Ecco la storia di Roma nata dallo scontro fra liberali e marxisti

Ecco la storia di Roma nata dallo scontro fra liberali e marxisti Esce da Einaudi il primo volume dell'opera patrocinata da Momigliano Ecco la storia di Roma nata dallo scontro fra liberali e marxisti DOPO quasi un secolo di divisioni e contrapposizioni su Grecia e Roma, le due grandi scuole di antichistica, quella liberal-storicista e quella marxista, si incontrano. Si incontrano e, trascinando con sé le molteplici sottoscuole partorite negli anni passati, provano ora a congiungersi in un non impossibile matrimonio. La sede in cui questo matrimonio viene celebrato è una «Storia di Roma» pubblicata dall'editrice Einaudi in sei volumi, il primo dei quali ('Roma in Italia», 623 pagine, 85.000 lire) sarà dalla prossima settimana nelle librerie. Ma ci son voluti quasi dieci anni perché le suddette scuole e sottoscuole potessero giungere all'altare. Dieci anni nei quali dispute scientifiche e accademiche hanno rischiato più volte di mandare tutto all'aria. I contrasti più forti tra le due correnti dell'antichistica si erano avuti all'inizio del secolo quando alcuni storici d'ispirazione socialista, Ettore Ciccotti, Giuseppe Saivioli, Corrado Barbagallo e Guglielmo Ferrerò, s'erano scontrati con i tradizionalisti che in Italia ruotavano attorno a Gaetano De Sanctis e avevano avuto la peggio. L'uso di categorie marxiane da parte di questi studiosi socialisti che Antonio Gramsci definì i •'materialisti storici italiani» prendeva il sopravvento sul rapporto con fonti e documenti e produceva un bassissimo tasso di filologia. Cosicché si rivelò, nell'analisi di situazioni storiche concrete, inadatto ad affermarsi contro il collaudato metodo scientifico degli avversari. Vinta questa prima battaglia, nel panorama culturale tra le due guerre dominò incontrastata la storiografia liberal-storicista, il cui più illustre esponente in Italia fu Plinio Fraccaro. Un panorama fortemente influenzato dai più importanti antichisti tedeschi (Mathias Gelzer) e inglesi (Ronald Syme), grandi specialisti di prosopografia, cioè di ricerche su famiglie, carriere, cariche politiche, partecipazione a campagne militari di piccoli e grandi personaggi. Nessuno di loro prendeva più in considerazione le suggestioni marxiste che avevano spinto gli antichisti di sinistra a cercare nella Roma di duemila anni fa convalide alle leggi economiche individuate dall'autore del «Capitale», primi segni della lotta di classe, fantasiose anticipazioni del rapporto tra struttura e sovrastruttura. Finché, dopo la caduta del fascismo, scesero in campo importanti studiosi marxisti, l'archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli, lo storico Santo Mazzarino e il dirigente comunista Emilio Sereni, i quali, accantonate le suggestioni di cui sopra e spalancate le porte alle indagini empiricoscientifiche, riuscirono a riequilibrare il rapporto coi nemici d'inizio secolo. Da allora, siamo agli anni Cinquanta, la divisione tra i due campi è soprattutto di carattere accademico, mentre sul piano scientifico cominciano ad esserci considerazione e rispetto reciproci. Tanto più che.il principale erède della tradizione liberale, Arnaldo Momigliano, vive all'estero, tra Chicago e Londra; punzecchia con sapide recensioni i testi pubblicati dalla scuola marxista; ma senza esser mai fazioso ed anzi mantenendo una costante apertura al dialogo con chi non è d'accordo con lui. Sul finire degli anni Settanta scatta la seconda offensiva di quella che per comodità continuiamo a chiamare la corrente marxista. Ormai gli innesti sono tali e tanti che dirla semplicemente marxista è assai riduttivo; ma è un fatto che l'offensiva ha come quartier generale l'Istituto Gramsci. Qui si tengono alcuni seminari di antichistica («Analisi marxista e società antiche», «Società romana e produzione schiavistica», «Società romana e impero tardo antico»), raccolti in libri — a cura di Luigi Capogrossi Colognesi, Andrea Giardina e Aldo Schiavone — dagli Editori Riunti e da Vito Laterza, che ottengono ampi riconoscimenti anche in campo internazionale e segnano un'ulteriore tappa verso la deideologizzazione di questo genere di studi e la riconciliazione tra scuole. Nel 1982, Ruggiero Romano, una delle eminenze grigie dell'Einaudi, partecipa a Parigi alla presentazione al Collège de France di uno di quei volumi Laterza che raccolgono gli atti del seminario tenutosi al Gramsci. E' lui che suggerisce a Giulio Einaudi la pubblicazione di una 'Storia di Roma» sul modello di quella che era stata la 'Storia d'Italia». Einaudi si fa convincere, chiede a Schiavone un progetto, ma