Risse per Ludwig di Massimo Mila

Risse per Ludwig BEETHOVEN E MODERNI SAGGISTI Risse per Ludwig Un libro compatto, di oltre quattrocento pagine e quattordici autori (più tre traduttori), intitolato semplicemente Beethoven, non è un fatto comune nelle nostre consuetudini editoriali. Soltanto da pochi anni l'Istituto di Studi verdiani di Parma e la Fondazione Rossini di Pesaro hanno introdotto l'usanza di pubblicazioni periodiche dedicate a un solo aurore; all'estero perdura la tradizione gloriosa del «BachJahrbuch» e del «Mozart-Jahrbuch» che promuovono lo studio critico dei rispettivi autori. Al terzo grande provvedono da qualche tempo i «Beethoven Studies» della Oxford University Press. Il Beethoven pubblicato ora dal Mulino, a cura di Giorgio Pestelli, è una raccolta di moderne letture beethovcniane: studi d'area anglo-americana e austro-tedesca dell'ultimo quindicennio, ad eccezione del primo, Alcuni aspetti delle forme artistiche beethoveniane, giusto omaggio all'inglese Donald Tovey (1875-1940), che fu un maestro insuperato del saggio critico musicale. «Un libro per saggi» lo definisce Pestelli, che li ha scelti e suddivisi in modo da lumeggiare, a titolo di esempio, alcuni temi e cioè: Forma e generi, Gioventù e studi, Una sinfonia (la Terza), Passato presente, Uno strumento, Lo studio degli abbozzi. Pestelli condivide il pessimismo storicistico di Cari Dahlhaus, che pubblicando recentemente un libro dal ti tolo classicamente impegnati vo di Beethoven e il suo tempo, sostiene che «l'epoca delle biografie monumentali è tramon tata». Un solo studioso non può più padroneggiare l'enorme massa di materiale che la ricerca ha accumulato. E' quindi giocoforza correre il ri schio di disgregazione dell'ar gomento per rispettare invece una nuova «esigenza di rigore critico e storico non meno legittima dei passati tentativi di sintesi». Si risponde: prima di tutto è da augurarsi che la nera opi nione manifestata dal Dati lhaus sia soltanto un prudenziale riflesso di modestia, destinato ad essere brillantemen te smentito dalla sua nuova fatica. In secondo luogo, perché dovrebbe essere finito proprio adesso, «dopo la fine della prima guerra mondiale», l'epoca delle grandi monografie critiche? Dopo tutto, questi capolavori che vengono addotti ad esempio di un'ormai irrevocabile età dell'oro, sono sempre soltanto due, il solito Mozart ii Abert e il solito Bach di Spitta. Per gli altri grandi maestri della musica dobbiamo accontentarci di quel che c'è, e allora, su quel livello, non è detto che non si possa un giorno o l'altro colmare anche la lacuna beethoveniana. Forse conviene abbassare un poco la mira di certi utopistici ideali di perfezione. I capolavori, anche di critica e di storia, sono rari sempre, non solo in questi tempi calamitosi. Guardiamoci intorno: dov'è «il» Dante? dov'è «il» Goethe? dove «il» Rembrandt o «il» Raffaello? * * Ricondotta l'esigenza a più realistiche pretese, sarà proprio vero che al giorno d'oggi non sia più possibile produrre grandi monografie critiche d'argomento musicale? L'affermazione è smentita dai fatti. Il Bach di Alberto Basso, lo Schiitz di Givra, lo Haydn di Robbins Landon (recentissima traduzione italiana presso Rusconi), il pullulare di grandi opere su Mahler (Henry de la Grange, Donald Mitchell, Ugo Duse, Quirino Principe) sono lì a provarlo. Non è vero che il pondo della bibliografia sia diventato superiore alle forze di un solo studioso. Si può forse accettare questa dura sentenza, a mala pena e a malincuore, per l'intera storia della musica (e ras segnarsi così ad opere che sembrano il mantello di Arlecchino, come la New Oxford History of Music), ma per la singola monografia critica occorre tenere duro sull'esigenza della sintesi individuale. Certo, la storia è prima di tutto storia della storiografia e tutta la bibliografia va tenuta presente, possibilmente in senso costruttivo, di continua zione sulle fondamenta accettabili e non con scopi di rissosa cptbsct(sfsvgtnr contestazione, come fanno purtroppo molti dei tredici autori di questi saggi, che sembrano spesso scritti col proposito polemico di dimostrare che sbagliava il collega Tale, a torto il collega Tal altro, ecc. (Si veda il battibecco, che Pestelli ha dovuto ospitare in una finestrella aperta in calce alla sezione Passato e presente, dove Walter Kirkendale e Siegmund Brandenbourg, trattando l'uno della Missa solemnis e l'altro della Canzona di ringraziamento in modo lidio nel