Splendidi porti del Barocco

Splendidi porti del Barocco A MARSIGLIA 65 DIPINTI NARRANO TRE SCUOLE ITALIANE DEL '600 Splendidi porti del Barocco Mentre al Grand Palais di Parigi è in corso la mostra del nostro Seicento, a Marsiglia s'inaugura «Escales du Baroque» Da trenta musei francesi, opere nate tra il 1620 e il 1680, a Genova, Venezia e Napoli - Tre città sul mare, culturalmente autonome e diverse ■ Ma tutte strettamente legate alla Roma di Poussin e Caravaggio, sogno dei pittori provenzali del secolo MARSIGLIA — Tre Città, tre porti, Genova, Venezia, Napoli e la loro pittura nel Seicento. E'il tema di una mostra ('Escales du Baroque», sino al 15 gennaio) al Centre de la vieiUe Charité, un grandioso edificio di pietra rosa costruito tra Seicento e Settecento per accogliere mendicanti e appestati. Oggi ambizioso museo con sale moderne e uffici efficienti che coordinano l'intensa attività dei musei della città. Nei grandi ambienti 65 dipinti, dal 1620 al 1680 circa, raccolti da 30 musei francesi (ad eccezione del Louvre), ci riportano di colpo, con luci e ombre, all'atmosfera affascinante del bel tempo. Curata da Prancoise Viatte e da un gruppo di specialisti francesi, la mostra (a Napoli dal febbraio '89) presenta, attraverso opere spesso poco note, un panorama.ricco seppure incom¬ pleto del nostro Seicento. L'idea è nata nel corso delle ricerche di catalogazione condotte da Natalie Volle e Arnauld Brejon de Lavergnée nei musei francesi. Ne è uscita la pubblicazione di un Reper-h torio, che ha permesso due eccezionali mostre che si integrano: quella organizzata dalla Réunion des Musées Nationaux al Grand Palais di Parigi, che riguarda l'insieme delle scuole italiane del Seicento nelle collezioni pubbliche francesi e questa di Marsiglia che appunta lo sguardo su sole tre città. Perché Genova, Venezia, Napoli? Perché sono tre porti come Marsiglia, che nella sua storia pittorica dal '600 all'800 ha sempre tenuto d'occhio le coste mediterranee assimilando molti fatti delle tre città. Tre porti, che per quanto culturalmente autonomi e diversi, si legavano strettamente al¬ la Roma di Poussin e di Caravaggio, il sogno dei pittori provenzali del XVII secolo. E poi perché le tre scuole portuali, in particolare quella napoletana, cui appartiene circa la metà dei dipinti esposti, sono bea rappresentate in Francia La storia delle opere, i loro minuti passaggi dalle antiche collezioni ai musei sono indagati con attenzione e riportati nelle schede di un bel catalogo (Escales du Baroque, Adam Biro) con biografie degli artisti e saggi di Mina Gregari, Krzysztof Pomian, Pierre Rosemberg. Tre sezioni topografiche ci permettono di ripercorrere la storia diversa, ma complessa, della pittura nelle tre città nel passaggio dalla «maniera» cinquecentesca al «naturalismo' della prima metà del secolo fino all'esplodere del «barocco: Una fitta rete d'incon¬ tri, di presenze e assenze, che determinano cambiamenti nel gusto di pittori, mercanti, collezionisti. E i secoli duri, decimati spesso da insurrezioni e pestilenze. Genova, all'inizio del Seicento, è senza dubbio la più prospera delle tre. Repubblica dal 1528, favorita dal declino di Venezia e chiave di passaggio tra la Spagna e la Lombardia spagnola, è governata da grandi famiglie nobili che fondano la loro ricchezza sul commercio e la finanza internazionale. I Daria, gli Spinola, i Balbi, Pallavicini, Durazzo fanno a gara nel commissionare opere d'arte per cappelle, palazzi e collezioni. A dare una sterzata alla pittura sonnacchiosa d'inizio secolo sono l'arrivo di quadri toscani, lombardi, fiamminghi (sempre ricercati) e presenze importanti come quella di Paggi, tornato dalla Toscana, del lombardo Procaccini e soprattutto di Rubens e Van Dyck. n primo con la Circoncisione inviata da Roma nel 1605 e con i ritratti eseguiti nel 1605-1606, il secondo nei due soggiorni del 1621-22 e 1623-27 che gli permettono di diventare il ritrattista dell'aristocrazìa locale. Con loro penetra a Genova l'arte raffinata del Nord, il naturalismo violento di Caravaggio, il colore dei veneti e l'eredità dei maestri del Rinascimento. Nasce la nuova «scuola». Bernardo Strozzi, con cui si apre la sezione genovese, ne è il maggiore rappresentante con affreschi, tavole d'altare, dipinti da cavalletto come le tre splendide tele esposte: il rustico, caravaggesco I pellegrini d'Emmaus di Grenoble, la Madonna della pappa di Chalon-sur-Saone, curata persino nella decorazione del piatto, Costantino distrugge gli idoli del Museo di Beava Arts di Marsiglia. Gioacchino Assereto, considerato dai biografi antichi e dalla critica del Novecento come uno dei più grandi pittori del Seicento italiano, si evolve in parallelo con grande originalità. Uno dei tre dipinti in mostra, Tobia rende la vista a suo padre, circa 1630, recente acquisto del Museo di Beaux Arts di Marsiglia sul mercato di Parigi, rappresenta da solo le conquiste