Antimafia, gli anni sprecati di Cesare Martinetti

Antimafia, gli anni sprecati Intervista a Vineis, ex deputato che lesse le 164 schede segrete Antimafia, gli anni sprecati «Le carte archiviate nel 76 contenevano le radici della mafia di oggi: lavorammo per nulla» «Pubblico solo il 5% dei documenti» - «Rivelazioni su politici? Devo rispettare il riserbo» ROMA — 'Le schede? Aprirle, pubblicarle, farle vedere, darle alla magistratura, alle università, ai giornalisti. In questi ultimi tempi mi è capitato spesso di ritrovare nella mia memoria indizi di cose già sentite quando leggo notizie che riguardano la mafia di oggi, lo ne sono convinto: la radice di ciò che accade ora è là, è tutto scritto, ma nessuno lo ha mai potuto leggere-. Così dice Manlio Vineis, avvocato di Saluzzo, ora nemmeno più parlamentare dopo essere stato per due legislature componente della commissione parlamentare antimafia. In giorni di controverse opinioni sulla pubblicazione delle 164 schede (ma nessuno è sicuro che il numero esatto sia proprio questo) che riguardano i politici in contatto con ambienti mafiosi, la testimonianza di Vineis è importante. Deputato socialista, l'avvocato di Saluzzo fu allora uno dei sei membri del comitato che valutò quali documenti dovevano rimanere segreti e quali invece potevano essere pubblicati. Due di quei sei parlamentari, Pio La Torre e Cesare Terranova, sono stati uccisi dalla mafia. Vineis, che ha visto tutte quelli; carte, fu allora l'unico contrario al segreto: voleva, già nel 1976, che tutti 1 documenti venissero pubblicati. Perché? -La commissione antimafia aveva svolto un lavoro immenso e molto utile. Testimoniarne e documenti: c'era, in quelle carte, tutto 10 sfondo del fenomeno mafioso, c'era la possibilità di comprenderne le ragioni e di prevederne gli sviluppi. 11 segreto sulle carte dell'antimafia, in un certo senso, rese inutile il nostro lavoro-. Quale fu la ragione per cui si scelse il segreto? ^Allora la scelta fu determinata da una duplice paura. Quella che da quei documenti si sviluppasse una gran quantità di azioni giudiziarie da parte di chi era citato nei confronti dei testimoni e degli organi superiori dello Stato che ci davano le informazioni-. 'Le faccio un esempio: quando vennero pubblicale su un giornale alcune notizie che riguardavano l'onorevole Gioia fornite alla commissione dall'allora colonnello Carlo Alberto dalla Chiesa, il parlamentare democristiano querelò l'ufficiale. Il processo fini senza conseguenze per dalla Chiesa, però il segnale di contrasto alla pubblicazione di quelle carte fu ugualmente molto forte e provocò molti timori tra i commissari: E l'altra paura quale fu? 'Che nessun testimone, stretto dal timore che la sua testimonianza venisse resa pubblica, avrebbe mai più detto nulla. E inoltre per acquisire rapporti e informative dagli organi periferici dello Stato avevamo garantito loro la massima riservatezza. Si stabilirono cosi criteri che in sintesi furono questi: tenere segreti i documenti la cui fonte era anonima, anche se erano stati presentati da persone individuate o da autorità pubbliche, e quelli che contenevano mere illazioni dell'autore-. In che proporzione furono i documenti pubblicati rispetto a quelli tenuti segreti? -Non la prenda come una valutazione precisa al millimetro, ma direi che vennero pubblicate non più del cinque per cento delle carte raccolte-. Avvocato, ripensandoci dodici anni dopo, pensa che quella di tenere segrete le carte fu una scelta giusta? -Ho già detto di no e ne sono convinto. Credo che quelle carte, al di là del pos¬ sibile uso scandalistico, era bene che fossero conosciute. Lo dico con convinzione, anche se ricordo bene le difficoltà in cut la commissione lavorò. Ci arrivarono notizie strumentali e false, costruite apposta per mettere nei guai avversari politici. Inoltre ci trovammo un "infiltrato" tra i piedi, uno che ascoltava e riferiva. E non uno qualunque, ma uno dei due magistrati che ci erano stati messi a disposizione per il nostro lavoro, il dottor Petrone che qualche anno dopo fu espulso dalla magistratura proprio per le sue collusioni con ambienti mafiosi-. Avvocato Vineis, lei quelle carte e quelle schede che ora si trovano sigillate in quaranta casse nell'archivio del Senato le ha viste tutte. Ci può far capire che cosa contengono?. -Sono passati dodici anni e non ricordo tutto. In generale posso dire con tutta tranquillità che non vi dovrebbe essere nulla di particolarmente eclatante. C'è però una quantità di dati e di informazioni importantissime alla comprensione del fenomeno mafioso, ci sono le radici di quanto ancora accade oggi nella mafia. Credo che i più interessati a leggere quel materiale po¬ trebbero essere i magistrati che indagano sulla mafia, perché vi troverebbero l'anticipazione dei fatti che ora si trovano a dover giudicare». Per esempio? ■ il problema della droga fu trattato da una commissione presieduta dal collega Michele Zuccaia in moto così completo che se sì fossero lette bene le sue conclusioni, ma soprattutto se si fossero potutjl consultare i documenti su cui si basava e che invece sono stati sepolti nell'archivio del Senato, forse si sarebbe anticipato e prevenuto ciò che poi è accaduto dopo. L'altro fenomeno di cui ora si parla e che già allora avevamo capito, fu quello dello sbarco della mafia in alta Italia-. Avvocato Vineis, però il cuore della polemica se pubblicare o no quelle carte è un altro: e cioè se in quelle casse si troverano schede che riguardano politici in attività. Lei sa dirci se ci sono? -No, lei è un giornalista e io sono uno dei parlamentari che allora scelse le carte su cui c'è un segreto che rispetto. Però non c'è da aspettarsi nulla di clamoroso. Di utile, invece, sì». Cesare Martinetti

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