Quartetto in la minore, si trovano a pestarsi un poco i piedi sul medesimo concetto, del resto non peregrino, che molto illuminismo persiste negli occasionali arcaismi di Beethoven. Sedotti dall'irresistibile attrattiva del pettegolezzo, si corre subito a leggete il saggio di James Webster su // dissìdio tra Hadyn e Beethoven, e che cosa si trova? L'esagerata parola «dissidio» inalberata vistosamente nel titolo viene comprovata da un'accurata raccolta di testimonianze contemporanee e di affermazioni di storici seriori, per poi dimostrare vittoriosamente quello che tutti sappiamo, cioè che vero dissidio non vi fu, ma semplicemente qualche malinteso dovuto da una parte al carattere sospettoso dell'allievo t dall'altra alla geniale insouciance didattica del vecchio mae Manca nella maggior parte di questi saggi, e li rende generalmente sconsigliabili co me modello critico, un sano concetto dell'arte che guidi la ricerca, evitandole di smarrirsi dietro vecchie dicotomie che nella cultura moderna n hanno più corso, come «il rapporto fra opere e biografia, l'interferenza traumatica tra vita e opera», per non parlare del venerabile «dilemma classico-romantico». Bisognerei be provvedersi d'una metodologia che a questi problemi abbia già risposto. «Dietro la moderna filologia musicale la musica tace», riconosce infatti Pestelli, rilevando in questi saggi la «messa tra parentesi dell'opera musicale nel suo aspetto estetico». Si veda, per esempio, la libidine con cui, nel saggio La simbologia dell'uomo nel finale dell'Eroica, l'autore si butta sulla preesistenza te matica del balletto Le creature di Prometeo per dar sfogo final :nte all'invereconda brama di sapere «cosa significa» pezzo di musica. Sarà proprio vero che il tempo delle grandi monografie è tramontato? O non sta semplicemente tramontando il tipo dello studioso capace di sotterrarsi in un argomento, sollecitati come siamo su troppi diversi fronti: insegnamen¬ to, congressi, convegni, conferenze, programmi teatrali e radiotrasmissioni, collaborazioni a giornali, riviste, numeri unici, celebrazioni d'anniversari. (Incidentalmente, se il Dahlhaus ha azzeccato il suo Beethoven ttnd seinz Zeita come ci si augura, sarà un bel fenomeno, considerando l'attività vertiginosa di questo illustre studioso). Tuttavia, en attendant Godot, una scorciatoia si potrebbe suggerire per rifornire di cibo beethoveniano la massa sempre più avida dei lettori italiani. Nella sua Avvertenza Pestelli nomina più volte con giusta ammirazione due caposaldi di quella letteratura. Uno è il Beethoven di Paul Bekker, praticamente sconosciuto fra noi per la scarsa diffusione del tedesco (goticum est, non legitur), l'altro sono i cinque volumi (sei, col Goethe et Beethoven) di Romain Rollane!. * * Stoltamente screditato per pregiudizi letterari c politici, il Rollane! viene spesso tacciato di vacuo idealismo retorico, come se fosse soltanto l'autore della piccola, oleografica Vie de Beethoven. Fortunatamente Pestelli non ha di queste fisime: «Pagine geniali come quelle di Romain Rollane! non potranno essere più scritte», egli lamenta nella sua Avvertenza. Bene. Perché non ce le traduce lui corredandole di quegli eventuali aggiornamenti che la moderna ricerca può suggerire? Certo, l'opera di Romain Rollane! non è completa; egli scrisse quello che gli premeva (Lei grandes époques créatrices. 1928-1947), rinviando forse ad altri tempi il completamento. Anche il suo Beethoven è un «libro per saggi», ma saggi di una sola mano e di una sola mente, dotata di vastissime cognizioni musicali e capace di cogliere, per virtù di stile, quel quid misterioso, quell'imponderabile , che è il cosiddetto «contenuto» o significato della mùsica. - Il Beethoven di Bekker è un modello di distribuzione delia materia critica in regolare ordine cronologico con riferimento all'evoluzione delle forme e dei generi. La conoscenza dei fatti biografici vi è, più che presupposta, assimilata e sussunta, Ma è del 1912. Richiede un'opera di restauro certo non così radicale come quella che trasformò la diligente compilazione dell'archeologo Otto Jahn nel geniale Mozart di Abert. Chi potrebbe essere l'Abert di Bekker? Ma Pestelli, che diamine! L'autore di quell'ammirevole profilo storico L'età di Mozart e di Beethoven, che così pronto riconoscimento intemazionale ha ottenuto con la traduzione inglese per la Oxford University Press. Massimo Mila

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