Capannoni e centrali elettriche monumenti all'arte del lavoro

Capannoni e centrali elettriche monumenti all'arte del lavoro Capannoni e centrali elettriche monumenti all'arte del lavoro VECCHI capannoni abbandonati, fabbriche diroccate, macchinari in disuso. Di questo e d'altro si occupa la disciplina dell'Archeologia Industriale. Non si tratta però di una cultura della decadenza o del rudere: lo studio dei resti della prima industrializzazione riguarda l'insieme della vita moderna e riserva delle sorprese. I vecchi insediamenti produttivi possiedono spesso notevoli qualità estetiche ed architettoniche. In altre parole, sono belli. Quale migliore occasione, allora, di queste prime domeniche di autunno per an-; dare alla riscoperta di vecchie fabbriche ed opifici? il più delle volte "non occorre"" andare lontano, basta guardare con occhi più attenti il territorio che circonda la nostra città. Nei quattro itinerari di archeologia industriale che proponiamo 1 primi tre riguardano monumenti fuori le grandi città. L'ultimo itinerario tocca invece la città di Venezia e si propone più che altro come una sorta di «istruzioni per l'uso- per vedere con altri bechi la realtà industriale che ci circonda. Le centrali elettriche dell'Adda La zona del medio corso dell'Addai il tratto cioè compreso tra Cassano e Calusco, è sicuramente uno dei terreni più fertili per l'archeologia industriale italiana, sia per il numero che per l'importanza dei reperti che vi si trovano. Il fiume stesso si struttura come una grande opera di ingegneria idraulica, iniziata nel,XVI secolo con la costruzione del naviglio della Martesana (al cui progetto collaborò anche Leonardo) che lo collega alla città di Milano. Lungo questo stesso fiume, che nell'800 è completamente navigabile e costituì- sce una via di comunicazione concorrenziale a quella ferroviaria, vengono costruite tra il 1895 ed il 1928 otto centrali idroelettriche, comprese in un tratto di 40 chilometri. L'itinerario unisce quattro di queste centrali,, tutte molto importanti (cc*v stituiscpno U «nodo energe-, tico» dei decollo industriale italiano) e di rilevante interesse architettonico. Il percorso, che si snoda per 12 chilometri lungo la strada alzaia dell'Adda, attraversa tratti molto suggestivi ed è percorribile in bicicletta (noleggio presso Cooperativa Ecologica Aéris, Trezzo), mentre per raggiungere le centrali in macchina si dovranno seguire percorsi alternativi. n nostro itinerario inizia a Trezzo sull'Adda (uscita Trezzo sull'A4 Mi-Ve) dove si trova la centrale Taccani dell'Enel, attivata nel 1906, capolavoro dell'architettura industriale italiana ed una delle più riuscite realizzazioni in stile modernista. L'impianto fu progettato dall'ingegner Adolfo Covi, mentre il disegno del progetto è dovuto all'architetto Gaetano Moretti. Risalendo il corso del fiume per 5 ohmmetri si trova poi la centrale Esterle di Robbiate, attivata nel 1914, magnifico esempio di architettura eclettica con espliciti riferimenti al neorinascimento lombardo. Proseguendo verso Nord si giunge alla centrale Bei-tini di Porto d'Adda, proget¬ tata dall'ingegner Paolo Milani e attivata nel 1898. La centrale riveste una particolare importanza nella storia dell'industria italiana in quanto è la prima ad essere costruita per il trasporto à distanza dell'energia elettri I ca (in particolare doveva servire per l'elettrificazione di Milano). Le sue turbine, all'epoca, furono le più potenti d'Europa e nel mondo seconde solo a quelle delle cascate del Niagara. Da questo punto in avanti l'aperto paesaggio fluviale muta d'aspetto, lasciando il posto ad ambienti boschivi molto suggestivi. L'ultimo tratto del percorso costeggia l'Adda sulla destra ed il naviglio sulla sinistra, fino ad arrivare alla centrale Semenza in località Calusco, attivata nel 1920. Di eccezionale rilevanza è l'attiguo ponte in