Aspettando Bush di Igor Man
Aspettando Bush Il visto negato dagli Usa ad Arafat Aspettando Bush «Shultz, negando il visto ad Arafat, ha rilasciato una cambiale in bianco a Shamir per la "soluzione finale" nei territori occupati. Chi fermerà adesso le S. S. (Shultz, Shamir)?». Così, con un fosco giuoco di parole, dice un esponente del Comitato Unitario che guida Vlntifadha. L'establishment israeliano esulta per quella che il portavoce di Gerusalemme definisce una «grande lezione» degli Stali Uniti, lezione che «altri Paesi" dovrebbero imparare. Chi, oramai da un anno circa, scaglia pietre contro i soldati della prima potenza militare del Medio Oriente (la settima in campo internazionale) prefigura scenari catastrofici. Tutto, verrebbe fatto di scrivere, «secondo copione»: non fosse altro pei sottolineare la invero sennata reazione ufficiale deU'Olp. Dal mondo arabo sale un coro di riprovazioni, imbarazzate o virulente; da Tunisi, invece, il portavoce dcll'OIp dopo aver espresso rituale «sdegno», scandisce parole di non poca valenza politica. «Nonostante questa deplorevole decisione — dice infatti Ahmcd Abdcrrahman —, noi non abbandoneremo la strada della pace. L'Olp non intende sbattere la porta in faccia alla amministrazione americana», e ciò nella convinzione (o nel l'auspicio?) che «il nuovo l're sidente, George Bush, avrà verso la causa palestinese un atteggiamento responsabile, affrancato dalle pressioni di Israele e della lobby sionista». A quanto è dato sapere, Arafat ha dovuto imporsi, lui che accetta sempre il dibattito, perche il portavoce dcll'OIp riaffermasse la 'fiducia» nell'operato di Bush. Già durante i lavori, ad Algeri, del Cnp (Consiglio nazionale palestinese, il Parlamento in esilio) gli fu rimproverato da più parti di essersi rivolto, nel suo di scorso d'apertura, al «fratello Bush-. Nel testo ufficiale distribuito alla stampa il «fratello» sparì. L\ come si sa, non fu facile per il vecchio al Walid (padre) convincere «i figli della generazione perduta-, e i vecchi «professionisti della rivoluzione» ad accettare la 242. Oggi, dopo il «no» degli Sta ti Uniti, i moderati rimprove rano ad Arafat di aver dato facile pretesto a Shultz di rifiu largii' il visto, giusta la legge americana sulla sicurezza na zionalc, non soltanto per es sersi rifiutato di collocare area di percheggio Abul Ab bas, l'uomo M\ Achille Lauro ma per averlo addirittura abbracciato davanti alle tclcca mere di tulio il mondo, ne grande tripudio seguito alla proclamazione dello Stato palestinese. I «radicali» trovano ne «no» di Shultz conforto al loro eterno pessimismo: di conces sionc in concessione «finiremo col rimanere con un osso spolpato in mano. Tanto valeva (e •ale) andare avanti col mitra, nel segno della coerenza rivoluzionaria». Arafat ha forse peccato d'eccessivo ottimismo: ancora giovedì scorso Faruk Kaddumi, riunendo a Ginevra i rappresentanti dcll'OIp in Europa, si diceva «pressoché certo» della concessione d'un visto «magari di poche ore, forse un 'visto d'affari" quale quello rilasciato nel 1974». Ma è anche vero come Arafat sappia benissimo che Shultz «doveva» rifiutargli il visto per evitare, nell'intervallo legislativo tra la nomina di Bush e il suo ingresso alla Casa Bianca, una pericolosa frattura in seno all'offablishment ' americano, diviso tra il pragmatismo repubblicano e il viscerale culto di Israele dei democratici. A dispetto del boccone amaro, sembra «impossibile» ad Arafat che gli Stati Uniti possano voler mettere in imbarazzo gli «amici importanti» che contano nel mondo arabo. non pochi dei loro alleati e la stessa Unione Sovietica, non certo disposta a sacrificare sull'altare della pur benefica neodistensione la sua credibilità di fronte al Terzo Mondo. Come trascurare, tuttavia, il pericolo che il «no» di Shultz sia visto dall'ala radicale della resistenza palestinese (dentro e fuori dei territori occupati) come il colpo di grazia alla linea pragmatica di Arafat? I fondamentalisti islamici di Hamas (una componente non trascurabile dcW'Intifadha), i gruppuscoli che si riconoscono se non proprio in Abu Nidal certamente in George Habbash, in Jibril, nello stesso Abul Abbas e, infine, gli hez-. bollahi del Sud Libano potrebbero scegliere di cavalcare la tigre del terrorismo a tutto campo, nel loro mai sopito odio verso gli Stati Uniti, verso l'Europa, «amici dell'entità sionista». Il rifiuto americano rischia di avvitare in Medio Oriente una spirale perversa, scatenando i falchi dell'un campo e dell'altro. Ma se la politica del tanto peggio tanto meglio è quella che l'ex terrorista Shamir sembra privilegiare, vicn fatto di domandarsi se la Patria di Abramo Lincoln possa davvero accettare che l'arroganza cicca trionfi sulla luce pura della ragione Igor Man
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