Atenei

Atenei Atenei università private americane. Ma si può auspicare un sistema come quello delle State Universities americane in cui lo, Stato contribuisce con un fondo di dotazione, lasciando poi liberi gli amministratori di cercare risorse altrove. Qualcosa di simile a ciò che lo Stato italiano fa con i Comuni o le Partecipazioni statali. Se ciò accadesse anche per gli atenei, con stanziamenti statali senza vincoli di destinazione, gii amministratori, per reperire i fondi mancanti, sarebbero costretti ad offrire idee precise, programmi ben definiti, prodotti validi: altrimenti il mercato (finanziatori c studenti chiamati a pagare più tasse) rifiuterebbe l'offerta. Gestioni responsabili ed efficienti (sotto il profilo finanziario e culturale) sarebbero le prime conseguenze. Per riprendere un esempio fatto dal presidente del Consiglio, si eviterebbe la stortura di docenti che insegnano a uno-due studenti accanto ad altri che parlano davanti a centinaia: l'amministrazione potrebbe chiedere ai primi di aggiungersi ai secondi o di riconvertire le loro discipline, all'occorre n/a didattica e nei limiti del possibile (che spesso sono ampi). Basterebbe questa riforma per risolvere i problemi dei ricercatori e degli altri docenti? la legge in discussione, con tempi biblici, sulla costituzione del ministero dell'Università e della Ricerca contiene già principi di autonomia finanziaria c amministrativa. Anche dal discorso di De Mita si ha l'impressione che esista la convinzione che questi principi di autonomia garantiscano di per scia selezione dei migliori e la migliore allocazione delle risorse dei docenti. Ma così non è. Finché non si intacca il meccanismo di arruolamento dei docenti previsto dalla 382. l'autonomia finanziaria, organizzativa, amministrativa e didattica servono a poco. Questo è il punto più difficile a trattarsi perché e innegabile che molte resistenze vengono anche dal mondo accademico. Ilo sotto gli occhi un piogeno di riforma elaborato dalla Società Italiana di Fisica, il cui articolo X, comma 4, recita: «Le attuali funzioni dell'amministrazione centrale in materia di gestione del personale sono irasferite ai rettori, con l'esclusione dell'arruolamento dei docenti». I fisici sono gente spiccia. Se anch'essi, che più di altri sono esposti ai lacci dell'attuale ordinamento napoleonico, prevedono che l'autonomia degli atenei debba riguardare i bidelli e non i professori, significa che il principio d'inerzia accademica è più forte di quello d'inerzia fisica. Proviamo invece ad ipotizzare un atto di coraggio. Checosa accadrebbe se ogni ateneo fosse libero, e responsabile di chiamarsi i propri docenti? Dovendo offrire il miglior prodotto al mercato dei consumatori (studenti e finanziatori), non avrebbe, almeno in linea di principio, interesse a reclutare il meglio del mercato dei produttori (docenti e ricercatori)? E, almeno talvolta, il principio non si tradurrebbe in realtà? Conosco due sole obiezioni di un certo peso, lui prima è che alcuni atenei risulterebbero migliori di altri. Ma questa non è un'obiezione, bensì la constatazione di ciò che già accade e che non fa scandalo solo perché è coperta dal velo dell'ipocrisia che gli atenei dello Stato sono tutti uguali. Invece non lo sono, non !o saranno (in Italia e fuori) e non c'è da meravigliarsi che non lo siano (più di quanto non c'è da meravigliarsi che un ospedale sia migliore di un altro o un'industria privata migliore di un'altra dello stesso settore). La seconda obiezione riguarda i modi della scelta dei docenti. Si dice che questi modi devono comunque avere il sigillo dello Stato perché gli atenei devono rilasciare titoli riconosciuti dallo Stato. Ma a questo ci sono rimedi semplici. Il più semplice e drastico è quello di abolire il valore legale della laurea (che anch'esso rimane per un velo di ipocrisia). Ma se-non si vuole avere tanto coraggio, si può pensare a criteri di selezione altrettanto garantisti degli attuali. Uno. che gira da tempo e che è stato ripreso di recente da Umberto Eco in una sua preziosa «bustina di minerva», e quello di creare una riserva nazionale di potenziali docenti da alimentare con concorsi aperti a tutti gli studiosi di ogni ordine e grado. Un altro, non necessariamente alternativo, consiste nell'alimentare tale riserva con gli attuali dottori di ricerea: hanno già un sigillo dello Slato, per di più riconosciuto solo ai fini accademici: perché dovrebbero fare altri esami per essere abilitati ad insegnare e rilasciare titoli riconosciuti dallo Stato? Forse perché questo, come diceva Edoardo, c il Paese in cui gli esami non finiscono mai? So bene che problemi così complessi non si risolvono con una legge di riforma dall'oggi al domani. Ma ora che il presidente del Consiglio e il ministro del Tesoro hanno alzato il coperchio, tutti dovrebbero guardare dentro la pentola. E pazienza se ci vorranno comunque generazioni per cominciare a sentire un profumo più appetibile del l'attuale. Marcello Pera

Persone citate: De Mita, Marcello Pera, Umberto Eco

Luoghi citati: Italia