato agli ebrei della Diaspora un senso d'orgoglio, una nuova dimensione della coscienza nazionale e il gusto del potere. Vogliono che Israele sia amato e ammirato perché ciò che Israele fa e il modo in cui viene considerato, incide sull'immagine che hanno di se stessi e che i non ebrei hanno di loro. Una vittoria laborista nel 1988 avrebbe ridato a Israele un po' del lustro che aveva perso. La piena adesione ai negoziati di pace sponsorizzati a livello intemazionale, e la disponibilità allo scambio pace-territori avevano fatto buona impressione. L'immagine dell'intransigente nazionalismo religioso si sarebbe appannata, l'accusa di razzismo avrebbe perso mordente. Dietro queste ansie si cela tuttavia un'altra profonda preoccupazione, condivisa da una grande maggioranza di ebrei e israeliani: il timore per la sicurezza e la sopravvivenza stessa di Israele. Questa paura li tormenta come un riflesso profondo, non destinato a placarsi. Chiunque eviti di tenere in considerazione questa circostanza non comprenderà mai la mentalità ebraica. A Pasqua, gli ebrei di tutto il mondo si saluteranno dicendo, come hanno detto per secoli: -L'anno prossimo a Gerusalemme'. Solo pochi, però, adempieranno la promessa perché, malgrado Israele sia divenuto il più potente simbolo contemporaneo dell'identità ebraica, le sue attrattive come Paese in cui gli ebrei vogliono vivere davvero sono declinate negli ultimi dieci anni sino a raggiungere un livello quasi insignificante. Gli ebrei raccolgono ancora fondi per Israele senza diminuire il loro impegno. Qui, come sempre e in qualunque altro campo, gli ebrei americani hanno preso il primo posto. Ammontando a più di sei milioni costituiscono la più grande, creativa e imponente comunità ebraica del mondo. Ma Valiya (in ebraico significa ascensione, per sottolineare l'elevazione spirituale connessa all'immigrazione in Israele) si è virtualmente fermata. Oli ebrei sovietici, quando ne abbiano anche solo una mezza possibilità, optano per gli Usa. Quelli sudafricani, i sionisti più ferventi, emigrano in Gran Bretagna, Stati Uniti, Canada; la terra in cui s'Incarnò il sogno sionista sta più indietro nella loro lista delle priorità. Succede lo stesso per gli ebrei latinoamericani. Quei pochi che scelgono Valiya sono perlopiù religiosi. I fondi I leader israeliani hanno ripetutamente messo in evidenza che l'impresa sionista era una joint venture tra Israele e la Diaspora. E' sta la, tuttavia, una cooperazione non semplice, né parità ria: Israele costituiva la realtà; la Diaspora aveva funzione d'appoggio, acritica. L'invasione del Libano provocò una profonda crisi nei rapporti Israele-Diaspora, ma il mutuo impegno non ne risultò indebolito perché, nel suo cuore, ogni ebreo avverte che l'eclissarsi di Israele sarebbe una catastrofe di tale mole da superare ogni immaginazione. Due organismi strettamente collegati, entrambi con sede in Israele — l'Agenzia ebraica, e la sua emanazione, l'Organizzazione sionista mondiale — lavorano per rimpinguare grazie ai fondi della Diaspora le obbligazioni emesse da Israele. All'epoca del mandato britannico e ancora prima, l'Agenzia ebraica era l'organo di governo della comunità ebraica in Palestina. Oggi l'agenzia è U recipiente in cui vengono messi i fondi rastrellati nella Diaspora dalle organizzazioni ebraiche come il Joint Israel Appeal nel Regno Unito e il suo corrispondente Usa, l'United Jewish Appeal. L'Agenzia ebraica impiega il denaro, fra l'altro, per finanziare i nuovi insediamenti e sostenere la burocrazia, nonché quella dell'Organizzazione sionista mondiale (Wzo). Nella sua vocazione a tenere accesa la fiaccola del sionismo, la Wzo può essere paragonata a una missione. I suoi legami con la Diaspora vengono mantenuti attraverso federazioni sioniste locali, che finanzia usando fondi ricevuti dall'Agenzia ebraica. Il parallelo con una missione è appropriato, giacché il sionismo attuale, orfano di contenuti pratici e programmi ideologici, ricorda più d'ogni altra cosa una professione di fede. Nel suo processo di concentrazione, la Diaspora non ha vissuto all'altezza delle idealistiche aspettative del sionismo: a quasi un secolo da quando il sionismo assunse una forma e una linea, con il primo congresso sionista tenuto a Basilea nel 1889, la maggior parte degli ebrei vive ancora al di fuori dello Stato ebraico: una cifra che si avvicina ai nove milioni e mezzo, gente sparsa in tutto il mondo. Così i rapporti tra Israele e la Diaspora si sono stabilizzati in una sorta di compromesso che consente di salvare la faccia: nessun obbligo di procedere all'aZtya, ma quanto basta per desiderarla. E se tu riconosci la centralità d'Israele nell'esistenza ebraica sei un sionista. Quanti ebrei potrebbero lamentarsene? Ci sono più d'un milione di ebrei