Kennedy,un delitto perfetto di Ennio Caretto

Kennedy, un delitto perfetto Venticinque anni dopo Dallas decine di libri, ricostruzioni filmate, ipotesi ma nessuna verità Kennedy, un delitto perfetto La pista che porta alla mafia ormai prevale sulla tesi di un complotto politico ordito dalla Cia o da Castro - Il settantacinque per cento degli americani non crede alla commissione Warren secondo cui a sparare fu soltanto Oswald - Il Paese chiede ancora una risposta DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON —A 25 anni dall'omicidio di John Kennedy, che cosa si sa di sicuro su chi furono esecutori e mandanti? I due rapporti ufficiali, quello Warren del '64 ordinato da Johnson e quello della Commissione Speciale della Camera deciso da Carter nel '78, sono giunti a conclusioni opposte. Secondo il primo, il giovane Lee Oswald 'fu l'unico assassino del Presidente». A parere del secondo invéce, insieme all'ex marine uno o più persone spararono contro Kennedy «in un complotto con ogni probabilità ordito dalla mafia». I 91 libri sul delitto pubblicati, romanzi e saggi, con firme illustri e sconosciute, hanno adombrato ipotesi ancora più complesse: una congiura della destra, con baroni texani del petrolio o rinnegati della Cia; Una congiura delle sinistre, da sole o ih collegamento con Castro o il Cremlino; una congiura addirittura dei vertici politici di Washington. Proprio perché insolubile, il mistero della morte di John Kennedy è divenuto l'ossessione nazionale americana. Privati come Robert Groden, un tecnico della fotografia, hanno investito il proprio patrimonio personale, nel caso di Groden 50 mila dollari, 65 milioni di lire, nell'analisi delle immagini dell'uccisione. Altri come Josiah Thompson, l'autore di «Sei secondi a Dallas», hanno abbandonato la carriera universitaria per dedicarsi alle indagini sulla tragedia. A Washington è nato il «Centro di archivio e di ricerca sull'assassinio» che raccoglie 220 mila pagine di documenti dell'Fbi e altre istituzioni, finora irreperibili. A Pittsburgh è nata la «Rivista crìtica dell'omicidio di Kennedy», che vaglia ogni nuova tesi. Anziché diminuire, a un quarto di secolo di di stanza la febbre di scoprire la verità su Kennedy è aumentata. L'anno prossimo, un gruppo di parlamentari intende chiedere al Congresso di aprire una terza inchiesta a Dallas. Oggi l'opinione prevalente degli esperti, 600 dei quali si sono riuniti sabato e domenica scorsi a Filadelfia, è che l'omicidio fu organizzato dalla mafia. Sull'ipotesi, presentata da un documentario della tv inglese il mese scorso, «Gli uomini che uccisero Kennedy» di Steve Rivele e Nigel Tumer, molti avanzano riserve serie, e non è escluso che questa pista svanisca come parecchie altre. Ma la avalla almeno la metà dei libri e programmi televisivi che hanno attratto l'attenzione degli americani in questi giorni, una percentuale di consenso rilevante. Ha incolpato Cosa Nostra il celebre columnist Jack Anderson, nel documentario tv «La denuncia americana», citando Johnny Rosselli, un noto gangster di Chicago ucciso dieci anni fa. Ha fatto lo stesso Geraldo Rivera, un noto giornalista televisivo americano, in uno sceneggiato controverso, un finto processo di 5 ore a Oswald. Ha trovato un'angolatura nuova James Reston junior, attribuendo alla onorata società l'intenzione di eliminare non il Presidente, ma il governatore del Texas John Connally. Spesso, i teorizzatori della «mafia connection» sono in contrasto tra loro. Reston, il cui libro «Le grandi aspettative di John Connally» uscirà tra un anno circa, ha scrìtto sulla rivista Time che il governatore si era opposto a un piano dei boss di Chicago di espandersi nel Texas, e questi assoldarono Oswald per toglierlo di mezzo: Kennedy mori solo perché gli era accanto il giorno scelto per «l'esecuzione». David Scheim, l'autore de «Contratto contro l'America, l'assassinio mafioso del Presidente» afferma invece che Inonorata società» decretò la sua fine perché con il fratello Robert, ministro della Giustizia, si preparava a distruggerla: a informare i capi della mafia del progetto sarebbe stata una delle amanti di Kennedy, una ex «bambola» del Sani Giamcana, messo più tardi a tacere con l'amico Johnny Rosselli. Più circostanziato ed esplicito di tutti è John Davis in «Carlos Marcello e l'assassinio del