L'ora dei demoni

L'ora dei demoni TRADOTTO IL SAGGIO DI CAILLOIS L'ora dei demoni Al salmo 90, nella Vulgata, il salmista parla del riparo che Dio offre dai pericoli di questa vita: sotto le sue ali non temeremo né la notte oscura né la freccia volante nel giorno né l'incursione del demonio meridiano. Frase celebre, spunto letterario, argomento di controversie. Ma, ci spiega Roger Caillois, nella mitologia è proprio il giorno, anzi il mezzogiorno, il tempo del dominio e dell'apparizione dei demoni. Questo studio costituì la tesi di diploma del Caillois all'Ecole Pratique des Hautes Etudes nel '36; l'anno dopo il testo apparve sulla Revue de l'Histoire des Religioni, e di là la preleva e la pubblica per la prima volta in volume Carlo Ossola per l'editrice Bollati Boringhieri, col titolo / dèmoni meridiani e una complessa introduzione. Quello fu anche l'inizio di una lunga pratica del mito, del sacro, del sogno da parte del seguace di Meillet, di Benveniste, di Mauss," di Dumézil. Per l'amico di Bataille, nel mito si fondono società e letteratura, e in quel mito arcano e conturbante che è il «demone meridiano» si confondono per un istante i confini dello spirito e ■ dei mondi; nel suo cerchio si può cadere vittime della tentazione. Per la sua ricognizione Caillois parte da una riga di Servio a commento di un verso del quarto libro delle Georgiche (il sensitivo Virgilio fu uno straordinario evocatore dell'afa meridiana e del riposo pastorale): «Quando il sole a metà del giorno scatena il suo calore e le erbe hanno sete e il bestiame preferisce l'ombra, quella — scrive Servio — è l'ora in cui di solito appaiono le divinità». Chiunque allora percepisce nel cielo e sulla terra l'arrivo e l'arresto dell'astro al suo Zenit; anche una civiltà senza orologi né campane vede scomparire l'ombra dei picchi delle montagne, dei fusti degli alberi, dell'asta dello . gnomone. E' un momento allucinante, che con la sua sospensione quasi estatica turba tutti gli equilibri, disorienta la mente e deprime l'affettività, scatena l'immaginazione e la rende pronta ad ogni fantasia. Finisce allora il mattino crescente e attivo, luminoso di speranze, sacro ai celesti, e comincia un declino crudele e riflessivo, triste come ogni conclusione, dominato dai mani. Superare quell'attimo critico richiede uno sforzo spasmodico per la stella come per l'uomo, che si consegna spossato e inerte al dio che vuol farlo suo. Il mondo indoeuropeo crede che in quel culmine di luce salgano dall'oltretomba le anime dei trapassati (l'anima è identificata quasi ovunque con un'ombra), e bisogna lasciar sgombri i terreni e le piazze per i morti che non riescono a trovare riposo nell'aldilà: monaci sfratati, amministratori disonesti, albergatori assassini dei clienti, il cavaliere impiccato, chi ha spostato i confini, i suicidi, le donne avare o uccise dai mariti. I sacerdoti celti evitano di entrare nei boschi per timore di sorprendervi i loro signori; le chiese cristiane si chiudono a mezzogiorno e il fedele recita l'Angelus: Queste componenti astronomiche, psicologiche e ibi kloriche dell'ora meridiana sono state espanse e arricchite dai Greci con la loro straordinaria capacità fabulatrice. E' così che Caillois legge il mito delle Sirene, gli incontri con le Ninfe e Pan, leggende pastorali e venatorie. E la sua non è mai, già allora, una ricerca neutra, un allineamento erudito di dati a tesi. Ossola ricorda una successiva rievocazione di Caillois — nel '63, presentando L'bomme et la sacri — degli anni giovanili in cui questi studi assumevano per lui un carattere imperioso e divorante, erano come un contagio febbrile che voleva «restituire alla società un sacro attivo, indiscusso, con il gusto d'interpretare scientificamente quello che allora chiamavamo le molle profonde dell'esistenza collettiva». Nulla di spinto oltre il rigo, nessuna pressione letteraria; ma una suggestione che l'idea e il tema stesso comunicano' alla penna del saggista e del romanziere, e da lui al lettore. pqtoNcpAriddliplIdrUsstzspdvtnpdgoddlstmcfp Tutti i versi dei poeti e i passi dei prosatóri antichi, quando giungono a quel punto, si caricano di suggestione. Non sono suggestive le parole con cui Agatone nel Simposio platonico, durante l'elogio di Amore, evoca la bonaccia meriggiarne del mare e il riposo dei viventi in pena; o queste di Teocrito nel secondo Idillio: «Ecco, riposa il mare, riposano