quando il progetto è pronto vuole a tutti i costi che l'opera abbia la paternità e l'avallo di Momigliano. E qui tutto torna in alto mare. Momigliano ha parole di stima e rispetto per «quelli del Gramsci» (Giardina, Schiavone, Andrea Carandini, Filippo Coarelli, Domenico Musti e Mario Torelli che saranno nel comitato scientifico della 'Storia di Roma»), ma muove all'impianto dell'opera una tale quantità di obiezioni che ci vogliono due anni di tira e molla e l'immissione nel comitato scientifico di Carmine Ampolo, Guido Clemente e i due principali allièvi di Fraccaro, Lelia Cracco Ruggini e Emilio Gabba, prima che Einaudi riceva l'assenso di Momigliano a patrocinare l'opera. E siamo dunque alle nozze. Momigliano è morto un anno fa e a vedere adesso il primo volume che porta la sua firma come direttore della 'Storia di Roma» assieme a quella di Aldo Schiavone, si ha subito l'impressione che la parte del marito la facciano «quelli del Gramsci». Ma neanche in una pagina compaiono tracce delle rozze analisi marxiste d'inizio secolo: il bel saggio di Filippo Cassola sullo scontro fra patrizi e plebei, ad esempio, non ricalca neppure con un aggettivo le semplicistiche descrizioni a carattere classista che s'erano avute in passato. Bisognerà invece attendere la pubblicazione di tutti e sei i volumi, in particolare l'ultimo, «Caratteri e morfologie», per poter dire se è stata rispettata l'«ingiunzione» di Momigliano a che l'opera non contenesse «cedimenti alle Annales». Momigliano riteneva improprio che si eccedesse nell'indagare sulla mentalità d'una società di cui si conosce ancora molto poco. Soprattutto per quel che riguarda questo primo Ubro che copre il periodo dall'età del bron¬ zo al IV secolo avanti Cristo: ci sono solo reperti archeologici e descrizioni in autori come Livio, Diodoro e Dionigi di Alicarnasso, cioè scrittori dell'età augustea, vissuti tra i cinque e i sette secoli dopo i fatti narrati. Al momento si può dire che è stato accontentato: meno, forse, nei titoli, ma sicuramente nei testi che gli addetti ai lavori giudicano impeccabili sotto il profilo scientifico. Darà figli questo matrimonio tra scuole? A giudicare da questo primo volume, si può dire di si. Già la felice collaborazione tra protostorici, storici dell'antichità molto diversi e in conflitto tra loro anche per • ragioni accademiche come Carmine Aitipolo e Domenico Musti, storici del diritto e soprattutto archeologi, è un risultato. Ma anche nei contenuti sì intravedono delle novità. Non è più un crocevia, ad esempio, il passaggio dalla monarchia alla repubblica tra la fine del VI secolo e l'inizio del V. Lo snodo viene invece individuato all'inìzio del VI secolo, durante il regno di Servio Tullio, quando nascono i comizi centuriati. Comìzi che sono conseguenza di un'innovazione militare: non più un capo che combatte alla guida di bande, ma una regolare struttura di fanti organizzata al suo interno da regole e gradi che producono un'analoga organizzazione della vita polìtica. E, a proposito di Servio Tullio, dalle ricerche vediamo prendere consistenza e identità ai re di Roma (molto probabilmente furono più di sette) che vengono definitivamente sottratti alla leggenda. Fondamentali sono poi gli studi sull'influenza che comunità latine, etruschi e greci del Sud ebbero su Roma. Se due autori, è il caso di Ampolo e Coarelli, giungono a conclusioni diverse su questioni non secondarie come la quantità di abitanti che Roma aveva nel V secolo avanti Cristo, non c'è poi il tentativo di farli arrivare ad un accordo. Ed è un bene: le fonti sono, come abbiamo detto, poche e non univoche; sintesi interpretative in molti casi sarebbero null'altro che forzature. Purtroppo né questo né gli altri cinque libri della 'Storia di Roma» si avvarranno di pagine scritte appositamente da Momigliano, scomparso, come abbiamo detto, un anno fa. Ma una sua traccia si riesce ad individuare già in questi primi testi: l'antichità è studiata come una cosa a sé, un mondo che ha una sua peculiare complessità e non è vista mai come «modernità in nuce». "La storia di Roma è stata riscritta molte volte nel mondo moderno. Sema esagerare», afferma Schiavone nel saggio introduttivo, «si può ben dire che ogni generazione, dal Rinascimento in poi, se ne è costruita una sua propria versione (e spesso anche più d'una), la più vicina al gusto, alla sensibilità e alle esigenze dei tempi». E se in questo caso la regola è stata opportunamente violata, il merito d'aver sorvegliato fin nei dettagli a che quest'innovazione trionfasse va riconosciuto per intero a Momigliano. Paolo Mieli Enea ferito (da un affresco di Pompei)