Cattivi Pensieri

Giocare col diavolo in salotto Cattivi Pensieri di Luigi Firpo Giocare col diavolo in salotto Nella sua linda cucinotta di Piossasco, Anna non ha più lacrime. Schiava dell'eroina, spendeva tre milioni al mese per «bucarsi» c dal lavoro di operaia ne ritraeva uno solo. Sfrattata perché morosa, carica di debiti, adesso le hanno tolto il figlioletto tredicenne, che rubacchiava in giro per lei. Questo sarebbe uno dei tanti drammi della droga se, prima di cominciare con l'eroina, la poveretta non avesse patito la psicosi del satanismo, non fosse stata convinta di essere indemoniata e non avesse speso tempo e denaro per liberarsi da quella possessione. Nella notte di martedì, a Torino, in un monolocale di periferia, una ragazza seminuda è stata trovata morta col torace sfondato, schiacciata dal suo convivente, che è spirato quasi subito, dopo aver strappalo coi denti tre centimetri di lingua al proprio fratello, il quale stava cercando di evirarlo con le unghie. Una triade di pregiudicati e drogati, spinta forse a quel parossismo dall'alcol associato con gli allucinogeni: ma il superstite parla di un serpentello — il demonio — uscito dalla coscia del fratello e penetrato nell'addome della ragazza, degli sforzi disperati per scacciarlo, dell'esplosione delirante di aggressività e assurda follia che tutti li travolse. Due casi di quella servita alle polverine, che si impadroniscono del nostro cervello, lo snaturano e finiscono per distruggere l'intera personalità razionale e responsabile dell'essere umano: ma qui la concretezza perversa, almeno tangibile, fattuale, chimica della droga s'inquina ulteriormente di fattori superstiziosi e immaginari, che rendono impossibile qualunque intervento di ricupero. Se chi si droga è un malato, chi crede alla possessione demoniaca è il superstite d'una società tribale e affabulante, che nella civiltà odierna è esposto a rischi mortali. Purtroppo, per i tanti costretti a trasmigrare dall'isolamento delle plaghe rurali dimenticate dalla storia nei caotici assembramenti delle nostre metropoli, non dev'essere facile liberarsi d'un tratto dalle credenze e dai terrori millenari- che nutrirono le angosce dei loro padri. Per molti basta una genera- zione per immedesimarsi nella nuova dimensione; per i più incolti, i più emotivi, i più sprovveduti di remore morali, l'inserimento è difficile, le tentazioni di una malavita spicciola, una naturale aggressività e supponenza sono altrettanti fattori di separazione e incomunicabilità. Il mondo del lavoro ordinato e dell'egoismo competitivo serra così le sue maglie: fiacco e distratto nel reprimere, è però inflessibile nel segregare. Per gli esclusi, l'evasione può essere rappresentata dallo stupefacente come dal satanismo. Su quest'ultimo fenomeno vale la pena di soffermarsi un. poco per cercar di capire quali sono i vaneggiamenti degli incolti e quanto poco facciano i colti per dissiparli. L'idea del Diavolo, cioè del principio del Male, nasce con il sorgere stesso delle religioni (cioè con l'èra del neolitico) e in particolare con la concezione dualistica del soprannaturale, quale sfera in cui il Bene e il Male si contrastano in una lotta senza fine. Nell'ebraismo, così come nel cristianesimo che ne deriva, il Diavolo rappresenta la ribellione e la perversione rispetto all'Onnipotente, che però ne tollera la presenza nel mondo, riserbando alla fine dei secoli il suo definitivo annientamento. Nei libri sacri la sua presenza è tutt'altro che incombente: in tutto l'Antico Testamento è nominato sei volte; nel Nuovo i richiami salgono a 34; si ha poi un'ottantina di menzioni di uno o più dementi che di solito infestano la mente degli ossessi e che forse oggi verrebbero classificati soltanto come sintomi di malattie psichiche. Comunque, ancora di recente il Papa ha ribadito che il Diavolo esiste quale realtà effettiva, e che in ogni momento dobbiamo guardarci dalle sue astuzie. Confesso di aver serbato per parte mia qualche timido dubbio, perché la sacralità della Scrittura non esime da una lettura interpretativa e «storica». Ho parlato più volte con un dotto esorcista romano, il quale mi assicurava che su circa 500 «indemoniati» sottoposti al suo esame, non più di due o tre erano da ritenere posseduti dal Diavolo, mentre gli altri pativano di semplici turbe mentali. Invece leggo ora che don Giuseppe Ruata, investito dal card. Ballestrero dell'ufficio di liberare gli ossessi, frammezzo alle tante cose prudenti e sensate che dice in un'intervista, nel caso del duplice decesso esclude una presenza del Demonio, perché "in quella stanza c'era il Crocefisso», incompatibile con la sua «avversione per il sacre»; e prosegue indicando invece come caso certo di possessione quello di «una bimbetta di Saluzzo» che aveva "un'avversione alla preghiera, una ribellione al sacro mollo sospetta». Una "malattia» che è guarita dopo tre sedute ovviamente di esorcismi e scongiuri, che devono aver trasformato l'avversione alla preghiera in un'avversione inguaribile verso le religioni superstiziose. Chi parla di Torino come di una città «magica», di una cripta segreta di Belzebù, di un vertice del triangolo misterico che la congiunge a Praga e a Lione, si aggrappa a leggende stantie e a chiacchiere da salotto. Qualche gruppetto di piccoli borghesi giocherà col demoniaco per ingannare le serate di noia, esercitare piccoli sadismi, spogliare qualche dama condiscendente. Qualcuno ci speculerà pure sopra, lucrando lirette e sesso facile. Cent'anni fa, proprio a Torino, usciva un libro molto divertente di Arturo Graf dedicato al Diavolo. In una recente ristampa, nell'in traduzione, esprimevo una tranquilla certezza: «Se il Diavolo esiste per davvero, è chiaro che non ha coda né coma: il Diavolo siamo noi».

Persone citate: Arturo Graf, Ballestrero, Cattivi Pensieri, Giuseppe Ruata, Luigi Firpo

Luoghi citati: Lione, Piossasco, Praga, Saluzzo, Torino