Sharon: datemi il «ministero dell'intifada» di Guido Rampoldi

Sharon: datemi il «ministero dell'intifada» Sharon: datemi il «ministero dell'intifada» DAL NOSTRO INVIATO GERUSALEMME — Avanguardia di una nuova ondata di «colonizzatori», i primi 600 israeliani si apprestano a invadere !a West Bank e Gaza, coi mitra nei portabagagli e le famiglie nelle roulottes, e a fondare undici nuovi insediamenti. Dando per scontato che Yitzhak Shamir formerà un governo di destra votato ad estendere la presenza israeliana nei territori occupati, il •Blocco della Fede- ha già organizzato la prima colonna, una sessantina di persone e quindici -case mobilipronte a raggiungere la striscia di Gaza: biblica Terra d'Israele per nazionalisti e fondamentalisti. Stato palestinese secondo la dichiarazione d'indipendenza che Arafat e la sua gente dovrebbero emanare il 15 novembre. I segnali che giungono da Gerusalemme dicono agli aspiranti coloni che le loro certezze non sono infondate. Shamir ha concluso un primo giro di consultazioni con i tre partiti dell'estrema destra e i quattro religiosi. Avendo ottenuto la disponibilità che cercava, ha aperto il secondo round: la trattativa sui ministeri. L'ultimo -sil'ha pronunciato ieri mattina il generale Ze'Evi, capo di un partito che si batte per il -trasferimento- nei Paesi arabi di un milione e 750 mila palestinesi dei territori occupati -Nell'incontro con Shamir e la delegazione del Likud ho avuto un'accoglienza calorosa-. ha detto Ze'Evi, e ha pronosticato -al 99 per cento- un governo di destra. La sbrigativa proposta del -trasferimento» non entrerà nel programma del probabile governo ma se la coalizione sarà quella che si annuncia la politica verso gli arabi sarà l'equivalente di una dichiarazione di guerra: il movimento dei coloni otterrà soldi e autorizzazioni per nuovi insediamenti; la sollevazione palestinese sarà affrontata con una strategia d'urto. Ariel Sharon, il generale che agli arabi ricorda il massacro di Sabra e Chatyla, si candida come ministro della Polizia, purché al suo dicastero sia affidata la repressione della rivolta. Sui ministeri e già rissa. Il partito nazionale religioso pretende a tutti i costi l'Educazione, da quarant'anni retta da un laico. I religiosi appetiscono anche Interni ed Edilizia, per finanziare la costruzione di alloggi destinati ai rabbuiati. Gli ultraortodossi hanno concordato una posizione comune per alzare il prezzo del loro ingresso nella coalizione. E già questi primi passi verso una nuova maggioranza dicono che le elezioni del 1° novembre potrebbero essere ricordate come «uno spartiacque storico-. Cosi le definisce 11 Jerusalem Post, che argomenta: a 41 anni dalla dichiarazione d'indipendenza, quei gruppi marginali che non si riconobbero nei princìpi costitutivi della democrazia israeliana adesso hanno preso il sopravvento. In primo luogo l'estrema destra sionista, per la quale l'espansione territoriale verso il Giordano era un obiettivo più importante della pace con gli arabi. Shamir proviene da quest'area. In secondo luogo gli ultraortodossi, che rifiutarono il modello costruito dal sionismo laborist.a nel '48. Riteneva l'Israele di Ben Gurion un Paese troppo laico: solo quando la legge divina delle Scritture avesse prevalso sulla legge emanata dagli uomini Israele. Destra nazionalista e ultraortodossi, mai combattuti a fondo dal sionismo ìaborista in quanto piccoli e ininfluenti, adesso hanno in mano il futuro del Paese. A molti osservatori questo evento pare segnare il tramonto di un'era e l'alba di un'altra. Un quotidiano autorevole, il Ma'ariv, si chiede se l'avvento di un governo di destra non segni il definitivo declino del sionismo delle orìgini, o del vero sionismo. E l'editoriale, intitolato appunto «Fine del sionismo?», scorge in questo cambiamento radicale la possibile origine di due grandi disgrazie: la rottura con la comunità americana, probabile se gli ultraortodossi riusciranno ad imporre il ripudio dell'ebraismo riformato, e soprattutto una gra¬ ve spaccatura di Israele, che potrebbe spingere molti ebrei a lasciare il Paese. Chi ritiene che Shamir dopo tutto sia abbastanza pragmatico per accorgersi di questi perìcoli letali non dà lunga vita ad una coalizione di estrema destra. Nella strategia del futuro premier ci sarebbe, in realtà, un nuovo governo con i laboristi — o almeno con la destra del Labour, guidata da Rabbi — nella prospettiva di un negoziato sui territori (ma solo dopo aver soffocato la rivolta araba). Shamir sarebbe pronto a scaricare gli ultras purché nel frattempo i laboristi si liberino della leadership di Shimon Peres e mettano in riga la sinistra del partito. Di fatto il capo del Iikud ha messo in chiaro che i laboristi «si devono togliere dalla testa l'idea del negoziato internazionale-, cioè la linea-guida con cui Peres s'è presentato all'elettorato. E quando gli è stato chiesto se in queste consultazioni intendeva incontrare anche Peres, ha risposto seccamente: «Se il Labour ce lo chiederà'. Una dichiarazione che dimostra che -non c'è niente di cui discutere-, ha replicato un Peres irritato. Guido Rampoldi

Luoghi citati: Gaza, Gerusalemme, Israele, Rabbi