Jenninger e la notte dei cristalli

Jenninger e la notte dei cristalli Il testo integrale del discorso che ha costretto alle dimissioni il presidente del Bundestag Jenninger e la notte dei cristalli «Dopo le umiliazioni di Weimar, Hitler sembrava realizzare una nuova età dell'oro» - «L'antisemitismo aveva messo radici in Germania assai prima del nazismo: da secoli gli ebrei erano oggetto di persecuzioni» fi discorso che ha costretto Philipp Jenninger a dimettersi da presidente del Bundestag (la Camera dei deputati) continua ad alimentare in Germania e nel mondo interpretazioni controverse. L'esponente democristiano commemorava il cinquantesimo anniversario della 'Notte dei cristalli., che segnò l'inizio detta persecuzione finale degli ebrei. Pubblichiamo il testo integrale dell'allocuzione — domani apparirà la seconda parte— per consentire ai nostri lettori di formarsi un giudizio autonomo. Signore e signori, gli ebre! in Germania e In tutto il mondo commemorano oggi gli eventi di 50 anni fa. Anche noi tedeschi ci rammentiamo di che cosa accadde nel nostro Paese mezzo secolo fa, ed è bene lo facciamo in entrambi gli Stati che sorgono sul suolo germanico. Poiché la nostra storia non si lascia spartire tra buoni e cattivi, e le responsabilità sul passato non possono essere divise secondo l'arbitrio geografico di confini tracciati nel dopoguerra. Dò il benvenuto in questa celebrazione commemorativa del Parlamento tedesco al Presidente della Repubblica e all'ambasciatore d'Israele; un mio saluto particolare in questo giorno va a tutte le connazionali e 1 connazionali ebrei in Germania, specialmente a coloro che prendono parte come nostri ospiti a questo momento commemorativo, e, al loro vertice, al presidente del Consiglio generale degli ebrei tedeschi. H mio saluto e il mio ringraziamento sono rivolti anche a lei, stimatissima signora Ehre. Molti tra noi hanno accolto l'invito del Consiglio generale degli ebrei tedeschi a prendere parte alla manifestazióne commemorativa tenutasi ieri nella sinagoga di Francoforte sul Meno. E oggi ci ritroviamo insieme nel Bundestag per ricordare qui, in Parlamento, i pogrom del 9 e 10 novembre 1938, perché non le vittime, bensì noi, in mezzo a cui sono avvenuti i crimini, dobbiamo commemorare l'evento e renderne ragione, perché noi tedeschi vogliamo fare chiarezza con noi stessi sulla comprensióne della;nòstra storia e sulla lezione che bisogna trame per il nostro ordinamento" politiCO'TSfè sente e futuro. Le vittime, gli ebrei di tutto il mondo, sanno fin troppo bene che cosa ha significato il novembre 1938 per il loro futuro calvario. Lo sappiamo anche noi? Quello che è accaduto 50 anni fa in piena Germania non si era più verificato dal Medio Evo in nessun Paese civile. E, ancora peggio: le gravi violenze non furono certo l'espressione di quella che venne sempre motivata come spontanea collera popolare bensì di un'azione pensata, provocata e aizzata dalla dirigenza dello Stato. Il partito al potere, nella figura del suo più alto rappresentante, aveva sospeso il diritto e la legge; lo Stato stesso si fece organizzatore del crimine. In luogo delle apposite leggi e regolamenti, in forza dei quali attravero gli anni e in modo strisciante gli ebrei erano, stati privati dei loro diritti, giungeva adesso l'aperto terrore. Una minoranza pur sempre quantificabile In centinaia di migliala di persone veniva trattata come selvaggina che tutti possono cacciare, 1 suoi averi e beni erano abbandonati alla furia distruttrice di gentaglia organizzata. Più di duecento sinagoghe vennero bruciate o demolite, i cimiteri ebraici furono devastati, migliaia di negozi e appartamenti distrutti e saccheggiati. Circa un centinaio di ebrei trovarono la morte, un trentamila vennero deportati nei campi di concentramento; molti di loro non tornarono più. Incalcolabili furono le sofferenze umane, le vessazioni, le umiliazioni, i mal trattamenti e le mortificazioni. Goebbels, vero regista dell'intera operazione, aveva sbagliato i suol calcoli, poiché nessuno—in patria e all'estero — credette alla «spontanea esplosione della collera