del secolo: la luce, la religiosità, il «naturalismo' che si fa strada dopo la «maniera». Altri dipinti stranieri arrivano a Genova negli Anni 20: l'Assunzione di Guido Reni (1617) per la chiesa del Gesù e il Miracolo di Sant'Ignazio (1628) di Rubens. Contribuiranno a formare la seconda generazione, di Giovanni Benedetto Castiglioni e Valerio Castello, considerati gli esponenti del «barocco» genovese. Al Castiglione, viaggiatore infaticabile, incisore, disegnatore e filosofo, è dedicata un'Intera sala- quadri di animali, scene rustiche, tutto il caotico e pittoresco mondo pastorale dell'epoca. R Castello, invece, per i suoi drammatici quadri religiosi (la Pietà di Nancy, n riposo durante la fuga in Egitto di Compiègne) eseguiti prima e dopo la peste del 1657, attinge a Van Dyck, Correggio, Parmigianino. Continuatori, del filone barocco saranno Domenico Piola, Bartolomeo Guidobono, a e a o . o a Gregorio de Ferrari, rappresentati da soggetti religiosi di piccolo e grande formato. Diversa la situazione di Venezia, in crisi politica ed economica (ha perso i possessi adriatici e perderà Creta nel 1669). La grande pittura del '500 sta cadendo nel provincialismo. A creare la nuova «scuola» sono soprattutto stranieriBernardo Strozzi che arriva da Genova net 1631, il tedesco Johann Lyss ed il romano Domenico Fetti, attratti dal colore di Tiziano. Influenzano gli allievi di Padovanino, autori di grandi quadri storici, mitologici, ritratti e scene di genere: Girolamo Forabosco, ad esempio, un artista riscoperto nel nostro secolo che vediamo in un pomposo e bonario Ritratto di canonico del Museo di Lione, già attribuito ad Agostino Carrocci e in Diogene che beve nel cavo di una mano, un inedito identificato nel Museo Fesch di Ajaccio. Piero Della Vecchia, personaggio curioso, mercante e restauratore, autore di falsi Giorgione e Tiziano, che interpreta con foga grottesca scene mitologiche e religiose (Tobia e l'angelo del Museo di Pan). Giulio Carpioni che dipinge erotici Baccanali come quello del Museo di Bordeaux. Bizzarri e ironici sono altri due artisti stranieri a Venezia: il vicentino Maffei, «un pittore di giganti» come lo definiva Boschini nel 1660 e come appare nell'Allegoria del tempo e della fama di Beuvais, ed il toscano Mazzoni che si impegna in complicate allegorie come nel Litigio fra Arti di Fontaine-Chàlis. Ma è con l'arrivo a Venezia del napoletano Luca Giordano (ben rappresentato nella terza sezione) che si diffonde in città nella seconda metà del secolo, in ritardo rispetto al resto d'Italia, il 'barocco» te- '• nebroso di Ribera, il gusto dei soggetti macabri e violenti, ■ trattati con forti contrasti luminosi e senso drammatico. A illustrarlo ecco un'altra serie di grandiosi dipinti religiosi di stranieri a Venezia: dal Buon samaritano di Langetti al Martirio di san Gerardo di Loth all'opulenta Giuditta di Francesco Rosa al Pedagogo inedito di Zanchi. Un po' isolati il lucchese Pietro Ricchi, una rivelazione con i suoi straordinari dipinti ed il veneziano Celesti di cui è riemerso un Ritratto immaginario di guerriero nel Museo di Corte. Napoli, infine, grande fucina di barocco. Nella città più popolosa d'Europa dopo Parigi, i committenti sano gli avidi viceré spagnoli, preoccupati d'inviare in Spagna il maggior numero di opere, e la ChiesaFondamentali per la nascita di una 'scuola» appaiono Caravaggio e Ribera che con tre bellissime tele di controriforma aprono la sezione. Tele tragiche e livide, come la Santa Maria egiziaca di Montpelier, che mettono a nudo la psicologia dei personaggi. Da Ribera ai suoi stretti seguaci: Finoglia, il poco noto Giovanni Do e il Maestro dell'annunciazione ai pastori. Accanto ai quadri d'Altare altri generi si impongono nel collezionismo napoletano: le eleganti scene campestri di Andrea da Lione come H ratto d'Europa di Lille, le vedute urbane di Viviano Codazzi, le 'architetture» infernali di Francois di Nome. Nature morte come le due inedite di Andrea da uione, o quelle dei Recco, o ancora le delicate composizioni religiose di Bernardo Cavallino. Ma i più importanti rappresentanti del barocco napoletano sono, nella seconda metà del secolo, dopo la grande peste del 1656, Luca Giordano e Mattia Preti. Giordano, attivo nell'atelier di Ribera verso il 1650, assimila rapidamente il suo «naturalismo» sviluppando con viaggi a Roma, Venezia, Parma modi personali. Tra le numerose opere colpiscono il gelido, quasi allucinante Martirio di San Sebastiano di Ajaccio, il grandioso Martirio di San Pietro dello stesso Museo, la complessa Carovana biblica dì Albi. Mattia Preti, detto 'Il cavaliere calabrese», ha un felicissimo periodo napoletano dal 1653 al 1660, con dinamiche e appassionate composizioni, ma le cinque che vediamo in mostra, alcune attribuite da Longhi, altre discisse come il Rinnegamento di San Pietro di Carcassonne, sembrano appartenere agli anni 163040. Maurizia Tazartes