Ecco le calcolatrici tascabili usate dagli antichi romani

Ecco le calcolatrici tascabili usate dagli antichi romani Le quattro operazioni con il sistema matematico adottato dalla civiltà latina Ecco le calcolatrici tascabili usate dagli antichi romani DUE tavolette di metallo che stanno nel palmo di una mano, conservate una al Museo delle Terme di Roma e l'altra al Cabinet des Médailles di Parigi, sono gli unici modelli rimasti degli antichi strumenti di calcolo usati dai romani. Sono le prime calcolatrici •tascabili» della storia dell'uomo, tavolette di bronzo con nove scanalature parellele (alveoli) nelle quali potevano scorrere delle piccole sfere (claviculi). Le prime sette scanalature, partendo da sinistra, erano divise in due parti distinte tra le quali erano segnati i valori, in numfi romani, delle diverse un.'.à decimali associate rxi m ®> 1.000.000 100.000 10.000 (I) CXI 1000 100 10 1 a ogni scanalatura. Quattro sferette, nella parte inferiore, rappresentavano ognuna il valore dell'unità corrispondente e una sferetta, nella parte superiore, rappresentava cinque volte questo valore. L'ottava scanalatura, contrassegnata dalla sigla O, serviva a indicare le frazioni duodecimali usate dai romani (vedi Tuttoscieme del 18 novembre 1987). La suddivisione dell'unità in dodici parti implicava la presenza di cinque sferette, invece di quattro, nella parte inferiore, ognuna corrispondente a un'oncia, e di una sferetta nella parte superiore corrispondente a sei once. L'ultima scanalatura, più corta, suddivisa" in tre parti e con quattro sferette, serviva a indicare le ulteriori frazioni dell'oncia: la semuncia, 1/2 di oncia, il sicilicus, 1/4 di oncia e la duella, 1/3 di oncia, contrassegnate ri¬ spettivamente dalle sigle X } 2 Queste tavolette-servivano per contare assi, sesterzi o altre unità e le loro frazioni. Per registrare un numero sull'abaco, era sufficiente spostare verso il centro le sferette delle diverse unità. Ad esempio, sull'abaco romano schematizzato ih fig. 1 è indicato il numero 6428. Non sono stati rinvenuti purtroppo manuali d'uso degli abachi romani, ma sicuramente questi abachi portatili venivano impiegati per risolvere solo i più semplici problemi di calcolo, come addizioni fra due o più numeri. In fig. 2, a esempio, è indicata la somma di 4735 e 8667. Si tenga presente che quando, in una data scanalatura, si supera la decina, è necessario sostituire dieci sferette con una sola, posta nella scanalatura dell'unità immediatamente superiore. I romuii, con il loro sistema di numerazione di tipo additivo, erano in estrema difficoltà nell'eseguire anche la più semplice delle operazioni e dovevano necessariamente ricorrere all'abaco o al tavolo di calcolo sul quale le sferette erano sostituite da gettoni e le scanalature da un tracciato di righe o colonne, corrispondenti ognuna alle unità, alle decine, alle centinaia e così via. Per capire la differenza tra il sistema di numerazione romano e il nostro pensiamo, ad esempio, a 111 che per i romani significava semplicemente 1 + 1 + 1, mentre per noi la stessa cifra 1 ha un valore diverso, secondo la sua posizione, 100 + 10 + 1, e questo semplifica notevolmente, è evidente, la scrittura dei numeri. Le insormontabili difficoltà di calcolo con i numeri romani, spiegano il successo dell'abaco nell'antica Roma, dove molte case dedicavano agli insostituibili strumenti una stanza particolare, quasi una moderna stanza del computer. Una pietra tombale, conservata al Museo Capitolino di Roma, prova la grande diffusione degli abachi presso i romani: in un angolo, a sinistra, il calculator esegue sul suo abaco portatile i conti che il padrone di casa gli sta dettando. Abachi più grandi o tavoli di calcolo a gettoni mobili potevano servire per risolvere operazioni più complicate, come le moltiplicazióni che si eseguivano facendo la somma di più prodotti parziali. Nella