popolare». Bastava vedere i poliziotti e i vigili del fuoco che restavano inerti e lasciavano bruciare le sinagoghe, salvo intervenire solo quando la proprietà «ariana» correva qualche pericolo. Più tardi, i tribunali di partito attestarono, con spudorato cinismo, che le SA in uniforme e gli altri appiccatoli di incendi e assassini avevano semplicemente attuato la «volontà del Fùhrer»; alla fine furono condannati solo coloro che si erano resi colpevoli di «delitti contro l'integrità della razza». Nessun dubbio che gli eventi subito definiti come la «Notte dei cristalli del Reich» segnarono una svolta nella politica nazista verso gli ebrei, il tempo dell'ingiustizia sotto veste apparentemente legale era giunto alla fine; ora iniziava il cammino verso l'annientamento sistematico degli ebrei in Germania e in larga parte d'Europa. La popolazione si comportò per lo più in modo passivo; questo era conforme al comportamento nei confronti delle azioni e delle misure antiebraiche negli anni precedenti Soltanto pochi parteciparono agli eccessi, ma non c'era neanche nessuna ribellione, nessuna rilevante resistenza. I rapporti parlano di vergogna e disgusto, di pietà, anche di orrore. Ma solo sporadicamente ci furono partecipazione e solidarietà concreta, assistenza e aiuto. Tutti vedevano che cosa accadeva, ma la maggior parte guardava dall'altra parte e taceva. Anche le Chiese tacevano. La definizione di «Notte dei cristalli» viene oggi giustamente considerata inadeguata. Eppure esprimeva in modo abbastanza efficace sentimenti e umori allora dominanti: un miscuglio di Im barazzo, ironia e desiderio di minimizzare; soprattutto, però, c'era il senso di un pe noso coinvolgimento e l'ambivalenza delle proprie sensazioni davanti alle responsabilità della direzione del partito e dello Stato che oggi ci appare chiara. n 30 gennaio '33, i nazionalsocialisti avevano preso il potere nel Reich. I cinque anni e mezzo fino al novembre '38 bastarono per cancellare la condizione di parità degli ebrei raggiunta in un secolo e mezzo. L'inizio fu il boicottaggio dei negozi degli ebrei nell'aprile 1933, a cui seguirono Immediatamente il pensionamento coatto degli impiegati statali ebrei e, sem pre nello stesso anno, i primi divieti all'esercizio della professione per artisti e giornalisti ebrei Le «leggi di Norimberga», del '33, trasformarono gli ebrei in uomini di serie B, senza 1 diritti degli altri cittadini; con la «legge per la difesa del sangue e dell'onore tedesco», fece trionfalmente 11 suo ingresso fl rivoltante «delitto contro l'integrità della razza». Con l'esclusione dalla vita pubblica e culturale arrivarono sempre maggiori restrizioni delle attività professionali, che sfociarono, peri medici, gli avvocati, gli attori, 1 sensali e mediatori di matrimoni, nel divieto di esercitare 11 loro mestiere. A partire dall'inizio del '38,1 signori del nazionalsocialismo si concentrarono ancora più decisamente sul «processo di arianlzzazlone» dell'economia tedesca. In altre parole: sull'esproprio e 11 saccheggio delle proprietà ebraiche. Goering. come incaricato del Piano quadriennnale, non era contento del risultato del pogrom di novembre. In una conversazione con Goebbels e Heydrich gli sfuggì la frase: 'Avrei preferito che aveste ucciso duecento ebrei e non fatto tutti quei danni». Per beffare ancora di più gli ebrei, venne loro imposto un «risarcimento a titolo espiatorio» nell'ordine di miliardi di marchi; avrebbero dovuto pagare immediatamente di tasca loro i danni del pogrom, e l'indennizzo dell'assicurazione sarebbe andato allo Stato. Contemporaneamente, vennero rese note le disposizioni per l'esclusione completa degli ebrei dalla vita economica a partire dal primo gennaio 1939. Ciò che poi seguì, erano misure per il bando integrale degli ebrei dalla società. Lo scopo era il loro isolamento totale e l'esclusione completa da tutti gli ambiti della vita pubblica. Per tutti quelli che non avevano la possibilità di sfuggire al regime con remigrazione, il resto del cammino era segnato: la stella gialla, il ghetto, la deportazione, il lavoro coatto, l'annientamento. Guardandoci