Caterina Sforza la tigre di cento alcove di Francesco Rosso

Caterina Sforza la tigre di cento alcove Una nuova biografia dell'eroina rinascimentale Caterina Sforza la tigre di cento alcove IL Rinascimento fu certo il periodo in cui le donne ebbero un rilievo che le femministe odierne nemmeno immaginerebbero. Furono le despote nelle alcove in cui si faceva la storia, emersero nel campo delle lettere ed anche in quello delle armi. Caterina Sforza è, di quel periodo, il personaggio più amblematico, ed anche il più controverso. Figlia bastardotta di uno Sforza, ma disinvoltamente innestata sull'albero paterno, come usava in quei tempi, nei quali i «bastardi» contavano quanto i figli nati da nozze regolari, andò sposa decenne a Girolamo Riario, fratello di papa Sisto TV, famiglia di origini umilissime, ma arrivata al potere scambiando il deschetto savonese con il seggio di San Pietro, con l'eccelsa dote dell'intrigo. Caterina Sforza è figura studiata e guardata da ogni angolazione, si direbbe persino un personaggio troppo sfruttato perché di lei si sono interessati studiosi e romanzieri di ogni tendenza dal 1500 ad oggi. Ci si domanda quindi se era ancora possibile dire Caterina Sforza qualcosa di nuovo su questa figura singolare. «Tygre de Furli» fu definita dai contemporanei, e come tale l'hanno veduta Natale Graziarli e Gabriella Venturelli che si sono divisi il compito di andare a rovistare nei più polverosi archivi alla ricerca della vera Caterina quale appare da lettere e rapporti ufficiali, e di leggere tutte le biografie romanzate e no che finora sono state scrìtte. I due autori sono riusciti a fondere armoniosamente i vari tasselli della singolare donna: indossava la corazza, combatteva come un soldato, in prima fila, per difendere la signorìa di Forlì, tenendo testa validamente ai più fieri capitani di ventura dell'epoca, fino alla sconfitta se necessario, ma per sedurre poi nell'alcova il vincitore, come accadde con Cesare Borgia, il Valentino. Caterina era destinata a muoversi in parallelo con la corte pontificia. Esordì coi Riario, si ritirò dalla scena coi Borgia. I primi anni trascorsi alla corte milanese degli Sforza non hanno storia; Caterina incomincia la sua vicenda da grande protagonista nel 1477 quando, a dieci anni, sposa Gerolamo Riario e diventa cognata del papa. Con lo sposo legittimo mette al mondo sei figli, un settimo lo concepì con Giacomo Feo, uno staffiere gagliardo che la fece impazzire d'amore, e l'ultimo, quello che sarebbe diventato Giovanni dalle Bande Nere, da uno dei tanti Lorenzo de Medici. Fu una instancabile amatrice, priva di scrupoli nel cercare chi l'appagasse, come accadde col plebeissimo Giacomo Feo, fu crudele, vendicativa, spesso feroce coi nemici vinti. Fu violenta nell'amore e nella politica, rozza come un soldato ma attenta alla propria bellezza fino a prepararsi creme, belletti, ac¬ que profumate con le sue arti un po' stregonesche, combattente feroce e madre tenerissima, ma stoica come una spartana (celebre il gesto sconcio fatto ai nemici che l'assediavano e minacciavano di ucciderle i sei figli tenuti in ostaggio, forse un po' enfatizzato, dicono gli autori). Visse trentasette anni guerreggiando, facendo strage di nemici e generando figli che non sempre avevano un padre sicuro. Visse in un periodo nel quale altre donne tenevano banco nella società: si pensi a Lucrezia Borgia, a Isabelle d'Este. Ma sono figure che impallidiscono di fronte a lei nella ricerca dei cosmetici e nell'uso dei veleni. Tentò persino di uccidere papa Alessandro VI Borgia con lettere avvelenate, uno stratagemma ingenuo usato contro il «re dei veleni». Benché già notissima, questa figura eccezionale di donna toma ad affascinare in un libro che è storia, ma anche/euttteion. Francesco Rosso N. Graziani e G. Venturelli, «Caterina Sforza», Dall'Oglio, 283 pagine, 30.000 lire.

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