figura 3, a esempio, è indicato il metodo di esecuzione, su un tavolo di calcolo, della moltiplicazione di 4803 per 35. Dopo avere sistemato i due fattori sull'abaco si moltiplica il quattro (che vale 4000) per tre (che vale 30) e per cinque, collocando rispettivamente un gettone sulla sesta colonna, due sulla quinta e ancora due sulla quinta. Si può cosi sopprimere il quattro del moltiplicando e proseguire con l'otto (800) moltiplicato sempre per tre (30) e per cinque. Si collocano quindi due gettoni sulla quinta colonna, quattro sulla quarta e ancora quattro sulla quarta, eliminando anche l'otto. Proseguiamo con lo zero (un numero che i romani non conoscevano e si limitavano a lasciare là colonna dell'unità corrispondente vuota) : 0x35 = 0, nessun gettone. Terminiamo l'operazione con il tre (sono le unità del moltiplicando) moltiplicato per tre (30) e per cinque, collocando nove gettoni sulla seconda colonna, uno sempre sulla seconda e cinque sulla prima. Se sistemiamo poi i gettoni del¬ le diverse unità (dieci gettoni, lo ricordiamo, di una certa unità valgono un gettone dell'unità immediatamente superiore) arriviamo al risultato: 168.105. L'abaco evidenzia la storica contrapposizione fra il sistema posizionale, in base dieci, usato dal romani, e già prima dai greci, per i loro calcoli e gli antichi sistemi di scrittura dei numeri, troppo ingombranti nella pratica quotidiana del far di conto. Questo dimostra come la notazione posizionale, conquista recente nella scrittura dei numeri, fosse nota, nei calcoli, fin dall'antichità. Le operazioni con le cifre indoarabe, quelle attuali, permisero semplicemente di trasferire i metodi delle tavole di calcolo ai calcoli scritti, riunendo così in uno solo 1 due sistemi, di calcolo e di scrittura. n primo tentativo di imporre i nuovi numeri lo fece, nel Decimo Secolo, Gerberto d'AurUlac, il futuro papà Silvestro II, ventuto a contatto con la cultura araba, durante un suo soggiorno in, Spagna. Egli scrisse un libretto nel quale descriveva i vantaggi derivanti dall'uso di queste cifre. Gerberto, invece di usare gettoni tutti di valore unitario, proponeva di usare gettoni, gli apici, sui quali erano scritte le nuove cifre. Così per rappresentare sull'abaco, a esempio, 715 non si dovevano più porre 7,1 e 5 gettoni sulle colonne rispettivamente delle centinaia, delle decine e delle unità, ma era sufficiente porre un solo gettone sul quale era scritto uno del numeri: 7,1 e 5. Questo metodo però non riuscì ad affermarsi e i vantaggi del calcolo scritto continuarono a essere ignorati. Nel 1202 il iibro di Leonardo Fibonacci, il Liber Abaci, riuscirà a imporre i nuovi numeri tra i matematici, ma a livello popolare si continuerà a usare il vecchio sistema, con aspre plemiche fra abachisti, i maestri d'abaco, e gli algoristi, fautori del calcolo scritto. Queste polemiche andarono avanti per molti anni, praticamente fino alla Rivoluzione francese, quando l'uso dell'abaco venne proibito nei pubblici uffici. Soltanto la moderna calcolatrice tascabile convincerà anche molti commercianti e impiegati russi o giapponesi ad abbandonare l'abaco che conservano ancora oggi nei loro cassetti. Le abitudini sono dure a morire: anche noi, oggi, continuiamo a preferire i numeri romani, al di fuori delle operazioni, come ordinali o nella registrazione delle date ufficiali più importanti. Federico Peiretti :'. 1 ■ } .---.-/! «> o 4 o <> • • it • it •••• i ■ 7 3 5 + 8 6 6 7 = Fig.2 1 Pietra tombale del primo secolo dopo Cristo conservata al Museo Capitolino: un mercante romano vi è ritratto con il maestro d'abaco, che sta eseguendo calcoli sotto dettatura Fig.3 35 4803 o 0 • • • fxl ((<!>)) fih) c|> C x i fxl (C<l>)) (cl» (|) C x i 8 • • X o o • o o o • >.■•-. •• o ob 8 § , • « • • 8

Persone citate: Abaci, Decimo Secolo, Federico Peiretti, Leonardo Fibonacci

Luoghi citati: Parigi, Roma, Spagna