Jallud ha aperta la parta a «trattative risolutrici»?

Jallud ha aperta la parta a «trattative risolutrici»? Nel segno del buon senso la missione a Roma del numero due libico Jallud ha aperta la parta a «trattative risolutrici»? Forse già a metà dicembre il via ad una commissione italo-libica a Tripoli con Andreotti ROMA — n «no» di Shultz ad Arafat è, secondo il maggiore Jallud, la prova del «controllo improprio» degli Usa sulle Nazioni Unite. Tale controllo priva l'organizzazione «dei suoi contenuti di universalità e di pace». Da qui la «fondatezza» della richiesta già avanzata dal colonnello Gheddafi, a nome della Jamahiria Ubica, di spostare il quartier generale dell'Onu «in una sede veramente neutrale». Richiesto di fare un bilancio della sua visita in Italia, non certo la prima ma l'unica, infine, di Stato, colui che è una sorta di vice-presidente vicario della Repubblica di Libia, esprime il suo 'Sdegno- e la sua 'preoccupazione» per l'improvvida decisione americana. C'è anche, da parte di Jallud, -apprezzamento» per la reazione della Farnesina al rifiuto americano e, ovviamente, l'ennesima denuncia del 'terrorismo di Stato», del 'grave pericolo per la pace» che la presenza della VI Flotta nel Mediterraneo comporterebbe eccetera, ma In ultimo, con un franco sorriso il braccio destro (tuttavia non certo acritico) del colonnello Gheddafi parla del suo viaggio in Italia. E qui dobbiamo precisare come le parole di Jallud «non vogliono e non possono» essere un «bilancio ufficiale» del suo viaggio a Roma. Il Maggiore tiene a sottolineare — e ci sembra di poter concordare con lui —, come il semplice fatto che il «numero 2» della Libia sia venuto in Italia per incontrare (e parlare) con il presidente della Repubblica, il presidente del Consiglio, il ministro degli Esteri e ancora tanti altri illustri personaggi, sia già di per se stesso una «vittoria del buon senso», dopo anni di incomprensione a causa soprattutto di certe uscite del colonnello Gheddafi e delle nostre conseguenti irritazioni. Jallud che è venuto in Italia «col cuore aperto» perché il nostro Paese è forse l'unico dell'Occidente a operare nel Terzo Mondo senza secondi fini, pensa che siano stati individuati «nuovi terreni» sui quali l'industria, la tecnologia italiana possano intervenire. Il contenzioso è pesante (ci sono nostri crediti per 400 miliardi a fronte di duemila miliardi di investimenti italiani e la «compensazione petrolifera» s'è inceppata) ma poiché «è soprattutto un problema di buona volontà politica» non sarebbe incauto pronosticare un avvio, forse anche abbastanza rapido, «di trattative risolutrici». Insomma, se il diavolo non ci mette la coda, a metà dicembre o, al massimo, nel gennaio del 1989, la Commissione mista italo-libica si riunirà a Tripoli con la presenza del ministro degli esteri Andreotti. Rimane il problema spinoso dei «danni di guerra». Ma par di capire come la Libia non voglia tanto gli irraggiungibili ventimila miliardi di indennizzo quanto, o soprattutto, un «risarcimento morale». Secondo Jallud, l'opinione pubblica italiana, specie nella sua componente più giovane, ignora i delitti perpetrati dal colonialismo fascista in Libia, delitti «denunciati e documentati» anche da storici italiani, come ad esempio Angelo Del Boca. Sicché riuscirebbe gradita alla Jamahiria la promozione da parte nostra di seminari pubblici, con studiosi italiani e libici, -sulle stragi, sulle deportazioni del colonialismo non soltanto fascista», nonché la divulgazione, attraverso la radio e la tv di Stato italiane, di quegli orribili accadimenti. Su di questo, ci si potrebbe forse intendere ma sul resto? Sembra che la Libia vorrebbe da noi addirittura l'apertura di linee di credito sul tipo di quelle in Urss, ma la Jamahiria dovrebbe rendersi conto che esse potrebbero trovare una giustificazione in robusti contratti con imprese italiane, mentre si ha l'impressione che qualcuno, a Tripoli, voglia privilegiare Paesi nostri concorrenti. Se davvero la visita di Jallud ha un senso propriamente politico, occorre che anche la Libia si decida a fare chiarezza, nel segno della «buona volontà». i. m.