ferro di Paderno, costruito nel 1889: grandiosa opera di ingegneria che permette il superamento del fiume in un'unica campata ad un'altezza di 260 metri. // villaggio operaio di Crespi d'Adda Nel 1878 l'industriale lombardo Silvio Benigno Crespi costituiva attorno al proprio cotonificio un vero e proprio villaggio, che da lui prese il nome di Crespi d'Adda. Questo piccolo centro formato dalle case degli operai e degli impiegati del cotonificio, era interamente fondato sul rapporto con la fabbri¬ ca, tanto che nel corso degli anni restò completamente estraneo al terrritorlo circostante. Grazie a questa impermeabilità al mondo esterno Crespi d'Adda è rimasto pressoché uguale a se stesso ed offre oggi al visitatore un ambiente unico ed altamente suggestivo. Chi giunge a Crespi d'Adda (uscita Capriate sull'A4 Mi-Ve) difficilmente può sottrarsi al fascino intenso di questa piccola frazione che reca cosi fortemente impressa l'impronta del suo fondatore. L'abitato di Crespi si sviluppa per lo più in lunghez- za, seguendo l'andamento della fabbrica che si snoda lungo il corso dell'Adda. Un lungo viale scandito dal susseguirsi dei capannoni dell'opificio con belle decorazioni in cotto di stile neogotico collega 1 tre poli principali del paese: la sfarzosa dimora del Crespi, l'ingresso alla fabbrica, il mausoleo. Giungendo in macchina da Capriate si incontra subito, sulla destra, la grande villa, dimora della famiglia Crespi, costruita su progetto dell'architetto Ernesto Pirovano in forma di castello merlato. La villa, tipica costruzione dell'eclettismo italiano, è situata a ridosso della fabbrica in posizione volutamente eccentrica, in modo da emergere con ancor più evidenza e stabilire una precisa gerarchia con le case operaie. L'ingresso della fabbrica si trova invece al centro del viale e, sormontato da una svettante ciminiera, costituisce in pratica il centro del paese stesso. Al termine del viale si trova il cimitero, popolato dalle lapidi tutte uguali degli ope- ral dell'opificio e letteralmente dominato dal gigantesco mausoleo della famiglia Crespi. Il monumento, che non si può non definire «faraonico», venne costruito nel 1907 da Gaetano Moretti (è riscontrabile qualche affinità con la centrale Taccani di Trezzo d'Adda), ed è caratterizzato dalla solita mescolanza dì stili, con ricorso questa volta a temi esotici, uniti a forti intenti monumentali. Alla sinistra del viale, infi¬ ne, di fronte al continuum costituito da villa, fabbrica e mausoleo, si trova la zona residenziale dei dipendenti del cotonificio. Per gli operai erano state previste case allineate, ma non a schiera, ognuna con il proprio orticello antistante ed i servizi sul. retro. Per gli impiegati ed i tecnici vengono invece costruiti dei villini in stile liberty che formano una specie di quartierlno molto grazioso in prossimità del cimitero. Schio: la Manchester d'Italia Schio è oggi una piccola, graziosa cittadina del Veneto settentrionale, situata in bella posizione lungo il corso del fiume Leogra e ai piedi dell'Altopiano dei Sette Comuni. In realtà, nonostante la tranquilla apparenza provinciale che oggi la caratterizza, Schio è stato uno dei primi e più avanzati centri della produzione industriale del nostro Paese, tanto da meritarsi l'appellativo di «Manchester italiana». Fin dall'inìzio dell'800 la storia della cittadina è strettamente legata a quella degli imprenditori Francesco ed Alessandro Rossi e del loro lanificio, che nel volgere di pochi anni diviene il più importante non solo del Veneto ma di tutta Italia. Ed è proprio qui, a Schio, che nel 1872 nasce il primo villaggio operaio italiano, anteriore anche a quello di Crespi, attentamente progettato da Alessandro Rossi. Diversamente che a Crespi d'Adda, qui il quartiere operaio non si isola dalla città preesistente, ma tende a integrarsi, a far gravitare città vecchia e