Presidente», un libro che ha destato grande scalpore. Davis è un cugino di Jacqueline Kennedy. In base al Freedom of Information Act, la legge sulla libertà d'informazione, ha potuto esaminare documenti nascosti per due decenni dall'Fbi alla Commissione Warren e a quella della Camera per ragioni allora definite «di sicurezza nazionale». Il suo libro è in pratica una biografia del sanguinario capo della mafia di New Orleans, la più antica, e negli Anni Sessanta la più potente del Paese. Carlos Marcello, sostiene Davis, giurò vendetta contro i Kennedy quando Robert lo espulse dagli Stati Uniti. La preparò per anni. Un giorno confidò il suo piano a un informatore della polizia, Edward Becker, che informò la Camera nel '78: «Se vuoi uccìdere un cane, come dicono in Sicilia, non gli tagli la coda ma la testa», ossia non si deve uccidere un semplice ministro, ma il Presidente. Davis riferisce che Marcello considerava Dallas «suo territorio» e che aveva ai proprii ordini uomini come Jack Ruby, David Ferrie e lo zio di Oswald. Nell'estate del '63 Oswald sarebbe stato un suo corriere. Secondo Edward Becker, Marcello cercò «un folle» che avesse anche motivi personali per assassinare Ken¬ nedy, e lo scoprì in Oswald, l'ex marine filocastrista che per qualche tempo si era rifugiato in Russia. Il boss affidò l'operazione a David Ferrie, un suo consigliere, e a Jack Ruby, il titolare del night club «Carousel» a Dallas: Ruby, afferma Davis, in gioventù aveva fatto parte della banda di Al Capone a Chicago. Uno o due mafiosi, conclude il cugino di Jacqueline Kennedy, spararono al presidente insieme con Oswald quel fatale mezzogiorno del 22 novembre '63. Quando l'ex marine fu catturato, Ruby ebbe il compito di metterlo a tacere: lo uccise al commissariato. A sostegno della sua tesi, tra gli altri dossier Davis ha utilizzato anche quello delle registrazioni delle telefonate di Marcello, oggi invalido. Perché il boss della Mafia di New Orleans non fu mai interrogato? La risposta di Davis è che Marcello poteva ricattare la Cia e l'Fbi perché sapeva dei loro tentativi di fare assassinare Castro, e degli scomodi segreti personali dei fratelli Kennedy. Il consenso crescente sulla pista mafiosa non ha impedito ad altri ricercatori di insistere sulle ipotesi di un complotto dello spionaggio Usa. Tra questi figurano Michael Canfield con «Colpo di Stato in America», Robert Morrow con «Tradimento», Jim Garrison con «Una eredità di pietra», David Lifton con «La prova migliore». Secondo questi ricercatori John Kennedy, il paladino delle nuova frontiera, era divenuto un pericolo per la Cia, per l'Fbi di Edgar Hoover, l'anima .nera della conservazione, e,per il Pentagono. Senza coinvolgere anche il vicepresidente Johnson, come fece qualcuno sùbito dopo la tragedia, Lifton ha affermato che il cadavere di Kennedy fu manomesso per depistare gli inquirenti. Anche in questi casi, comunque, viene dato per certo che Oswald agì con uno o più complici. Si è ricreduta persino la vedova Marina, che lo aveva ritenuto l'unico colpevole: «Come è possibile pensare — ha detto — che da solo avesse organizzato un'operazione così rischiosa e complessa?». Un recente sondaggio d'opinione ha accertato che la grande maggioranza degli americani, il 75 per cento, respinge ormai il rapporto Warren, e accetta quello della Camera. Sempre meno sono le voci che ripropongono la prima intepretazione del dramma kennediano. Ci ha provato David Belin, uno dei consulenti legali della Commissione Warren, nel libro «La confessione finale», ribadendo che 'fu il solo Oswald, con le sue tre pallottole, a uccidere Kennedy e a ferire gravemente Connally, colpendoli alle spalle», e accusando i fautori delle altre tesi di sensazionalismo. Ma Belin ha incontrato scarso credito. Ha notato il critico Dick Poiman che «un quarto di secolo non è passato invano, l'America non nasconde più la testa sotto la sabbia». Per l'omicidio del Presidente si verifica oggi qualcosa di simile a quello che è accaduto per la guerra del Vietnam: il Paese l'ha accettata, e vuole indagare a fondo. 'L'America non si sente più in pericolo — ha concluso Polman —, non teme più per la sua democrazia e le sue istituzioni». Ennio Caretto o o o Londra. Edward Kennedy depone una rosa bianca sul monumento al fratello John, il presidente ucciso 25 anni fa a Dallas (Ap)