i venti, ma non riposa l'angoscia che ho nel cuore»? In quell'ora dell'immobilità del mare e delle navi apparvero alla nave arrancante di Ulisse, le Sirene, questi mostri solari e vampireschi. Sotto il sole cocente, i rematori si sentono invadere dalla spossatezza e dallo scoraggiamento; sentono il richiamo del sonno, piacere mortale che li inchioderebbe per sempre sotto la vampa e toglierebbe loro il ritorno. Perciò nella tarda latinità Claudi ano — o uno pseudo-Claudiano — dirà delle Sirene che sono «un languido rischio dell'acqua», un ozio che culla, un'assenza di dolore e una morte derivante dal piacere. Anche le Ninfe escono allora, per le selve, visitano e s'impossessano dei pastori intontiti al pari del loro bestiame, li fanno delirare. Guai a chi giace per la siesta presso le fontane e" le sorgenti, sotto i pioppi, i fichi, i noci, i carrubi e soprattutto i platani. Nel silenzio assorto, talora prodromo pauroso di temporali, non si suonavano nemmeno i flauti per non turbare Pan dormiente; non ci si muoveva per paura di scorgere, come Atteone o Tiresia, una dea al bagno negli stagni, e finire vittime come loro del sacrilegio, o della pruderie di una vergine. E' questo quadro di sfinimento e di pericoli della siesta meridiana che l'antichità classica consegna al cristianesimo monacale. Nelle fantasie diaboliche di cui sono piene le vi te e le Vite dei santi anacoreti orientali o dei taumaturghi medievali, idém'òrtì assalgono nell'ora meridiana; è nell'imperversare' del mezzogiorno che appare a sant'Antonio in viaggio nel deserto un ippocentauro, mostro duplice affine alle Sirene; e ancora Giovanna d'Arco udrà in quell'ora fatata, mentr'è distesa sotto una quercia o presso una fonte, le sue voci. La psicologia arricchita dalla morale crea per quello stato di fragilità torpida il termine Media, noia, disgusto totale, indifferenza molle e rischiosa, che entra fra i sette Vizi capitali. La sua definizione classica si trova nelle Collazioni di Cassiano, maestro di cenobi nel quinto secolo: co¬ me taedium et anxietas cordis. Tecnici dell'anima' ancora più evoluti la chiameranno psicoastenia o ipotensione psicologica. Per il moderno, Caillois è «la tiepidezza davanti alla vita, la sorda ansietà di un cuore insoddisfatto, la confusione irrazionale dell'intelligenza, stati acuti il cui valore d'esperienza umana è incomparabile». Sullo sfondo è la tentazione sensuale e l'ossessione erotica. La colpa del giusto avviene per tedio; l'impurità di Davide, di Sansone, di Salomone sono, per Alano di Lilla, esempi classici di acedia. * * , L'Occidente ha così riempito di contenuti antichi e nuovi l'enigmatico «demonio meridiano» del salmista: il mago ponendolo nelle sue liste, il contadino .riferendovi certi infortuni della sua distrazione e dell'imprudenza, l'anacoreta associandovi uno stato d'animo già sperimentato dai marinai omerici e suscitando rappresentazioni oniriche indipendenti ma analoghe alle loro; Paul Bourget chiamando invece le démon de midi la tentazione dell'età matura, che travolge l'illustre scrittore e il prete modernista. L'acedia non è che «un nome nuovo per cose antiche». Qui culmina e termina la ricerca di Caillois, e il suo sen so riposto è in queste tre ri ghe: «Non si può dire che il mito, facendo del mezzogiorno il simbolo della malinconia colpevole e del lasciarsi andare della vita verso il suo cantrario, abbia ancora una volta mancato di lucidità». Solo la contrapposizione successiva del cristianesimo tra Luce e Tenebra, Verità luminosa e Menzogna oscura impoverirà, agli occhi del nostro autore, quel momento magico a favore del suo opposto, la debole e scipita mezzanotte. Vi contribuì anche la più banale introduzione degli orologi, capaci di individuar;; ormai anche la metà della notte altrimenti 'impercepibile, e di farne:la "scena; non di dèi e dèmoni, ma di demòni e spettri; nor fonte della verità e della poesia del mito, ma degli effetti dei romanzi d'appendice. L'uomo ha perso così, in calza Caillois, un nirvana dell'astenia, «allorché la volontà di vivere si ritira non si sa dove, e la silenziosa esaltazione d'ogni abdicazione, invincibile inondazione morale, non conosce più velleità né rimorsi che non sappia sommergere immediatamente». Si può dire che vi sono forzature qua e là nella sua tesi, ma non che non vi sia sincerità nel suo elogio. Carl0 carena

Luoghi citati: Lilla, Ossola, Virgilio