Caro editore vado a scrivere sui giornali

Caro editore vado a scrivere sui giornali Parliamone Caro editore vado a scrivere sui giornali COME si è svuotato il mondo dell'editoria! Attorno alle case editrici non si raccolgono più quei comitati di consulenti, esploratori, suggeritori che funzionavano fino a un decennio fa, e che agivano da collegamento tra editore e cultura dell'epoca, inventando le collane, dirigendole, firmandole, cercando gli autori, insomma vivendo in funzione dell'editore. A leggere le memorie del direttore della Suhrkamp, Unseld, o di un ex membro del comitato gallimardiano, Michel Déguy, o di Einaudi, o di Bompiani, si capisce subito che sono l'epigrafe su di un'epoca gloriosa ma finita dell'editoria europea: in Germania, in Francia, in Italia le cose non funzionano più cosi. Un apparato come il «Comité» gallimardiano era un tribunale in seduta permanente, che valutava tutti i manoscritti nazionali e la produzione stranie¬ ra che arrivavano, per stabilire se rispondevano a quel «progetto» di cui esso era l'incarnazione. Il comitato einaudiano non era molto diverso. Certo, la domanda alla quale quei tribunali, nel giudicare un autore, dovevano rispondere, variava sensibilmente da uno all'altro: «Questo autore risponde al nostro progetto?» si chiedevano i gallimardiani; «E' degno del nostro catalogo?», si chiedevano gli einaudiani; «Ha una vera opera?» si chiedeva, con i suoi consulenti, Bompiani; «E' un grande uomo?» si domandava, per Suhrkamp, Unseld. Ma in tutti c'era la ricerca della coerenza, un'idea di cultura, una straordinaria disponibilità a lavorare insieme, a fare gruppo. Questa disponibilità non c'è più, questi gruppi oggi non rinascono. Roboni, sempre più radicato nel giornalismo, è ormai perduto per l'editoria. Del Buono sembra aver cambiato non solo il campo di lavoro, ma anche i suoi interessi: «La città» al posto del «libro». Sciascia ha diradato sino a spegnerla la consulenza alla Sellerie Fortini appare oggi molto isolato, eppure è stato spesso nei comitati di consulenza e di redazione: vi entrava come una mina innescata, e prima o poi li faceva esplodere; ma intanto li teneva allertati, con risultati che si vedono anche nelle biografie di coloro che lo hanno avuto a fianco. E si potrebbe continuare. Cos'è successo, perché le case editrici non cercano o non ottengono più di circondarsi di questi pool di cervelli? Perché è cambiata l'idea di «libro», quindi il lavoro editoriale; e perché, di conseguenza, quei cervelli sono entrati, i blocco, nei giornali. Tra dirigere una collana e firmare una rubrica, lo scrittore oggi non esita un istante. Leggere manoscritti, dirigere collane, far da levatrice al libro andava bene finché è durata una concezione «eroica» della cultura, si credeva che il libro vivesse a lungo, magari per sempre, e che quindi lo scrittore avesse un grande potere. Oggi il libro muore presto, quasi subito. Una collana non farebbe più una grande luce, un falò che richiama gli uomini e li scalda; ma uno sprizzio di fiammelle provvisorie, come quelle dei cimiteri. Se lo scrittore vuole fare qualcosa, deve entrare in un giornale. Ieri, col libro, era ascoltato da pochi ma per sempre; oggi, con l'articolo, è ascoltato per un attimo, ma da tutti. Abbandonate dagli intellettuali, le case editrici si somigliano un po' tutte: hanno definitivamente perso quel «quid» che le distingueva, e che si chiamava «linea». Ferdinando Canion

Persone citate: Del Buono, Einaudi, Michel Déguy, Sciascia, Unseld

Luoghi citati: Francia, Germania, Italia