«Così abbiamo perso Israele» di Guido Rampoldi

«Così abbiamo perso Israele» Navon, ex capo di Stato e segretario laborista, spiega la sconfitta elettorale «Così abbiamo perso Israele» «Dopo la sorpresa dello Yom Kippur la gente non ha più creduto che garantissimo la loro sicurezza» «Ma anche gli scandali hanno inevitabilmente incrinato l'immagine di partito dell'establishment» DAL NOSTRO INVIATO GERUSALEMME — Oltre trent'annl fa, nel '57, Ben Ourion convocò i vertici militari e disse che bisognava restituire all'Egitto la striscia di Gaza. Gli ufficiali, e tra loro Dayan, protestarono. Gurion convenne che il controllo della strìscia era necessario alla sicurezza d'Israele. Ma una ragione più importante imponeva il ritiro. Nella regione di Gaza, disse Ben Gurion, abitano 360 mila arabi: non li si può governare con i fucili, con i metodi usati dagli inglesi durante il loro mandato sulla Palestina. Non si può perché Israele non deve tradire i suoi ideali etici. Nella stanzetta quattro metri per quattro che si appresta a cedere al prossimo ministro dell'Educazione, Yitzhak Navon racconta questo aneddoto, recuperato in un testo della libreria alle sue spalle, per spiegare come era diverso il passato da questo presente che un po' lo delude. -Volevamo una società colta, umanistica, tollerante, forte ma capace di compromessi: e su questo terreno — il terreno dei valori etici — adesso stiamo perdendo uno scontro che dura da quando c'è Israele'. Navon ha 67 anni, è stato combattente deìl'Hagana- ah, segretario laborista, presidente della Repubblica; tra 1 leaders israeliani è uno dei pochissimi che parla l'arabo. Ha vissuto, da protagonista, quel conflitto 'tra noi e l'ideologia da cui discende il Likud aperto già nel '47-48, quando il loro gruppo si oppose al compromesso territoriale proposto dalle Nazioni Unite. Dicevano: chi vi dà il diritto di cedere la Terra d'Israele? Volevano tutto o niente. Ma in quegli anni erano una piccola minoranza*. Adesso Navon è un testimone dall'interno, e tra i più autorevoli, della crisi laborista. Il clamoroso tonfo nelle elezioni del '77. Poi una parziale risalita, ma senza mai recuperare l'egemonia aperta; e ora un seggio in meno che nell'84, e la prospettiva di finire all'opposizione. Un ciclo quasi fatale per 11 partito e forse anche per quei valori nei quali era stato fondato Israele. Qua! è la spiegazione di questo declino? «Ci sono due fattori combinati, e il primo è la guerra del '73. Ciò che il mondo non può capire è che dentro questo Paese circondato da una ventina di nazioni arabe il primo problema della gente è la sicurezza. Fino al '73 Golda, Dayan, Allon, insomma la leadership laborista, garantiva gli israeliani. Ma in quello Yom Kippur fummo presi di sorpresa da egiziani e siriani, malgrado l'Intelligence, inascoltata, avesse preavvertito. Per Israele fu uno shoc tremendo. La gente non si raccapezzava più, aveva l'impressione che Golda, la forte madre, e Dayan e Allon, gli eroi d'Israele, avessero giocato con la cosa più importante per la nostra vita e per l'esistenza del Paese». — Qual è l'altro fattore? «Dagli Anni 40 al '77, per quasi mezzo secolo, siamo stati l'establishment. Abbia¬ mo occupato le posizionichiave delle istituzioni, dislocato i nostri ai vertici delle fabbriche, della burocrazia. Così, quando negli Anni 70 vennero fuori alcuni casi di frodi, di disonestà che coinvolgevano l'apparato laborista, la gente concluse: questi non solo non ci proteggono, ma sono anche corrotti. Perdemmo alcuni seggi nel '73, ma nel '77 il colpo fu terribile». — E da allora non siete riusciti a scrollarvi di dosso l'immagine negativa che vi condannò? «Non del tutto. Soprattutto non siamo riusciti ad avvicinare quelle masse orientali, povere, che ci considerano troppo di sinistra, troppo antireligiosi e troppo colombe; e continuano a identificarci nell'establishment. Per loro eravamo l'establishment anche dopo il '77, quando andammo all'opposizione, e lo restiamo anche adesso. Contro chi protestavano, ieri, le 199 donne licenziate a Dimona? Contro il Labour. Per molti che in questo momento temono per il posto di lavoro, a licenziare siamo sempre noi, che governiamo il sindacato e attraverso il sindacato saremmo proprietari delle fabbriche. L'abilità del Likud è stata proprio quella di dare ospitalità a tutte le frustrazioni sociali, a chiunque volesse gridare e protestare». — In queste elezioni la parte di masse orientali che avevate agganciato vi ha voltato le spalle ed è corsa dai partiti religiosi, usciti vincitori dalle urne. Ma neanche questo è un segno del declino dell'ideologia la' borista? «n successo dei religiosi ci ha colto di sorpresa e spaventato. Però non va esage rato. Né va dimenticato che quella è un'area complessa, Se due dei quattro partiti che la compongono appaiono decisamente falchi, altri due obbediscono a un rabbino, la loro guida spirituale, che dice: accetteremo ogni compromesso in cambio della pace. Per questo adesso trattano anche con noi. Purtroppo in materia di religione il Likud può offrire più del Labour. E se Shamir riuscirà a formare la coalizione anche le colombe diventeranno falchi, purché abbiano in cambio ciò che a loro preme. Con i partiti religiosi è sempre andata cosi». — E in quel caso in quale direzione andrà Israele? «Ci saranno più insediamenti nei territori occupati, più estremismo, e nessuna possibilità di una soluzione politica. Ci sarà lo "statu quo", concetto applicabile ad un oggetto, non ad un popolo con cui ti confronti. Ci sarà pericolo di conflitto. E resteremo sempre in una condizione che ci svantaggia. Perché la nostra forza è anche la nostra debolezza, in quanto il nostro è un esercito impreparato a combattere la gente; mentre la loro debolezza è la loro forza: perché anch'io, quando vedo la polizia che manganella i civili, accada a Washington o in Corea, sto automaticamente dalla parte dei picchiati». Guido Rampoldi