Quel gabbiano è un dio di Mario Baudino

Quel gabbiano è un dio LE NUOVE POESIE DI GIUSEPPE CONTE Quel gabbiano è un dio Sul finire degli Anni '70 Giuseppe Conte aveva affidato un sogno ai suoi versi. Era tempo, per il poeta di L'ultimo anrile bianco, di • imparare! a ridere..., a distruggere, e al tornare- per rompere quell'atmosfera di conformismo, non solo letterario. Tornare alla natura: •Conte, notò giustamente Citati, sì è assunto la parte di ricordare che cos'è la natura a un mondo che l'ha dimenticata-. Tornare, anche, agli antichi dei: quelli ad esempio che ci sta narrando Roberto Calasso, anche se alla frase di Sallustio citata in epigrafe a Le nozze di Cadmo e Armonia, dove degli dei si ricorda che la loro inesistenza è proprio il senso della loro etema presenza. Conte potrebbe rispondere coi versi di una sua poesia: 'Attenti agli dei. poeti, usateli con cautelai perché gli dei esistono, non sono mitologia-). Tornare, infine, all'anima: intesa in un significato mollo prossimo a quello di James Hillman, come area di energie psichiche, mappa dell'esistere, la casa degli dei dove i miti vivono un etemo presente. In questo senso, ogni poesia e un mito nuovo. Quelle di Le Stagioni, apparse in questi giorni per la Bur di Rizzoli (è la terza raccolta di liriche dopo L'ultimo apriie bianco e L'Oceano e il ragazzo, per un autore che ha affrontato, oltre alla saggistica, anche il romanzo con Primavera incendiata e più recentemente Equinozio d'autunno, sempre per Rizzoli), lo sono nella fedeltà a quell'idea di cultura e. insieme, alla mutevolezza dell'anima. In esse gli dei. emblemi di un possibile ritomo attraverso la riappacificazione con l'armonia del mondo e del destino, mostrano però un nuo¬ vo viso. Se nell'Oceano e il ragazzo il viaggio di Eracle verso Occidente, dalla Grecia ai miti celtici, dalla voce di Prometeo a quella di Manannah Me Lir avveniva quasi per ristabilire un patto violato dalla storia, qui. come bene osserva Giorgio Ficara nella prefazione, gli dei esprimono -un dubbio sul proprio essere, o sull'essere del mondo- Le forze psichiche dell'anima, e cioè l'idea della sacralità del mondo in tutti i suoi aspetti, dalle rocce agli animali, sembrano per un momento tremare, chiedere una verifica. E il poeta intraprende il suo itinerario attraverso il mondo, attraverso il divino, esplorando le stagioni di Venere, Pan, Flora ed Ermes, le stagioni dell'acqua, della terra, dell'aria e de! fuoco, sino all'interrogativo finale sul ••dopo le stagioni», quando il cerchio si spezza e l'anima, come nella mistica iranica, si trova nuda di fronte all'esigenza del ritomo. Ma. ancora una volta, tornare dove? Il libro punta verso un luogo dove un figlio e un padre potranno forse viaggiare -oltre ciò che fiorisce e disfiora-, dove -ciascuno di noi conoscerà/ il suo Dio-. Ma intanto segue i passi del viaggiatore, perché -il viaggiatore conosce bene i labili! rapporti che ogni terra ha con le nubi-, e quelli •che ogni anima ha col renio-, e il viaggiatore è un poeta che ama con eguale forza il linguaggio che si brucia in un'idea e quello che si distende in un paesaggio. -Non sapevo che cos'è un poetai quando guidavo alla guerra i carri/ e il cavallo Xanto mi parlava- fa dire alla sua biografia di bambino sedotto dall'Iliade, per rispondersi da adulto: -Forse il poeta è un uomo che ha in sèi la crudele pietà di ogni primavera-. Conte sa che Artemide forse è ormai una sorta di mendicante: 'Non mi riconoscerete voi! che andate a casa . senza guardare: non saprete mai chi è l'esiliata/ ragazza che vi taglia la strada el ride-, che altri dei hanno scelto di trasformarsi in gabbiani, gechi e cavallette, ed esiliarsi fra portici e autobus, come fenii, o in agonia, o dimentichi di sé: -Chi sa se volevano morirei E come gli appariva ancora di là/ in basso, in pericolo, il cielo/ vasto e chiaro-. Cerca un significato più ampio per la pietà ('Non fu empio il mio piede: si fermò/ in tempo per non cancellarti, cavalletta-), il desiderio (•Portaci nuovi colorii qui sulle rive tirrene/ stellati di fuoco e che incantano/ come al largo le sirene-), l'elegia (-Ci pensi, non ho mai piantato un albero,/ non ho mai avuto un figlio. I Tanto assomiglio al mare./ solitario, sterile./ Né un crespo cipresso, né un salice! umido e lento, né un'euforbia! diramata a delta, né un pesco/ né un susino né un melo/ ho mai fatto crescere, né un ramo/ rosa o candido a marzo, né un piccolo/ di un uomo-). l'amore: -Oh, se potessimo riconoscerci, allora/ come la nube riconosce il cielo/ volando-. E proprio l'ultimo esempio, nella sua severità che fa pensare a Rilke o alla scansione solenne dei grandi romantici, ci ricorda la forte novità stilistica di questo libro di Conte: dove un uso raffinatissimo della metrica tradizionale, resa pressoché inavvertita, smorzata, quasi mimetizzata, è il passo più vero d'una -poesia d'anima». La scansione, la musica severa delle parole, sale da ciò che le parole dicono, dalla loro origine. Mario Baudino

Persone citate: Citati, Giorgio Ficara, Giuseppe Conte, James Hillman, Portaci, Primavera, Roberto Calasso

Luoghi citati: Grecia