nell'Europa occidentale. La comunità più grande è in Francia, con un numero di membri che supera, seppur di poco, i 500 mila: è cresciuta con l'immigrazione di ebrei nordafricani che hanno pre¬ ferito Parigi a Gerusalemme. La Gran Bretagna, con 340 mila ebrei, è in seconda posizione ma, quanto a impegno attivo, ha la leadership europea: Israele, in un modo o nell'altro, è al centro delle attività di tutte le organizzazioni ebraiche del Regno Unito, dal Board of Deputies (il Consiglio dei rappresentanti) — che sono l'organo ufficiale dell'ebraismo britannico — alla semi-ignorata Federazione sionista, povera di uomini e mezzi. L'orgoglio Come in tutte le comunità della Diaspora, le principali cUscriminanti sono religiose, correlate al livello d'ortodossia. In Gran Bretagna gli ortodossi rappresentano la corrente principale dell'ebraismo. Essere attivisti affiliati a Israele significa seguire la linea politica dei partiti israeliani, come altrettanti club di tifosi. Le rivalità sono aspre e spesso ricche d'acrimonia ma una regola di base vale per tutto lo staff: mettere la sordina alle critiche contro la politica d'Israele, e, in generale, contro Israele. Di fronte al mondo estemo gli ebrei devono risultare alli¬ neati e compatti dietro Israele. Dal suo quartier generale di North Finkley, a Londra, il Joint Israel Appeal ( Jia) raccoglie donazioni e tiene una posizione rigorosamente apolitica. Le sue entrate annuali oscillano fra i sedici e i venti milioni di sterline, una cinquantina di miliardi di lire. Parte di questo denaro passa indirettamente nei forzieri del Comitato affari pubblici israelo-britannico (Bipao. un ente modellato liberamente sul Comitato affari pubblici israelo-americano (Aipac), ma senza il prestigio e il raggio d'azione di quest'ultimo. La generosa risposta degli ebrei britannici alle collette della Jia suggerisce che qui, come in ogni altro luogo, il sostegno a Israele ha superato i difficili giorni della guerra in Libano e la sollevazione palestinese. All'inizio di quest'anno ho preso parte a un meeting in cui è stata sollevata la questione delle offerte in denaro fatte pervenire a Israele attraverso la Jia Un donatore mi disse: -Io dò. E'una forma di assicurazione politica-. Pensai che al giorno d'oggi era un'affermazione singolare per un ebreo d'Occidente (specie in Gran Bretagna). Ma riconosco che una simile risposta è il residuo dell'insicurezza che ancora attanaglia l'anima degli ebrei europei e influenza i loro atteggiamenti verso lo Stato ebraico. Gli ebrei americani non hanno fissazioni simili. Si sentono a casa: americani fino in fondo e in pace con la loro identità ebraica. Quando due anni fa Johnatan Pollard, un ebreo americano, fu giudicato colpevole di spionaggio a favore d'Israele, gli ebrei Usa. increduli, si sentirono oltraggiati Non per paura di una reazione antisemita, ma per la stupidita d'Israele che spiava il suo amico e alleato più stretto. Il -sogno sionista- ha poco da spartire con la maggioranza degli ebrei americani ì quali, malgrado il loro impegno a favore d'Israele, non si considerano sionisti. Eppure, Israele ha reso gli ebrei americani orgogliosi e sicuri di sé. Li ha anche portati al successo politico, che non aveva arriso loro malgrado i considerevoli successi in tutti gli altri sentieri della vita. Quel potere ora cementa gli ebrei della variegatissima comunità americana in un progetto comune, al centro di cui si trova Israele. Ci sono più di 10 miia organizzazioni ebraiche negli Usa. Una delle più antiche e rispettate e l'A- merican Jewish Committee, il Comitato ebraico-americano, che e anche una forza moderatrice in seno alla tanto vantata lobby ebraica. L'Ajc pubblica l'influente mensile Commentary. diretto da Norman Podhoretz. GÌ) ebrei americani vogliono un Israele popolare e la televisione non e d'aiuto, dice, ma il sostegno nei confronti d'Israele non e diminuito neppure con la guerra libanese, neppure con Ylntifada. Le lobbv Molti americani vedono ancora Israele come lo rappresento Leon Uris ir. Erodus. Negli Usa le critiche di parte ebraica a Israele vengono dai -liberal-, una parola dalle connotazioni negative per chi e a destra nella politica americana. -Gii americani liberal sono maggiormente critici verso Israele. Ecco perché gli ebrei liberal sono infelici-. spiega Podhoretz. Il fatto che gli ebrei votino ancora per i Democratici in misura schiacciante non li fa rientrare necessariamente nel campo liberal Mi e stalo detto che gli ebrei pronti a una strenua resistenza sulla questione dei territori erano meno d'un quarto della comunità. Ma la questione del -cAi e ebreo- e l'unico punto suscettibile di far perdere i nervi agli ebrei americani e di trascinare sulle barricale persino lo stesso Podhoretz. In effetti, le reazioni