Foto di gruppo per 400 drogati di Alberto Gaino

Foto di gruppo per 400 drogati Ricerca fra i giovani del sociologo Franco Garelli Foto di gruppo per 400 drogati I tossicomani sono indifferenti ai perìcoli dell'eroina: «E' affare di altri» . «Certo che vedo ì passaggi della droga, ma perché dovrei andarlo a raccontare agli sbirri? Gli spacciatori lo sanno che non sono un infamone. Per questo se ne fregano che io li veda trafficare». Ma i ragazzi che muoiono? «Fatti loro», è la tremenda risposta del tredicenne. Accanto due coetanei che confermano. I tre se ne stanno appollaiati su una panchina alle nove di sera, non indichiamo dove, tanto meno i loro nomi. Sono adolescenti seguiti da un gruppo di adulti che propongono loro modelli diversi da quelli della strada. Difficili, a rischio, vivono una realtà quotidiana che non ha futuro. Da quella panchina guardano sfilare come tanti altri la vita dei «più grandi». E quello che vedono più da vicino è la droga che passa accanto, di mano in mano, come «affare di altri», tollerato se non proprio accettato. Hanno già imparato a convivere con quell'idea. Chi ne muore «è uno che non ha saputo gestirsela». Stanno sulla soglia di qualcosa che non conoscono e aspettano segnali. Quali saranno i più convincenti? Quelli che arrivano dai «sotterranei» della marginalità giovanile sono stati raccolti in 400 interviste ad altrettanti giovani a rischio. La ricerca effettuata da un gruppo di diplomande della scuola per assistenti sociali Unsas e diretta dal sociologo Franco Garelli offre i ritrattini di ragazze che si prostituiscono per un panino, «proprio perché non attribuiscono nessun valore al gesto» e di loro coetanei che si avvicinano alla droga «ispirati da nient'altro che non sia una logica di consumo», aggiunge lo studioso. La cultura della droga attecchisce senza dover nemmeno più promettere la conquista di paradisi artificiali. Basta e avanza il «fatto» che stia in strada a disposizione perché qualcuno «cominci». Assurdo, ma tanti percor si giovanili sono segnati dall'abuso di sostanze tanto diverse fra loro e malgrado ciò alternate in base soltanto alle possibilità del portafoglio volta per volta: psicofarmaci quando quattrini in tasca scarseg giano, il «buco» se si hanno trentamila lire per la dose minima di droga. «Alcuni di quei ragazzi intervistati sono già morti», svela Garelli. Li ha uccisi l'eroina mentre cercavano di «gestirsela». Li ha uccisi anche la povertà di altri riferimenti. Non sfidavano la morte, anzi sognavano o avevano sognato una famiglia e una vita normale. Oggi come ieri, tanti adolescenti a rischio continuano a confidare: «Dopo il militare mi metto a posto» oppure «Se trovo una brava ragazza me la sposo e cambio vi» ta». Speranze che qualcosa accada e li aiuti. «La foto di gruppo dei quattrocento — dice il sociologo — è quella di giovani che sopravvivono facendo ì pendolari della strada. Sostanzialmente hanno smesso prestissimo di studiare o sono molto ai margini della scuola. Con la famiglia hanno tutt'al più qualche aggancio. Con il lavoro un rapporto di assoluta precarietà. Sommano una dopo l'altra le condizioni di svantaggio sociale. E finiscono per sentire naturale quella di continuo allertarnento, diffidando di tutto e di tutti». Con la guardia sempre chiusa, il loro atteggiamento verso la violenza «è giocato sulla difensiva, tipico di chi è stato abituato dalla vita più a temere che ad esprimersi in positivo». Dalla ricerca in corso di pubblicazione presso il La- bos emerge anche questo aspetto, accanto a quelli delle sfide rituali nei luoghi deputati, su tutti lo stadio, e della tendenza a farsi giustizia da sé. «Mi sembra pure significativo — dice ancora Garelli — che i giovani intervistali si siano quasi tutti raccontati volentieri, come chi finalmente aveva trovato qualcuno disposto ad ascoltare. La barriera di diffidenza era stata superata dopo mesi trascorsi in strada dalle ricercatrici. Una dì loro è stata persino fermata dalla polizia nel corso di una retata». Se la droga, con tutti i distinguo fra sostanze leggere e pesanti, diventa un percorso facile sulla strada del disagio, persino naturale nella sua larga accettazione, «può servire — conclude il sociologo — spazzare via quell'alone di comprensione che poteva sfociare nella tolleranza del fenomeno. Un richiamo in quel senso sta bene, soprattutto quando sui giovani hanno presa figure-simbolo che fanno uso di droga, cantanti e attori. Punire, però, il consumatore non farebbe che accelerare, con l'ingresso in carcere, il percorso di tanti verso la devianza cronica». Garelli suggerisce di investire in grandi progetti sociali per chi non ha mai avuto niente, nemmeno in cui credere, e incontra nello «sballo» il vuoto a perdere dei suoi diciott'anni. Alberto Gaino Giovani, sbandati e indifferenti: una vita in panchina

Persone citate: Franco Garelli, Franco Garelli Foto, Garelli