indietro, appare chiaro che in Germania fra u '33 e il '38 ebbe luogo di fatto una rivoluzione: una rivoluzione in cui lo Stato di diritto si trasformò in uno Stato di delitto e di ingiustizia, in uno strumento per lo smantellamento delle norme e dei fondamenti giuridici ed etici, alla cui conservazione e difesa lo Stato dovrebbe provvedere per sua stessa definizione. Alla fine di questa rivoluzione, l'egemonia nazionalsocialista si era consolidata in maniera decisiva e aveva provocato nella coscienza giuridica degli uomini assai più danni di quelli visibili dall'esterno. La Germania aveva preso congedo da tutte le Idee umanitarie che avevano costruito l'identità spirituale dell'Europa; la discesa nella barbarie era voluta e premeditata. Fra coloro che fornirono gli strumenti teorici per questa operazione, c'era Roland Frelsler, allora sottosegretario al ministero della Giustizia. Diceva: «fi fondamento del nuovo diritto tedesco e la concezione della vita germanica così come è stata trasformata dotta rivoluzione nazional-socialista... La volontà giuridica del popolo si manifesta in modo supremo nette disposizioni del deposi- torio detta volontà popolare, il Fuhrer. Quando il Fuhrer esprime, al di fuori delle leggi, principi giuridici cui attribuisce un valore e che esige vengano osservati, sì ha una fonte di diritto primaria, come la legge. A questo filone appartiene innanzitutto il programma del partito nazionalsocialista: Detto in parole semplici- la giurisprudenza doveva seguire l'ideologia nazionalsocialista, perché la parola del Fuhrer era legge. Per il destino degli ebrei tedeschi ed europei ancor più fatali dei misfatti e dei crimini di Hitler furono forse 1 suoi successi. Gli anni dal '33 al '38, visti a distanza di tempo e conoscendone il seguito, sono ancora oggi una cosa ar¬ fascinante, poiché nella storia non esiste quasi un parallelo alla marcia trionafale politica di Hitler in quei-primi anni La reintegrazione della Saar, l'introduzione del servizio militare obbligatorio per tutti, il riarmo massiccio, la conclusione dell'accordo navale tedesco-britannico, l'occupazione della Renanla, I Giochi olimpici di Berlino, l'annessione dell'Austria e la creazione del «Grande Reich tedesco», e Infine, solo poche settimane prima dei pogrom di novembre, il Patto di Monaco, e lo smembramento della Cecoslovacchia: 11 Trattato di Versailles era ormai soltanto un pezzo di carta, e II Reich era diventato d'un colpo la potenza egemone del vecchio continente. Per i tedeschi, che in maggioranza avevano vissuto la Repubblica di Weimer in prevalenza come una serie di umiliazioni in politica estera, tutto ciò doveva sembrare un miracolo. E non era tutto: dalla disoccupazione di mas- sa si era passati alla piena occupazione, dalla miseria di massa a un certo benessere per più ampi strati sociali. Al posto della disperazione e dello sconforto regnavano l'ottimismo e la fiducia in se stessi. Hitler non realizzava forse quello che Guglielmo H aveva solo promesso, e cioè l'avvento di tempi magnifici per i tedeschi? Non era stata proprio la provvidenza a scegliere un Fuhrer quale viene regalato a un popolo solo una volta ogni mille anni? Di certo nelle elezioni libere Hitler non aveva mai trascinato dietro di sé una maggioranza di tedeschi. Ma chi poteva mettere in dubbio che nel 1938 dietro di lui ci fosse una larga maggioranza di tedeschi che si identifica- vano con lui e con la sua politica? Certamente alcuni *queruli criticoni' (Haffner) non si davano pace ed erano perseguitati dalla Gestapo e dai servizi di sicurezza, ma la maggior parte dei tedeschi— di tutti gli strati sociali —dovevano essere convinti, nel •38, di vedere in Hitler il più grande statista della nostra storia. Un'altra cosa non deve sfuggire: tutti gli straordinari successi di Hitler erano, nel loro insieme e individualmente, degù schiaffi ulteriori al sistema di Weimar. E Weimar non era solò sinonimo di debolezza in politica estera, con dispute fra i partiti e instabilità di governo, di povertà diffusa, caos, scontri di piazza e disordine politico nel senso più lato del