Cinzia, la cavia di laboratorio che era stata regina della seta

Cinzia, la cavia di laboratorio che era stata regina della seta Storia di due falene d'Asia importate cent'anni fa, scomparse e ora ritrovate Cinzia, la cavia di laboratorio che era stata regina della seta BASTA sfogliare un libro aggiornato sulle farfalle notturne d'Europa, per accorgersi che due nomi esotici, Samia cynthia e Antheraea yamamai.Rgarano (a buon diritto) nell'elenco ufficiale delle nostre falene. Sono trascorsi più di di cento anni da quando le due specie asiatiche, sfuggite al controllò degli allevatori, si insediarono stabilmente nell'Italia settentrionale. Eppure, una di esse aveva fatto perdere ogni traccia di sé e la sua recente scoperta è stata una sorpresa. La loro storia, legata alle vicissitudini della nostra sericoltura, merita attenzione. Verso la metà dei secolo scorso, 1 bachicoltori europei si trovarono In difficoltà per il dilagare di due malattie epidemiche, calcino epebrina, che distruggevano intéri allevamenti. Anche l'Italia (che più tardi, nel 1907, avrebbe conseguito un invidiabile risultato, con la produzione di 57 mila tonnellate di bozzoli) subiva perdite gravissime. Intanto, prima che Louis Pasteur potesse individuare le cause del flagello per suggerirne 1 rimedi, dal lontano Oriente giungeva una notizia destinata ad accendere nuove speranze: alcuni bachi selvatici, più robusti del «Bombice del gelso», erano allevati in Cina sulle piante allo «stato brado» e producevano una seta resistentlssima. Non si trattava di una novità: già nel 1740, un missionario, padre d'incarville, aveva in vi al o in Francia una relazione su prodigiose stoffe, le cui fibre seriche duravano almeno il doppio rispetto a quelle comuni. E nel 1765, Monsieur d'Aubenton Junior forniva un disegno della farfalla produttrice che egli chiamò Croissant, cioè «mezzaluna», per via delle lunule trasparenti, orlate di giallo, poste al centro delle quattro ali. Otto anni dopo, lo zoologo inglese Drury impose al lepidottero il nome scientifico di Bombyx cynthia (oggi Samia cynthia). Ma nessuno, in Europa, ne aveva mal visto un esemplare vivo. Finalmente il 4 novembre 1856,1 signori Comba e Oriseri,' membri dell'accademia d'Agricoltura di Torino, entrarono in possesso dei primi bozzoli di «Cinzia», spediti dal conterraneo Annibale Fantoni, missionario della provincia cinese del ShanTung. Le farfalle, che schiusero nella' primavera successiva, diedero vita a una prima generazione di brucili. Per allevarli, furono utilizzate foglie d'ailanto, un albero originario della Cina e delle Moiucche, introdotto in Italia nel 1760 e già largamente diffuso in Piemonte. Nel 1858 la nuova produzione di uova ammontava ad alcune migliaia e Vincenzo Oriseli poteva donarne un buon numero a GuérinMéne ville, professore di zoologia applicata a Parigi e membro fondatore del Consiglio della Société imperiale d'acclimatation. L'illustre studioso, coadiuvato da Madame Drouyn de Lhuys, moglie del vicepresidente della stessa società, inaugurò una serie di fortunati allevamenti, condotti prima nel rettilario riscaldato del Museo parigino di Storia Naturale, poi all'aperto, sugli alberi. Sui pregi della nuova seta, chiamata «ailantina», si pronunziò anche Henry Schlumberger, grande esperto dell'industria tessile, che peccava però di eccessivo ottimismo: «Il filo ottenuto è liscio, brillante, forte ed elastico... E' un'eccellente materia prima che ha un grande avvenire». Ma la fama della Cinzia fu presto offuscata dall'arrivo in Europa di un'altra falena sericigena, la bellissima Antheraea yamamai, di origine giapponese. La gloria del primo allevamento spettò questa volta (1836) a un austriaco, il barone Bretton, il quale potè vantare, al quinto anno, un raccolto di quattordicimila bozzoli. Nel gergo locale «Yamamayou» significa «Bozzolo delle montagne»: infatti in Giappone, allo stato selvatico, il bruco di questa farfalla popola le querce delle regioni montuose. Oli indigeni dei villaggi poveri, sorti ai margini delle foreste, lo conoscevano da tempo immemorabile. Intere famiglie si recavano, di notte, nel bosco, rischiarando gli alberi con il fuoco delle torce; allora la seta, tessuta tra le foglie, riluceva nell'oscurità, con tenue bagliore argenteo. Mentre gli uomini, arrampicati sulle querce, staccavano i bozzoli, lanciandoli giù, donne e bambini ne riempivano le ceste: era la loro «vendemmia» e