Sindone ritrovata di Guido Ceronetti

Sindone ritrovata SUSSURRI E GRIDA Sindone ritrovata Era ancora la Torino fedelis- I usima. Quando ero bambino, delj'impregnazione eristica della Sindone conservata in Duomo nessuno dubitava. Faceva parte della torinesità essere nati e abitare (se non si era di piazza Balilla! di barriera M!) nella bisettrice radiosa dell'emanazione sindonica: salvacondotto magico, privilegio di nascita. Potevano dubitarne la signora Levi, il ragionier Iona, il professor Mal .in, ma evitavano di far noto il loro scetticismo. Essere nati in prossimità di qualcosa che sigilli il Sacro attenua la sventura di entrare in un mondo di pena, senza poter capire il perché. Sindone o tomba di Zaddik di perdute Galizie o luogo di apparizione mariana, di responso di Sibilla, sono delle felicità che sdoloriscono e che non si perdono, perche radicano, tracciano un cerchio intorno all'incerto profilo dell'identità, la rendono meno labile. Ma neppure in queste vecchie terre nasce più gente «all'ombra di», che negli anni possa riferirsi ad un plinto consacrato. Riconosco i segni e la loro assenza. Le facce dicono tutte, o quasi tutte, nascite di cesareo in cliniche lontanissime dalle apparizioni miracolose, nascite per scossone chimico spiate da telecamere in luoghi dove la sacralità più vicina è un parcheggio sotterraneo che stride, un traliccio che attira e rovescia immagini senza senso. Le tombe: chilometri di muraglia crivellata di loculi... Provati a ceteare, là in mezzo, «l'urne dei forti» che «bella e santa fanno...»! L'unica cosa si possa fare, in queste acri privazioni di ossigeno muto, e ridere. L'ultima propaggine della sensibilità è il riso assurdo — riva per pochi naufraghi... Se poi esamini le loro carte, vieni a scoprire che erano nati a duepassi dalla Sindone o nel profumo lasciato dal Baal Shem Tov. * * Umiliata a reperto per indagini di questura — non da ieri soltanto — la Sindone si è sbiancata, l'immagine ha emigrato. Niente è più distruttivo che, in cose tanto fragili, volere prove, prove da esibire a dei fatui! Appare offuscata e piena d'insicurezza una Chiesa che in tutto si vuole d'accordo con la scienza più ribollente, più costosa e delirante! A furia di demolire «superstizioni», angosciata che se ne infiltrino di nuove, che ne restino residui, che cosa avrà ancora in mano, la Chiesa? E' scientifica la Resurrezione? Exitia/is snpmtitio: è la lapide di Tacito per il cristianesimo da |xko nato. Non aver capito che l'umanità d'oggi ha più bisogno di miracolo che di pane è da sguardo che non morde le cose, che se le fa sfuggire. Giustamente, la sinagoga di Amsterdam sentì un pericolo mortale nelle spiegazioni che dava, scientifiche, del passaggio del Mar Rosso, il suo più geniale allievo, e non perse tempo a maledirlo. Tuttavia quel reietto non era un distruttore: è la differenza tra un pensatore e un laboratorio. Il pensatore più radicale lascia sempre una radura per il risorgere della fenice, il laboratorio cede il posto soltanto al laboratorio — il suo avvenire è l'estinzione completa di quel che è pensiero. L'incredulità aveva già abraso la cristicità della Sindone molto prima del carbonio ra dioattivo. Una testimonianza storica, documentale, di un supplizio voluto messianico, che potrebbe non aver avuto materialmente luogo, sospeso tra «quel tempo» e l'ilio tempore, ci vuole la forza di una tradizione compatta, inesorabile, per renderla e mantenerla tale. Un vacillante sostegno tradizionale era destinato a perdere la sacralità della Sindone. E una Chiesa debole, incapace di sfide «superstiziose», di tralignare al secolo, è inevitabilmente sottomessa al " dato. La vita rimescola dati e dadi; l'ultima parola, su tutto, sarà a dirla il silenzio. Ma l'ipotesi medievalista era formulabile anche a occhio e croce, come la più naturale. Resta l'incalcolabile energìa di un'impronta umana in un lenzuolo funebre consuntissimo (e parte del sim bolo), quel segno a sanguigna di un corpo che ha sanguinato lì, dopo un prolungato martirio: e Chi era? Un santo? Un eretico? Un assassino? Data l'oscurità ripiombata sul nome, il culto sindonico è ora assimilabile a quello del Milite Ignoto, ossa prese nel mucchio, però in tcunsni un terreno bruciato, avanzi au- I tentici di dolore. Potrebbe anche trattarsi della vittima di una persecuzione intercristiana... Di Cristo no, di un Cristiano certamente... Il Cristiano Ignoto... Ecco, a peine un faible jour imiti éclaire et me guide. Quel lenzuolo di tormenti dietro le grate e i chiavistelli barocchi sopravvive in un suo gracile chiarore. Nel momento in cui col suo comunicato dal forte contenuto emotivo il Cardinale di Torino ghigliottinava illuministicamente una pia tradizione, venuta