termine, ma Weimar era anche sinonimo di democrazia e parlamentarismo, divisione dei poteri e diritti civili, libertà di stampa e associazione, infine di massima emancipazione e assimilazione degli ebrei. Ciò significa che i successi di Hitler screditavano a posteriori il sistema parlamentare, la democrazia stessa di Weimar. Per questo, per molti tedeschi non si poneva più la domanda su quale sistema fosse preferibile. Forse, nei singoli aspetti della vita, c'era meno libertà individuale; ma personalmente le cose andavano meglio di prima e il Reich era indubbiamente di nuovo grande, più grande e più potente di come mai era stato prima. Non avevano forse reso omaggio a Hitler a Monaco 1 capi della Francia, della Gran Bretagna e non l'avevano forse aiutato a ottenere ulteriori successi ritenuti impossibili? E quanto agli ebrei: non si erano attribuiti in passato un ruolo che non spettava loro? Non dovevano finalmente aspettarsi delle restrizioni? Non meritavano forse di venire risospinti nei loro recinti? E soprattutto: la propaganda — a parte le esagerazioni sfrenate da non prendere sul serio—non rispecchiava forse nel punti essenziali le proprie supposizioni e convinzioni? E quando le cose diventarono davvero troppo brutte, come nel novembre '38, ci si poteva sempre consolare con le parole di un contemporaneo: 'Non ci riguardai Girate la testa, quando sentite ribrezzo. Non è il nostro destino* (Rauschning). L'antisemitismo aveva messo radici in Germania — come in molti altri Paesi — assai prima di Hitler. Da secoli gli ebrei erano stati oggetto di persecuzioni religiose e politiche. L'antigiudaismo della Chiesa, basato su pregiudizi teologici, si rifaceva a una lunga tradizione. Perciò slamo tanto più grati che le Confessioni cristiane e gii ebrei dalla fine della guerra abbiano trovato la strada del dialogo, e lo portino avanti insieme apertamente. C'erano anche altri esempi nella storia: la Prussia, che era diventata la nuova patria non solo per gli ugonotti francesi, 1 protestanti salisburghesi e i cattolici scozzesi, ma anche per molti ebrei perseguitati In pratica fino alla presa del potere di Hitler l'antisemitismo tedesco si era mostrato piuttosto moderato In confronto all'antisemitismo militante, che imperversava nell'Europa orientale e sud-orientale. Non era un caso che dieci anni prima della Rivoluzione francese fosse apparso il libro di Le sslng «Nàthan il saggio», e che durante l'Impero e la Repubblica le Istituzioni statali, fedeli alle Idee dell'assolutismo illuminato, avessero continuato a promuovere l'emancipazione e l'assimilazione degli ebrei. Un altro aspetto è che 11 nazionalismo tedesco si differenziò su specifici punti da quello degli altri Paesi. Per motivi su cui ora non indagheremo, le componenti parlamentari liberali e democratiche erano piuttosto arretrate quando si trattava di sottolineare l'origine e la provenienza comuni, la comune storia e la « germani tà». Questo aspetto si manifestò dopo le guerre napoleoniche, nel '48-'49 e nel periodo dell'Impero. La conseguenza fu —In politica estera—una coscienza nazionale sempre più aggressiva e, sul piano interno, la contemporanea accettazione, delle strutture dello "Stàtò'atòòritàriò.imcull'a^ jjressrvltà si rivolgeva verso lè mfnoràhze comè~l cattolici," i socialisti e gli ebrei Alcuni storici hanno perciò lamentato che nella storia tedesca sia mancata una rivoluzione o almeno una evoluzione generale verso la democrazia, verso 1 diritti umani individuali. Thomas Mann, mordace, parlava del 'servilismo militante" dei tedeschi, nel quale si mescolavano 'arroganza e contrizione'. Altre cose si aggiunsero. Il processo Impetuoso di industrializzazione e urbanizzazione, particolarmente dopo il 1871, portò a un diffuso disagio per la modernità in generale. E proprio in questo rivolgimento, che molti sentivano come minaccioso, gli ebrei svolgevano un ruolo rilevante e spesso brillante: nell'industria, nelle banche e nel commercio, fra 1 medici e gli avvocati, nell'intera sfera culturale e nella scienza moderna. Questo suscitò invidia e complessi di inferiorità, e si guardò