città nuova intorno al polo della fabbrica. Chi visita Schio non deve aspettarsi un ambiente integro ed incontaminato come quello di Crespi, ma un territorio complesso e stratificato. Numerosi ed importanti sono comunque gli edifici di qualche interesse. In via Pasubio si trova il lanificio Rossi, fondato nel 1849, ed affiancato nel 1862 dalla cosiddetta Fabbrica Alta, un colossale edificio in mattoni che si sviluppa su sei piani per una lunghezza di 80 metri, oggi monumento nazionale. Di fronte alla facciata del lanificio, di severa intonazione neoclassica, si apre con un'elegante cancellata il Giardino Jacquard, sorta di giardino romantico progettato come luogo di ricreazione per gli operai ed elemento di raccordo paesistico alla città. Spostandosi tra via Rossi e via Tessitori si raggiunge il quartiere operaio, allora detto di Nuova Schio, realizzato nel 1872 da Alessandro Rossi secondo concezioni innovative ed improntate al filantiopismo liberale dell'epoca. H nuovo quartiere si è completamente integrato con la città vecchia ma ancor oggi, tra un condominio e l'altro, si possono scorgere i profili delle case a schiera, dimora degli operai, o villini dei capi filanda. Venezia città industriale Parlare di Venezia come di una città industriale può sembrare un assurdo, e per molti versi forse lo è. Nella tradizionale immagine della città lagunare, fatta di fastosi palazzi eretti sull'acqua e di preziosi monumenti, posto per l'industria e per i suoi manufatti proprio non ne rimane. Ma se, una volta giunti a Venezia, invece di prendere il solito vaporetto che arriva a San Marcrrsoicando le acque del Canal Grande o del Rio Nuovo prendiamo la circolare (linea 5), potremo vedere la città sotto un aspetto insolito e sorprendente. Lontano dai tradizionali itinerari turistici, Venezia si rivela nella sua realtà industriale che accosta agli impianti portuali moderni grandi complessi abbandonati o in corso di ripristino. Ed accanto a strutture del '600 o del '700 che fanno parte della storia della Serenissima e del suo impero economico si trovano edifici dell'800, testimonianze del tentativo di fare di Venezia una città moderna, al passo con le capitali europee. Partendo con la linea 5 dal Ponte degli Scalzi, antistante la Stazione Ferroviaria, si costeggia dapprima la stazione marittima in cui si possono facilmente notare numerosi capannoni in sobria veste neoclasssìca che risalgono alla prima metà dell'800. Superata la zona portuale, densa di infrastrutture vecchie e nuove, ed avvicinandosi all'isola della Giudecca si può scorgere in lontananza la grande mole del Mulino Stucky, ampliamento del mulino a vapore fatto costruire nel 1883 da Giovanni Stucky e progettato in forme tipicamente nordiche ■ dall'archittetto tedesco1 Wullekopf. • "H gigantesco edificio, cele- " brato a suo tempo come «il più bel. mulino d'Italia», è una presenza inconsueta nell'ambiente lagunare per stile e dimensioni, ma non per questo priva di fascino. Da qui in poi l'itinerario alla ricerca di reperti paleoindustriali potrà proseguire a piedi tra i campi e le culli della Giudecca, dove non è difficile «scovare» vecchi opifici. Talvolta, vista la cronica scarsezza di spazio edificabile, gli stabilimenti sono stati addirittura ricavati in edifici nati per altri scopi, come nel caso della ditta tessile Herion, in campo San Cosmo, installata in un'antica chiesa di cui è ancora riconoscibile il campanile. Per chi vuole invece proseguire in vaporetto, la meta, dopo aver superato i Magazzini del Sale e Punta della Dogana, sarà l'Arsenale, importante cantiere navale della Serenissima. Tra i reperti industriali che ancora vi si trovano, ricordiamo la grande gru idraulica della ditta Amstrong, Mttchell & Co., oggi in disuso, una delle più grandi strutture di questo genere in Europa. Francesco Orsenigo Venezia, il Mulino Stucky alla Giudecca