Una scalata da 13 miliardi di dollari

Una scalata da 13 miliardi di dollari Firmato domenica l'accordo del secolo tra Philip Morris e Kraft Una scalata da 13 miliardi di dollari Nasce con un fatturato di 38 miliardi di dollari il gigante alimentare americano - Scavalcato il dominio dell'Unilever - Si riaccende la polemica sulle fusioni - Ma Wall Street è entusiasta DAL NOSTRO COflRISPONDENTE WASHINGTON — La più grossa azienda alimentare del mondo, dai surgelati alla birra, è nata domenica scorsa dalla fusione tra un colosso dei tabacchi, la Philip Morris, un fatturato annuo da 28 miliardi di dollari, e la Kraft, la regina dei latticini, un fatturato annuo da 10 miliardi di dollari. L'azienda scavalca la Unilever angloolandese, sinora la prima del settore, e a partire dal '90, •dopo il necessario periodo di adattamento», hanno detto i portavoce, cercherà di sottrarle il dominio dei mercati europei. La Philip Morris ha investito 13 miliardi e 100 milioni di dollari nella fulminea operazione, oltre 17 mila miliardi di lire: si tratta della seconda fusione di tutti i tempi dopo quella dell'86 tra 1 due colossi del petrolio Chevron e Gulf, che costò 200 milioni di dollari in più, pari a 260 miliardi di lire. n successo della Philip Morris, che inizialmente aveva offerto alla Kraft 2 miliardi di dollari in meno ricevendo in risposta un secco no, ha fatto salire la febbre delle fusioni a Wall Street. I titoli alimentari sono aumentati. Tra di essi, quelli della Nabisco, a cui la banca d'investimenti Kohlberg, Kravis e Roberts ha offerto ben 20 miliardi di dollari, oltre 26 mila miliardi di lire, un record assoluto. Le azioni della Kraft, che quindici giorni fa erano quotate 60 dollari l'una, e lo scorso venerdì 90 dollari, sono passate a 103 dollari (la Philip Morris le ha valutate 106 dollari). Gli investitori, quasi tutti istituzionali (banche e assicurazioni, non privati) che se ne erano accaparrate una parte, hanno quindi potuto realizzare profitti enormi. L'accordo tra la Philip Morris e la Kraft è maturato tra venerdì e sabato. Pochi giorni prima, la Kraft aveva annunciato un piano di ristrutturazione che le sarebbe costato 14 miliardi di dollari, con un indebitamento di almeno 10 miliardi di dollari, alzando il valore delle azioni a 110 dollari l'una. Quando la Philip Morris è tornata alla carica, i nuovi termini proposti le sono sembrati convenienti. Ha dichiarato il presidente della Kraft, John Richman: -L'offerta è generosa, i prodotti delle nostre due compagnie si integrano e le nostre prospettive di espansione negli Stati Uniti e sui mercati esteri sono allettanti». La Philip Morris non venderà la minima parte del suo patrimonio, si farà prestare quasi 11 miliardi di dollari da 64 banche diverse per l'operazione, offrendo garanzie in forma di titoli. Sulla scia della seconda fusione di tutti i tempi ne sono previste ora altre, a cominciare dal «leveraged byout», ossia dall'acquisto tramite crediti terzi della Nabisco per mano della Kohlberg, Kravis e Roberts. Ma l'ondata delle fusioni allarma sempre di più l'amministrazione Reagan e i «guru» di Wall Street, che non si sono dimenticati che il crack del lunedi nero di un anno fa avvenne proprio in circostanze analoghe. Nel caso della Nabisco, ha svelato il New York Times, gli investitori che hanno versato il deposito iniziale, 2 miliardi di dollari, sono i fondi pensioni di grandi società come la Untted Technologies, di università come Harvard, e di Stati come New York, che secondo il giornale nell'interesse dei pensionati non dovrebbero coinvolgersi in simili transazioni. Ha notato l'economista John Kenneth Galbraith, insistendo nel paragonare la congiuntura attuale a quella del crack del '29 e '30, pur facendo le debite proporzioni, che Reagan ha favorito la concentrazione industriale, ignorando le leggi antitrust o antimonopolistiche. Le dieci massime fusioni della storia americana sono avvenute durante la reaganomics, dalla fusione da 6 miliardi e mezzo di dollari della U.S. Steel e della Marathon Oli nell'81, alla fusione di 10 miliardi e 100 milioni di dollari della Texaco e della Getty nell'84, alle incredibili fusioni di oggi, n risultato è che le corporations americane navigano su un mare di debiti: la loro esposizione media è il 56 per cento del capitale, ed esse pagano in interessi il 32 per cento del loro flusso di cassa, rispettivamente il 20 per cento e 1112 per cento in più che nell'80. Le critiche risparmiano in buona parte la Philip Morris perché 11 gigante dei tabacchi, che trae più di metà del fatturato dalle sigarette, deve diversificarsi dopo la campagna antifumo del governo, e la sua solidità è al di sopra di ogni sospetto. L'azienda possiede formidabili strutture nel settore degli alimentari e ha dimostrato di saperle espandere e renderle proficue. Ennio Carette

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