all'Immigrazione degli ebrei dall'Est con grande apprensione. Il capitalismo e le grandi città con le inevitabili conseguenze che tutto questo comporta apparve subito come qualcosa di «non tedesco», così come il notevole Impegno ebraico nei gruppi liberali e socialisti. Una fiumana di scritti e opuscoli era dedicata al presunto ruolo pernicioso «dell'ebreo», e accanto ad autori sconosciuti o conosciuti come Gobineau e Chamberlain c'erano anche importanti esponenti della vita culturale e spirituale te¬ desca come Heinrich von Treltschke e Richard Wagner, che avevano reso presentabile il risentimento anti-semlta. Gli ebrei divennero un oggetto di odio socialmente ammissibile. Particolarmente fetale si mostrò la strumentalizzazione della lezione di Darwin da parte del propagandisti dell'antisemitismo. Questo fu l'attrezzo finale per offrire copertura scientifica alle dicerie sulla congiura mondiale ebraica e l'eterna lotta fra le razze: da una parte tutto quanto era sano, fòrte, utile, dall'altra tutto ciò che era malato, inferiore, dannoso, la «putrefazione» ebraica, i «parassiti» dai quali occorreva liberarsi attraverso ^eliminazione» e r«annlentamento». La cosiddetta «visione del mondo» di Hitler mancava di qualsiasi Idea originale. Tutto era già lì davanti a lui: l'odio entteamita rafforzato dal razzismo biologico così come l'avversione violenta alla modernità e l'utopia di una società originaria, agricola, che aveva bisogno dell'Est per realizzare il suo «spazio vitale». Il suo contributo personale consisteva, a parte la grossolana e brutale semplificazione dell'altrui concezione del mondo, essenzialmente nell'ossessione fanatica e nel talento per la psicologia di massa, grazie al quale si innalzava al ruolo di supremo propagandista e programmatore del nazionalsocialismo. Gli ebrei nel periodo precedente venivano considerati responsabili delle epidemie e delle catastrofi, e poi delle difficoltà economiche e degli intrighi «antitedeschi» e Hitler vide in essi i colpevoli di tutti 1 mali: erano 1 complici dei "rinnegati di novembre* del 1918, dei 'vampiri- e dei 'Capitalisti*, dei 'bolscevichi- e dei •framassoni*, dei 'liberali' e dei 'democratici*, dei 'Contaminatori detta cultura* e dei 'corruttori*. In pratica erano i veri burattinai e la causa di tutte le sventure militari, politiche, economiche e sociali che aveva¬ no funestato la Germania. La storia si riduceva a una lotta fra le razze: tra ariani ed ebrei, tra 'dispensatori tedeschi di cultura* e 'sotto-uomini ebrei*. La salvezza per il popolo tedesco e la definitiva sconfitta dei corruttori dell'umanità poteva essere soltanto nella liberazione del mondo dal sangue ebraico come funesto principio della storia. L'immagine rovesciata era 11 guerriero e 11 contadino che nelle lontananze dell'Est in una costante lotta contro le orde asiatiche dilatava continuamente i confini della terra tedesca, e contemporaneamente, attraverso la disciplina e l'ingentilimento portava a una solitaria altezza la razza germanica. Mentre altrove si lavorava alla costruzione della bomba atomica, Himmler e altri annunziavano con l'estenuante monotonia dei malati di mente concezioni ai confini dfell'ldiozia. Lo stesso valeva per l'idea fissa di Hitler dell'ebreo dal capelli neri e dal naso adunco che con il suo sangue contaminava la donna tedesca dalla pelle bianca e dai riccioli biondi, e con ciò disonorava per sempre il suo popolo. Già in «Mein Kampf» si trova ripetuto questo vaneggiamento, che prosegue fin nel suo testamento in una litania senza fine sulla 'lussuria* e V'imbastardimento-, lo 'Stupro*, V'incesto*. (Domani su «La Stampa- fa seconda parte del discorso). «Gli ebrei non si erano forse attribuiti in passato un ruolo che non spettava loro? Non dovevano finalmente aspettarsi delle restrizioni? Non meritavano forse di essere ricacciati nei loro recinti? La propaganda, a parte le esagerazioni sfrenate da non prendere sul serio, non rispecchiava forse nei punti essenziali le {proprie - supposizioni e convinzioni?» Berlino, 10 novembre 1938. Vetrine rotte nella Friedrichstrasse dopo la notte dei cristalli