Pico, Ficino e gli altri maghi del Rinascimento

Pico, Ficino e gli altri maghi del Rinascimento Un saggio di Garin sull'ermetismo Pico, Ficino e gli altri maghi del Rinascimento MAESTRO imprescindibile di studi rinascimentali (ma senza discrimini, come dimostrano opere di vario segno: La cultura italiana fra '800 e '900 o Filosofia e scienza del Novecento), Eugenio Garin sembra voglia trasmetterci, riuscendovi per intero, quella sorta di luminosità pollzianesca che regna nelle sue «stanze», renderci partecipi del processo di levitazione cui si assoggettano documenti eruditi, carteggi inesplorati, rimandi filologici, e poi rivelarci in nitide pagine i segreti passaggi di un universo non esente dal «gusto del mistero e dell'occulto». E' un piacere che oggi ci riprende grazie a un volumetto di «biblioteca minima» su ermetismo e tardoplatonismo negli anni in cui Cosimo il Vecchio affida a Marsilio Ficino la versione latina del Pimander. Pimander, seu de potestate et sapientia Dei, ovvero quattordici opuscoli greci del Corpus Hermeticum ritenuto, insieme alVAsclepius. il più «divino» dei testi ermetici. L'enorme fortuna della versione del Ficino in Europa, seguita da quella volgare per mano del «confilosofo» Tommaso Benci. è sì in parte da ascrivere a moda . esoterica, in parte al fascino dell'antico Egitto scoperto attraverso la dottrina teologica di Ermete Trismegisto, ma in massima misura è dovuta al clima culturale dell'Occidente ormai sensibilissimo ai temi magici, air-atmosfera dell'attesa», al bisogno di un profondo rinnovamento religioso e di un nuovo vincolo col reale. Dal Pimandro ni Picatrix — trattato arabo speculare di controverso autore —, da Ficino a Pico della Mirandola, a Giordano Bruno, 'il terreno unificante dell 'ermetismo — osserva Garin — sta proprio nella ricerca di un livello più alto di conoscenza in cui, mentre si coglie l'unità del tutto, ci si identifica col tutto e nel tutto si opera trasformandolo». Donde gii infiniti e spesso impercettibili raccordi del micro e del macrocosmo, la potenza rive¬ latrice del linguaggio e delle formule, il gioco combinatorio dei sogni, la virtù dei talismani, i miracoli alchemici, l'influenza decisiva degli astri. Un posto a sé nell'ermetismo quattrocentesco assume Lodovico Lazzarelli da Sanseverino Marche. Non tanto, dice Garin, per avere egli cercato di radunare in latino tutti gli opuscoli ermetici completando così il lavoro del Ficino; e non tanto per aver gioiosamente fuso tradizione ermetica e tradizione cristiana (Colui che nella mente di Ermete era Pimandro, in me si è degnato di essere Cristo Gesù), quanto per averci tramandato una pubblica manifestazione ermetica avvenuta a Roma la domenica delle palme del 1484, durante il pontificato di Sisto IV. Protagonista dell'avventura: un mago e alchimista, Giovanni Mercurio da Correggio di trentatré anni, 'magro in volto, vestito di una toga nera, cinto da una fascia dorata, i capelli pettinati alla nazzarena, una corona di spine insanguinata, e sopra la fronte una lamina argentea nella forma dei comi della luna su cui si poteva leggere: Questo è il figlio mio Pimandro che io scelsi». E in tal veste, preceduto e seguito da due coppie di servi, si era spinto fino al Vaticano. Ma nell'agile cavalcata sapienziale che dalla prisca theologia ci porta agli splendori della Firenze medicea, passando per Zosimo e Lattanzio, Giamblico, e Proclo, Psello e Porfirio, sono in specie Ficino e Pico — entrambi mossi dalla medesima riflessione filosofica ed entrambi costretti a difendersi dall'accusa di pratiche magiche — le anime privilegiate da Garin. Quelle che meglio sembrerebbero ispirare un «grande poema d'amore: l'amore del mondo con se stesso», raccogliendo appunto le visioni di armonia e di felicità universale che venivano da lontano, e principalmente da Ermete, il tre volte sommo. Giuseppe Cassieri Eugenio Garin, «Ermetismo del Rinascimento», Editori Riuniti, 79 pagine, 8.000 lire.

Luoghi citati: Correggio, Egitto, Europa, Firenze, Pico, Roma