a cercare protezione presso dei feudali che diventeranno monarchi con l'aureola di quel possesso invidiato, invitava tuttavia i fedeli a non cessare dal venerare come santo il lenzuolo decristicizzato. In parole franche: «Il sacro non abita più qui, ma continuate a venirci come se ci fosse». E' uno strano parlare — difficile è buttare e recuperare, togliere la sedia e invitare a sedersi ugualmente eppure, data l'esiguità, dello spazio rimasto, non privo di fondamento. * * Se il sacro si reggeva su un'apparenza, accettando la perdita dell'apparenza non restava che adoperarsi a cercare l'essenza. Se invece dell'arcivescovo Ballestrero ci fosse stato lì l'antico padre e nemico di Agostino, il vescovo Fausto di Milevo, avrebbe sciolto il nodo con l'aggressiva dolcezza delle sue persuasioni manichee. Avrebbe detto, Fausto, che non c'è nessun bisogno di ricorrere al carbonio radioattivo di laboratori d'America per accertare che la Divinità non può patire un reale supplizio e non può lasciare, in una tela di lino, nessuna impronta d'uomo. Ma avrebbe immediatamente rivendicato la sacralità del lenzuolo misterioso, attorno al quale tanti ceri si sono consumati, attribuendo quell'impronta di Ignoto, di autentico suppliziato, vera vittima di oscura barbarie e frenesia umana, al Gesù soffrente (Jesus patibilis) che senza fine attraversa e percorre le vie del calvario della Materia, spiritualmente e carnalmente, facendosi spugna di dolori, scopino di latrine d'anima, crocifisso al mondo, come le disperse croci antropomorfiche crucialmente lo rappresentavano, e arlwr fruttifera in cordibus nostris, quando la porta sia socchiusa per ospitarlo. Certo, per me è facilissimo pensare a questo modo, e il dramma sindonico di questi giorni (come «notizia» è già cosa remota, ma per il pensiero e la fede l'onda, sperabilmente, è più lunga) lo vedo come transito da una visione ristretta ad una senza limiti, in cui un oggetto simbolico perde e ritrova, dopo una pausa di smarrimento post-mortale, esattamente come un'anima, la vita. L'orto- dossia (se ce n'è una, ancora sufficicntemente salda) salverebbe la sacralità del lenzuolo, meglio la ritroverebbe su un piano superiore, sacrificando però l'idea stessa di Redenzione avvenuta, uno dei suoi fondamenti, perché lo Jesus patibìlis è un pesciolino di luce (khtys) nuotante in un mare di tenebre tragicamente irredimibile. L'idea è molto antica, ma è terribilmente attuale e piena di seduzione e di consolazione, come analgesico d'anima all'interno di città spiritualmente massacrate e dove ormai un velo di tristezza e di bruttezza rende quasi inintelligibili i segni della luce e il mondo stesso, come Torino. Se ci si voglia illudere che misure amministrative e legali possano sanare una bancarotta morale che investe tutta la terra abitata, si può rinunciare, come ad uno sport superfluo, a questi ripescaggi di dottrine perdute; vedendoci invece immersi «in una bisca di baratri», in una «tragedia di terrori delle sfere cosmiche», da Oltrestura ad Harlem, da Secondigliano a Beverly Hills, a Balkonur, a Sao Paulo, allora serve più il sogno di una Redenzione speculativa, di un Consolatore che non ha espiato una volta per tutte, ma che immemorabilmente patisce ed accenna sotto ogni specie di realtà umana e di Manifestazione vivente, iconologicamente presente anche nella Sindone della teca torinese. Per provare la verità di questa Sindone ritrovata, ritrovabile in un altrove, e non da cartellino museale, non occorrono laboratori specializzati, e l'epoca di Tiberio o un qualunque pezzo di Medioevo la calzano bene, perché indifferenti alla sua sostanza. E' inevitabile che, considerando non superficialmente l'invito del Cardinale a non rinunciare a venerare come sacra la Sindone, si affacci subito la domanda: — Di quale mantello sacro vestirlo, se quello tradizionale gli è stato strappato, quel Povero? —.' * * Ora mi viene in mente, decisiva, la parola di un altro più che degno di lasciare l'immagi ne del proprio corpo in una tela di lino lavorata da pazienti mani. In una lettera che gli aprì la via de! supplizio, a Bagdad Husayn Mansur al-Hallaj aveva scritto «Distruggi la Kaaba e ricostruiscila vivente tra gli angeli». Questo fu, in terra islamica, l'undicesimo secolo dell'era cristiana in Occidente quando la Sindone ancora non c'era eppure già c'era. Sono contento di essere nato nelle vi cinanze di una Sindone della certezza, ma questa, disfatta dal dubbio, che si può ritessere «tra gli angeli» è più vicina al cuore vagabondo e consente più libertà al pensiero. Guido Ceronetti

Persone citate: Baal, Ballestrero, Di Cristo, Gesù, Iona, Shem Tov, Tacito

Luoghi citati: America, Amsterdam, Bagdad Husayn, Sao Paulo, Torino