Bevilacqua: racconto gli ultimi cavalieri della luna

Bevilacqua: racconto gli ultimi cavalieri della luna A colloquio con lo scrittore che ha raccolto in «Una misteriosa felicità» le sue storie padane Bevilacqua: racconto gli ultimi cavalieri della luna ROMA — 'Storie di una mia storia». Cosi Alberto Bevilacqua vuol definire il suo nuovo libro Una misteriosa felicità, che esce da Mondadori, con una presentazione di Geno Pampaloni (pp. 355, L. 24.000). Dice: «E' quasi un romanzo a capitoli insoliti, in una storia che è mia in guanto abbraccia, oltre che precìse realtà autobiografiche e proiezioni del mio carattere anche informa d'ironia, un' "autobiografia" fatta dei presentimenti e delle immedesimazioni che hanno accompagnato la mia vita». Divise per brevi capitoli, queste «storie di una storia» raccolgono, attraverso apparizioni, memorie, ripensamenti, il percorso umano e letterario dello scrittore parmigiano, dalle favolose e magiche rive del Po, animate da «leggere» e «stralunati», alle vie e agli interni di una Roma mite e crudele, labirintica e impossibile. Ci sono in questa Misteriosa felicità le «donne delle meraviglie», «le califfe» tanto amate da Bevilacqua. Le misteriose donne da cui ci si vuole sbarazzare, quelle che appaiono nella vita per stravolgerla, quelle che non chiedono nulla e si trascinano come una bava di vento o la corsa notturna della luna: Gianna, Valeria, Giovanna, Teresa, Ada, la Cantadori. Ci sono i desideri, quelli, impossibili, di far girare, con un incontro, la vita in un altro senso, quelli lontani, perduti nella contemplazione di un corpo femminile. E quelli che nascono fra le chiacchiere di campagna, alla scoperta di un'^enigmatica sostanza dell'universo», alla ricerca delle note della mazurka del Migliavacca... Bevilacqua insegue storie, è un infaticabile cacciatore di storie. Forse la sua scrittura non esisterebbe se non ci fossero quel narratori orali, vaganti sulla Pianura Padana, o rinchiusi nel fumo di un bar, che instancabilmente raccontano la vita come appare, come sembra che sia. Nel suo grande attico, vetrate e divani bianchi, Bevilacqua si trasforma in uno dei suoi «narratori orali». Recita la vitalità e la melanconia dei suoi «balordi», i sogni sempre più difficili da mettere su. Dice: »La gente oggi non racconta più. Si può raccontare solo dove la gente vive e si narra. In certi paesi succede ancora. Qui da noi si è attenuato il desiderio che la gente aveva di raccontarsi. Sì, in Veneto, in Piemonte, in Emilia, in certe parti della Lombardia sopravvive un po'di racconto. Ma qualcosa si è profondamente modificato. La nevrosi urbana chiude la bocca. Costringe la gente in casa. Annulla le relazioni. C'è una stanchezza sociale. Nelle piccole città del Nord si passeggia un po'. Ma anche li si è indebolito il piacere di coinvolgersi in chiacchiere». E dove allora lo scrittore può inseguire *gli uomini che raccontano?». Bevilacqua non ha dubbi: »In Africa, in Sud America. Ma sono esperienze che uno tiene dentro, suggestioni: la cultura è un'altra. Narrare è ascoltare. Ma l'ascoltare è anche un occhio che capisce come si modificano i comportamenti degli individui che fanno la tua realtà». Così si spiega, nella -Misteriosa felicità», il ripercorrere temi e motivi di altre sue opere, da 'Una città in amore» a «La festa parmigiana», da 'La Califfa» a 'L'occhio del gatto» a -La Donna delle Meraviglie». E, insieme, quell'inseguire, attraverso i libri precedenti, la vita vissuta, «presentimentie -immedesimazioni-. Dice Bevilacqua: «/ racconti non han bisogno di infingimenti. Nel libro ci sono personaggi dell'oggi che cercano di capire altri miei personaggi del passato. Li ho scritti nell'arco di molti anni, accentuando una vena di ironia e mistero. C'è un alone di arlìa, di canzonatura per il mondo che amo. Li considero come "prove d'autore". Sono racconti che scrivevo la mattina, quando stavo bene, quando ero in uno stato di voglia. Come far l'amore». Negli anni, Bevilacqua ha scoperto che queste «prove d'autore» si incastravano in un disegno, avevano una stessa unità stilistica, potevano farsi libro, potevano essere *il quadro di ciò cheho fatto». E da questa sensazione è nato il titolo. E anche una amarezza. Quella di constatare, appunto, che la materia prima dei suol racconti scompare: la voce del Po, i «lunatici» e gli «stralunati», i vecchi barcaioli, le ragazze generose. 'Bisogna — dice Bevilacqua — cogliere quella crisi. Celati ne ha afferrato l'attualità. Cavazzoni, invece, mi sembra faccia più un'operazione archeologica. Bisogna non dimenticare Montaldi, i suoi personaggi, le sue leggere, i suoi cavalieri della luna». Ma »Una misteriosa felicità» è anche una galleria di personaggi corposi, di allegra «mattana», da Jolanda che canta: 'Seiarósa, penduta alma...», alla luna che da piena va in ombra, alla Terenzi, clown femmina e poi medium, al Simon!, con la sua «quota d'ironia». La «mattana» ha però risvolti dolorosi: il ritratto della madre, quello del padre. Una dolorosità che Bevilacqua sembra trasferire nelle figure di donna degli spazi urbani: figure che si affacciano alla porta per annunciare malattie profonde, o che prendono la vita come un continuo disequilibrio; o sul personaggio che dice «io» e che sogna il silenzio; o ancora, sugli animali: gatti in fuga o rannicchiati in una stanza. Bevilacqua racconta: «Nelle ville lungo il fiume dove sono nato, a cui i crepuscoli sui greti, ricchi di miraggi, davano la trasparenza di palazzi di cristallo, o dentro le grandi barche che si dipingevano per le feste che ricordavano le antiche Venezie, ascoltavo da bambino gli uomini e le donne del Po, che parlavano di misteri del mondo». Sono quei «misteri del mondo» che nessuno ha più voglia di raccontare, a ferire Bevilacqua. E a costringerlo a cercare quei rebus nell'afasia dell'oggi, nella nevrosi di storie drammatiche e povere di magia. Ma anche così, l'occhio del narratore sa «cercare nel buio», inventarsi una storia, creare, nella realtà, una situazione da offrire in racconto al suo lettore. E poi, il Po è grande, verso il delta ancora lo chiamano Amazzonia. Là qualche Astolfo sogna ancora. Li «Godurie» e «Celestie», accadono ancora. Nico Orango Un paesaggio del Delta padano (foto di W. Zanca)

Luoghi citati: Africa, Bevilacqua, Emilia, Lombardia, Piemonte, Roma, Sud America, Veneto