«Un ricatto sui divorzio»

«Un ricatto sul divorzio» Rivelazioni di Àndreotti sulla sentenza della Consulta nel 1971 «Un ricatto sul divorzio» La legge passò grazie al voto di un giudice - Forse decisive le pressioni del direttore d'un giornale che minacciava rivelazioni - L'ex vicepresidente della Corte Andrioli: cado dalle nuvole ROMA — La sentenza con cui diciassette anni fa la Corte Costituzionale dichiarò legittima la legge sul divorzio passò solo grazie al voto determinante di uno dei quindici giudici forse ricattato dal direttore di un giornale che lo avrebbe indotto a cambiare parere in extremis. Lo sostiene il ministro degli Esteri Giulio Àndreotti nel suo ultimo libro "L'Urss vista da vicino». La clamorosa rivelazione è certamente destinata a suscitare reazioni e polemiche perché non è mai accaduto che un leader politico abbia messo in discussione a distanza di tanto tempo e con accuse di una simile gravità la regolarità di una decisione dell'Alta Corte. Ma chi è il giudice costituzionale che sarebbe stato ricattato? E' un «giallo». Àndreotti ha evitato di farne esplicitamente il nome, trincerandosi dietro la nota frase "Si dice il peccato, non il peccatore», n ministro ha tuttavia dichiarato di conservare le prove del ricatto a cui l'alto magistrato sarebbe stato sottoposto. n personaggio resta avvolto nel mistero. Soltanto tre dei quindici giudici che componevano l'Alta Corte il 5 luglio 1971 quando fu emessala «contestata» sentenza sono tuttora viventi: Ercole Rocchetti, Vincenzo Michele Trimarchi e Francesco Paolo Bonifacio. Gli altri dodici sono deceduti nel frattempo: l'allora presidente Giuseppe Branca, il relatore Giuseppe Verzì ed altri dieci componenti del collegio: Michele Fragali, Costantino Mortati, Giuseppe Chiarelli, Giovanni Battista Benedetti, Luigi Oggioni, Angelo De Marco, Enzo Capalozza, Vezio Crisafulli, Nicola Reale e Paolo Rossi. Secondo autorevoli indiscrezioni raccolte negli ambienti della Consulta i soli due componenti del collegio che potrebbero identificarsi con il misterioso personaggio potrebbero essere i professori Mortati o Fragali, entrambi deceduti. Ma si tratta per ora solo di illazioni. Per il momento l'unico punto che ha trovato conferma della ricostruzione di Àndreotti è l'esito della votazio ne nella camera di consiglio di Palazzo della Consulta in quel «fatidico» 5 luglio '71 quando l'attuale ministro degli Esteri ricopriva la carica di capogruppo de alla Camera, mentre Emilio Colombo (ora ministro delle Finanze) era presidente del Consiglio. Effettivamente otto giudici si pronunciarono a favore della legittimità dell'articolo 2 della legge Fortuna-Baslini del 1° dicembre '70 che consentiva la cessazione degli effetti civili di ùn matrimonio concordatario. Tra questi otto magistrati, che accolsero le tesi della presidenza del Consiglio e dei professori Nicolò, Barile e Cheli i quali difèndevano in un giudizio di divorzio la signora Oville Pagliantini, si celerebbe quello sottoposto a ricatto dal direttore di un giornale (anche di questo non si conosce il nome). Sette giudici optarono invece, per l'incostituzionalità di questa norma, come aveva richiesto appena tre mesi prima il tribunale civile di Siena. Va ricordato che VII dicembre '73 l'Alta Corte con¬ fermò la legittimità della legge sul divorzio. In quell'occasione furono respinte le eccezioni della Cassazione e delle Corti d'appello di Torino, Trieste e Napoli sollevate proprio dopo la decisione numero 169 ora sotto accusa. Quindi, se anche la ricostruzione di Àndreotti fosse esatta, una successiva sentenza ha ribadito quella contrastata decisione. Àndreotti ha tuttavia precisato che, dieci giorni dopo il deposito del verdetto del 5 luglio '71, sul suo quindicinale "Concretezza» il giudice-ricattato e collaboratore della rivista scrisse un articolo di aperta critica della «contestata» sentenza. E' stato accertato che il 15 luglio '71, sotto la sigla V. M., apparve uno scritto contenente una durissima requisitoria contro il verdetto della Consulta, intitolato: «La legge sul divorzio e la Costituzione». Ma nessuno dei quindici alti magistrati aveva quelle iniziali. Il giudice emerito Nicola Rocchetti, eletto dal Parla¬ mento su designazione della de (è stato anche deputato ed ex vicepresidente del Csm), ha smentito subito la tesi di Àndreotti: "Quel giorno ero in camera di consiglio ed ho partecipato al voto per alzata di mano. Non ci furono sorprese negli opposti schieramenti. Posso quindi escludere che uno dei quindici giudici possa essere stato ricattato e indotto a cambiare parere da qualcuno». Anche l'ex giudice costituzionale Vincenzo Michele Trimarchi, da noi raggiunto per telefono a Messina, tende ad escludere una simile eventualità. L'ex vicepresidente della Corte Virgilio Andrioli si è invece stupito dell'«uscita» del ministro degli Esteri: "Cado dalle nuvole perché non riesco ad immaginarmi come Àndreotti, che ritengo il più capace e preparato degli uomini politici, abbia potuto insinuare sospetti di questo genere. E poi a che gli può giovare?». Pierluigi Franz

Luoghi citati: Messina, Napoli, Roma, Siena, Torino, Trieste, Urss