Se il paesaggio è un falso

Se il paesaggio è un falso I limiti dei restauri ambientali dopo le devastazioni Se il paesaggio è un falso STA venendo di moda una nuova espressione, corrispondente a un nuovo tipo di intervento sull'ambiente:, restaurazione, o anche ricostruzione o riabilitazione, ambientale. Vale a dire, si cerca di riportare al loro stato originario quei pezzi di natura e di ambiente, ad esempio un bosco, una valle, il letto di un fiume, che sono stati distrutti per farvi passare viadotti, autostrade, metanonotti o per impiantarvi cave di ghiaia o di sabbia, o attività minerarie. Questa operazione viene anche chiamata di «ingegneria ambientale» e consiste nel rifare letteralmente il paesaggio devastato, con tutte le sue piante, i suoi arbusti e persino gli insetti e le varie specie animali che lo abitavano prima della distruzione. Vanno nascendo addirittura delle ditte specializzate in questo settore e si tende a fare molta pubblicità attorno a tale attività, soprattutto'a beneficio degli ambientalisti, per dimostrare loro come spesso le loro accuse e i loro timori siano infondati. Sì diti-ugge, sì: ma poi l'ani-" biente naturale può venire restituito integro, rifatto. Tutto bene, dunque? Gli ambientalisti, almeno in questi casi, possono dormire sonni tranquilli? Non proprio. Si è infatti subito. obiettato che in primo luogo vi è una grossa ed evidente difficoltà a ricreare tal quale un ambiente naturale distrutto. In secondo luogo (e questo è il punto più importante della discussione), anche se ciò fosse possibile, vi sarebbe egualmente una notevole perdita di valore. Si parla di valore in senso lato, non solo in senso puramente economico. L'ambiente ricostruito ha molto meno valore di quello originale: cosi come la copia di un quadro, anche se eseguita alla perfezione, ha un valore estremamente più basso dell'originale. Questo è quanto sostiene, ad esempio, Robert Elliot nel suo saggio Faking nature, Falsificare la natura («Inquiry», 1982, pp. 81-93). Forse sarebbe più opportuno parlare di copia anziché di falso, poiché nel caso dell'ingegneria o restaurazione ambientale è certamente assente l'intenzione di ingannare. Oltre alle copie dei quadri si può, a mio avviso, pensare all'opera di restauro vera e propria, dove le parti mancanti vengono o lasciate in bianco oppure ricostruite usando delle tecniche speciali che servono a differenziarle nettamente da quelle originali. Perché si procede in questo modo? Proprio per non ingannare il pubblico, in quanto le parti originali hanno un richiamo molto diverso delle partì rifatte. Pensiamo anche alle innumerevoli ricostruzioni di edifici distrutti durante l'ultima guerra: soprattutto all'estero si è cercato di rifare interi palazzi o addirittura interi quartieri così come erano prima dei bombardamenti, ricorrendo ai progetti originali, a fotografie e riproduzioni di vario genere. Eppure, anche se impariamo molto dall'esistenza di questi edifici rifatti, che ci riportano le immagini delle città di cinquanta, cento e più anni fa, tuttavia noi andiamo istintivamente sempre in cerca del pezzo rimasto intatto, e lo apprezziamo molto più dell'intero complesso restaurato. Per quale motivo il pezzo autentico presenta un potere di suggestione incomparabilmente maggiore rispetto a quello rifatto? Perché in esso noi ritroviamo la storia, entriamo in contatto in ma¬ niera reale e non solo immaginaria con il passato. L'imitazione allude soltanto, rimanda a qualcosa che non c'è più. Nei monumenti o nei loro frammenti autentici invece il passato è lì, ancora presente, imprigionato nella pietra, nel legno, nei colori. Solo 1 monumenti antichi e non le loro copie ci danno il senso della continuità con il nostro passato. La stessa cosa succede con gli ambienti naturali. Una foresta intatta, primigenia, non è solo un insieme di tronchi, foglie, colori, uccelli, insetti. E' anche la sua genesi, la sua storia, è il prodotto di secoli di vita vegetale e animale. Aldo Leo- pold, il famoso ambientalista americano, ha scritto: «Quando udiamo il verso del corvo non stiamo semplicemente ascoltando il canto di un uccello. Esso è il simbolo del nostro irraggiungibile passato, di quell'incredibile trascorrere e accumularsi di millenni che fa da supporto alla vita quotidiana degli uccelli e degli uomini». Analogamente un bosco, un fiume, una valle intatti e incontaminati ci proiettano in una dimensione temporale ed emozionale che è completamente assente da uno scenario assolutamente identico (posto che sia possibile ottenerlo) ma che sappiamo essere opera di ruspe e di reimpianti. Al limite sarebbe forse preferibile accontentarsi di un bel giardino, che è ovviamente artificiale e che riflette apertamente la fantasia e la creatività dell'uomo. Certo un bosco rifatto è molto meglio che non una distesa di sassi e di terreno sconvolto e dilavato. E un bosco rifatto che assomigli il più possibile all'originale è ancora migliore. Ma il suo valore resterà sempre più basso perché un elemento fondamentale è andato perduto: quello della sua genesi e della sua storia. Tutto questo discorso ovviamente non significa che la ricostruzione ambientale sia un male e che bisogna lasciare aperte e in tutta evidenza le ferite inferte alla natura dalle opere di sfruttamento dell'uomo. Anzi, ben venga la restaurazione ambientale. Vuole essere piuttosto un monito, un avvertimento: occorre evitare di cullarsi nell'illusione che si possa distruggere impunemente perché tanto in un secondo tempo si riesce a ripristinare la situazione originaria. Deve essere chiaro che ciò non è possibile, e che quindi le alterazioni degli ambienti naturali vanno contenute al massimo, perché qualunque ricostruzione, anche la più perfetta, sarà sempre diversa e insufficiente. Per dirla con Elliot, una foresta vera e intatta sta alla sua copia così come un antico castello scozzese sta alla sua pur fedelissima ricostruzione, paesaggio circostante compreso, in una Disneyland del futuro (o, ahimé, del presente). Silvana Castiglione

Persone citate: Aldo Leo, Robert Elliot, Silvana Castiglione