C"gli ebrei americani ai negoz:ati del Likud con i! blocco religioso sono stale abbastanza forti da far considerare senamente al primo ministro Shamir l'alternativa di un'altra scomoda coalizione con ì labonsti Due temi hanno il potere di •toi'care- i leader ebraicoamericani su un punto dolente. Il primo e l'insinuazione che il mondo ebraico americano dia un appoggio incondizionato a Israele II secondo e la quest ione della -lobby ebraica ■ Tutti i responsabili di comunità sostengono che non esiste un sostegno -senza riserve-: alle critiche danno voce, in molti casi, molti ebrei La solidarietà con Israele non viene tuttavia neppure intaccata passa attraverso le divergenze d'opinione e i differenti modelli organizzativi. Chi batte più su questo tasto è Malcom Hoenlein. direttore della Conferenza che raggruppa i presidenti delle maggiori organizzazioni ebraico-americane, un ombrello in cui trovano posto le più grandi e influenti associazioni ebraiche negli Usa. Il suo ufficio in Park Avenue, a New York, è soffuso d'efficienza manageriale. Ebreo ortodosso, Hoenlein porta la kippa. Risponde alle mie domande in modo asciutto, quasi teatralmente calibrato: non c'è appoggio in bianco per Israele, ma le critiche verso la sua politica sono trattenute all'interno, si preferisce convogliarle direttamente sui leader israeliani anziché arieggiarle in pubblico. Non esistono condizioni al sostegno ebraico-americano nei confronti d'Israele (la contraddizione passa inosservata); gli americani appoggiano Gerusalemme non a motivo degli ebrei, ma perché è una democrazia stabile e offre buone opportunità strategiche. L'anno scorso, uno scrittore americano, Edward Tivnan, scrisse un libro intitolato The Lobby, in cui tracciava lo sviluppo dell'Aipac descrivendola come la lobby più potente d'America. I leader ebraici su questo punto amano minimizzare. L'idea che la -lobby- possa manipolare senatori e uomini del Congresso, sostengono, è un insulto alla democrazia americana. Ma Tivnan enumera una serie di casi in cui esponenti del Congresso entrati nel mirino dell'Aipac per questioni concementi Israele persero la battaglia elettorale e il posto quando si ricandidarono. L'Aipac ne ha fatta di strada da quando, nel 1954, venne creata. Da puro servizio informativo e assurta a organizzazione con tanto di tesseramento che ha preso in pugno gli affari ebraici. Il suo budget annuale supera i sci milioni di dollari, oltre sette miliardi e il suo staff comprende settanta persone, altamente qualificate. Le collusioni con la politica americana sono strette. Per la macchina politica israeliana la Diaspora Usa e Tunica che conta davvero. 1 politici volano in America con regolarità. E' davanti ad assise ebraico-americane che i primi ministri d'Israele spesso fanno dichiarazioni politicamente rilevanti. Ma, reciprocamente, il prestigio dei leader ebraico-americani dipende dalle relazioni che hanno in Israele ai massimi livelli, e perciò se hanno a cuore la loro posizione ci penseranno due volte prima di derogare. Nelle recenti elezioni -antisioniste- tenutesi in Israele, i rabbini ultra-ortodossi di New York per la prima volta gettarono tutto il loro peso sul blocco religioso israeliano, quello da cui ora dipende il nuovo covemo. Cosa succederebbe se Israele cambiasse "osi radicalmente da rendere inconciliabile la sua nuova natura con la visione della Diaspora? Cosa succederebbe se il terreno comune dell'ebraismo, i suoi valori sinora condivisi si erodessero al punto che gente come Podhoretz. per non menzionare i tiepidi amanti di Sion, non potesse più sentirsi consanguinea dello Stato ebraico" Cosa succederebbe se Israel' voltasse le spalle alla Diaspora? Oggi pochi ebrei delia Diaspora possono figurarsi uno scenario simile. Ma la di variazione tra gli ebrei della Diaspora e Israele sta progressivamente allargandosi, specie fra i giovani. Negli Usa vivono trecentomila israeliani Una comunità autonoma, che non ha virtualmente rapporti con gli ebrei americani e le loro istituzioni. Potrebbe essere l'infausto presagio — ancora fievole ma sinistro — per le future relazioni tra Israele e la sua Diaspora0 Elon Salmon Cop> righi «Financial Tintesi* t? per l'Italia «La Stampa» Negli Usa ci sono più di diecimila organizzazioni ebraiche: per loro Israele è ancora una piccola nazione in pericolo. I rabbini di New York hanno gettato tutto il loro peso sul blocco religioso, da cui ora dipende il nuovo governo. Ma che cosa succederebbe se il terreno comune dell'ebraismo e i suoi valori si erodessero? Se i tiepidi amanti di Sion non potessero più sentirsi legati allo Stato ebraico? Gerusalemme. Dimostranti di 23 Paesi protestano, il 28 novembre, davanti all'ufficio del primo ministri), contro le norme restrittive della Legge del Ritorno (Ap)