ne ricavavano tanto da poter vivere. Intorno al 1868 la Yamamai fu importata da Tominz a Trieste e da Hoberlandt a Gorizia. Due armi più tardi Quérin-Méneville ne distribuì le uova ibernanti, ricevute dal ministro degli Esteri, a venti allevatori volontari, avviando così la diffusione, in Francia, del «Bozzolo delle montagne». Quella del bachi selvatici (tutti appartenenti alla grande famiglia Attacidae) divenne una moda: altre specie esotiche giunsero in Europa, anche dal Nord America; e nel 1881, all'Esposizione industriale di Milano figuravano stoffe di «tussah», la seta prodotta dai bruchi delle falene asiatiche Antkeraea pernyi e Antheraea mylitta. Ma fu un vero fuoco di paglia. Presto ci si accorse che esistevano varie difficoltà nei processi di filatura e tintura delle nuove fibre e che nessun bozzolo poteva competere con quello del Bombice del gelso, il «Baco» per eccellenza. Cosi, a poco a poco, gli allevamenti di Attacidi furono abbandonati, e alcune specie, ormai acclimatate, riuscirono a sopravvivere, allo stato selvatico, nella patria di adozione. Si sa che Antheraea pernyi ha colonizzato, nel Mediterraneo, soltanto le isole Baleari, dove è ancora presente. Fino a quindici anni fa si riteneva che la bella Yamamai fosse rimasta confinata in Stiria, Camlolla e Slovenia. Ma, al primi di giugno del 1972,1'entomologo torinese Achille Casale, nel corso di un'escursione nell'Alto Friuli, ebbe la sorpresa di constatare che gli abitanti di una valle, in provincia di Udine, catturavano da tempo, a scopo decorativo o per collezione, un grande Attacide che non esitò a riconoscere. Le sue ricerche, patrocinate poi dall'Università di Torino e dal Centro di Entomologia alpina e forestale del C.N.R., hanno portato alla scoperta di una rigogliosa popolazione di Antheraea yamamay, spontaneamente ambientata in una fascia della zona submontana delle Prealpi Giulie, nell'alto bacino del "ragliamento, a un'altitudine di circa 500 metri. Questa colonia è attualmente in espansione e i bruchi si evolvono sul faggio. Ma la più europea delle falene asiatiche, diffusa nel Nord Italia e in Francia, è Samia cynthia, divenuta anche un ottimo animale di laboratorio per indagini scientifiche di morfologia, fisiologia e genetica. Alessandra Arzone, dell'Istituto di Entomologia dell'Università di Torino, l'ha trovata rinselvatichita e abbondante alle porte della città (ad Alpignagno, Caselette e Rivoli), nel Monregalese, nel Canavese, nelle province di Cuneo, Vercelli e Novara, sul Lago Maggiore da Arona fino a Cannerò Riviera, sulle alture sovrastanti Verbania. Nel Veneto è stata vista in provincia di Vicenza, in Romagna nei din¬ torni di Rimini. La stessa Arzone ha scoperto, all'inizio degli Anni 70, una serie di complessi rapporti intercorrenti tra la falena e alcuni parassiti nostrani che si sonò adattati a sfruttarla. Anastatus bifasciatila, già . noto persecutore «oofago» di altri lepidotteri, è una vespina pigmea, capace di distruggere gli embrioni. Una specie di mosca. Pale* pavida, depone invece le proprie uova, piccolissime, su una foglia di allanto che viene poi ingerita dal bruco di cynthia. Questo è costretto pertanto ad albergarne, nelle ghiandole della seta, le larve neonate che, dopo la prima muta, vanno a fissarsi sulla parete intema del suo tegumento, dove praticano alcuni forellini (imbuti respiratori) per captare l'aria atmosferica. I parassiti, in numero variabile da uno a nove, svuotano lentamente il proprio ospite che, prima di soccombere, riesce spesso a costruire un bozzolo deforme, a pareti sottili, ma non può trasformarsi in crisalide. Le popolazioni di Cinzia potrebbero essere decimate dalla mosca se, a ristabilire l'equilibrio, non intervenisse un imenottero «iperparassita» che ima specialista di fama mondiale, Zdenek Boucek, ha battezzato Eupteromalus arzoneae, in omaggio alla sua scopritrice. Si tratta di una vespetta, lunga un paio di millimetri, capace di individuare dall'esterno, con precisione assoluta, le larve di Pales pavida presenti nel corpo dei bruchi e di raggiungerle con il proprio ovopositore, per inoculare in ciascuna di esse almeno una decina di uova. Cosi il parassita del lepidottero è, a sua volta, parassitato: chi di spada ferisce, di spada perisce! Enrico Stella

Persone citate: Achille Casale, Alessandra Arzone, Annibale Fantoni, Comba, Drury, Enrico Stella, Henry Schlumberger, Louis Pasteur, Vincenzo Oriseli