Con voci femminili e idee dì libertà sulle vie di Dylan

Con voci femminili e idee dì libertà sulle vie di Dylan Dopo vent'anni un nuovo folk-revival: tanti esordienti e il ritorno di Peter, Paul & Mary Con voci femminili e idee dì libertà sulle vie di Dylan VENT'ANNI dopo torna a soffiare 11 vento del Greenwich Vlllage. Quello che ai alimentava delle speranze politiche dei Kennedy e portava 1 suoni delle ballate di Joan Baez e Bob Dylan, del trio Crosby Stili ti Nash, Nell Young, di Peter, Paul & Mary. All'ombra della bandiera americana, erano anni di protesta politica ed eccitazioni movimentiate. E si cantava con ritmi e tradizioni del folk. Ancora una volta, la storia degli Stati Uniti incrociava la propria strada con le canzoni del folksinger. Era già successo trent'anni prima, all'epoca del New Deal: per la generazione dei Pete Seeger, Woody Guthrie, Alan Lomax riscoprire il folklore significava dissotterare una verità nascosta e dimenticata per decenni, impegnarsi a documentare un'America degli esclusi, che viveva diversamente da quella maccartista. Negli Anni 60, il folk-revival ripercorreva strade di protesta contro la mentalità del presidente Johnson e sostenendo quella molto più liberale di Kennedy. L'aspetto di moda culturale non fu certo secondario nel revival, anzi proprio in questo il folk dimostro per la prima volta, dopo un lungo isolamento nelle biblioteche e nel club privati, una capacità sorprendente di fare concorrenza ai prodotti della musica leggera e del rock sul terreno dell'Immaginario collettivo. La «rivoluzione folk» non ha smascherato e sconfitto la musica di consumo, ma certo ha aumentato e raffinato, in tutta la produzione di musica leggera, l'attenzione per gli aspetti ideologici, la funzione culturale, l'immagine del prodotto. Ne trasse vantaggio lo stesso rock, strin- gendo per la prima volta un'alleanza musicale e politica che celebrò nei primi e famosi megaconcerti in stile Woodstock. Oggi, nell'America che vive l'epilogo dell'era reaganiana, rinasce per la terza volta quello spirito, cominciano a ricrearsi atmosfere di protesta movimentista con i versi e gli accordi di un altro folk-revival, n fenomeno si va estendendo e precisando, per cui non è ancora possibile definirne chiaramente i caratteri. Ma nella Terza Era folk, una novità spicca: la marcia musicale di protesta è guidata essenzialmente dalle donne. In testa al gruppo, quasi a legare due epoche del folkrevival, ritroviamo Peter, Paul & Mary, tre eroi del Greenwich Village che dopo 17 anni tornano insieme per incidere un disco, «No Easy walk to Freedom» (Virgin). Sulla copertina dell'album è pubblicata una poesia di Mary Travers, voce femminile del trio. Una sorta di epigrafe che spiega il ritomo del gruppo, ma forse può valere per tutto il nascente fenomeno. E' scritto: «Noi abbiamo ereditato speranze/ Noi siamo un insieme di eredità di popoli diversi! Noi siamo figli e figlie! padri, madri e nonne! Frammenti di ieri, oggi e domani! Nuove canzoni parlano a nome dei nuovi giorni! qualche volta con voce solitaria! molto spesso in armonia con altre! La canzoni, insieme ai nostri bambini! saranno l'eredità che abbiamo lasciato: n disco allinea dieci canzoni, molte delle quali trasmettono quell'allegra tensione che pervade i cortei di protesta civile. Ce n'è uno anche nella foto di copertina, datata «Washington, gennaio 1986», dove Peter Paul & Mary fronteggiano i poliziotti davanti all'ambasciata del Sud Africa. Pochi strumenti, tutti classici, esaltano melodie, di ceppo irlandese, adatte al canto corale. Domina la chitarra acustica, che sottolinea la ritmica o, con gli arpeggi, ricama i brani più intensi. Ottimi gli inizi deUe due facciate, «Weave me the Sunshine» con il sorrìso della speranza, «Greenland whale fisheries» melodiosa marcetta dal forte sapore dublinese. Un disco bello, non eccelso, con cui il terzetto riesce a coinvolgere l'ascoltatore. Sembrano migliorati, ma è la buona tecnica di registrazione che porta giovamenti. Peter Paul Si Mary restano un gruppo ge¬ neroso, piacevole, con versi carichi di buone intenzioni ed ideali, ma un po' troppo facili. E' questo un difetto? Forse. Ad esempio, in passato, questa caratteristica li ha fatti poco amare dai nosUi cantautori e dal pubblico italiano più politicizzato. La Terza Era del folk-revival ha già una star acclamata: è Tracy Chapman, ragazzata americana dall'aspetto mascolino, con una corta e cespugliosa pettinatura. In •Tracy Chapman» (Elektra) racconta undici storie di diseredati che invocano con forza cambiamenti radicali. «Sprecando tempo agli uffici di collocamento, aspettando una promozione, la povera gente si ribellerà-, 'Tu hai una macchina veloce, ma è abbastanza veloce per farci volar via?! Dobbiamo prendere una decisione I Partiamo questa notte o viviamo e moriamo così-, ecco alcuni dei suoi versi. Tracy Chapman è una sorta di Tom Waits senza rassegnazione, ma anche più amore, voglia di vivere. Le sue canzoni sono blues vibranti, spesso esaltati dal semplice accompagnamento di una chitarra. Buon disco d'esordio, che nei toni, spesso cu¬ pi, ha un limite. Nell'emozione dei concerti questo effetto non si avverte. Altre due nuove folksinger protagoniste di interessanti Lp sono la trentenne Toni Childs, nata a Los Angeles ma trapiantata a Londra, e Ofra Haza, prima artista israeliana a imporsi sul mercato intemazionale. Prova che il neo folk-revival si allarga oltre i confini americani. Toni Childs con il suo «Union» (A&M) attraversa sogni di libertà con un piglio più rock, con canzoni più farcite di strumenti elettronici. «Don't walk away» e -Zimbabwae» sono i brani più riusciti di un disco registrato negli studi di mezzo mondo, da Londra a Parigi, dalla California allo Swaziland (dove ha coinvolto numerosi artisti locali). Ha trent'anni pure Afra Haza, la stella più luminosa della canzone israeliana che in «Shaday» (Teldec) regala quadretti di vita quotidiana adottando sia la lingua inglese che la ebraica. «Im nin'alu» e «Galbi» sono le sue composizioni più affascinanti, con quelle sorprendenti influenze mediterranee, di cui fa largo uso in un impianto essenzialmente pop. Dobbiamo tornare negli Stati Uniti per trovare la più bella sorpresa di questa ultima generazione di folksinger Michelle Shocked e il suo straordinario «Short, Sharp, Shocked» (Cooking VinyVRicordi). Sulla copertina del disco compare una' vecchia foto dove la si vede maltrattata e quasi strozzata da due poliziotti di San Francisco. Vita di nipple fin da adolescente, spavalda come un punk, impegnata in politica, Michelle Shocked è stata scoperta in mezzo alla campagna del Texas. Accoccolata davanti ad un falò, con la chitarra fra le braccia, questa esile ragazza inventò un concerto di proprie canzoni, avendo come accompagnamento grilli e autocarri di passaggio, il discografico fu talmente affascinato che pubblicò in disco la semplice registrazione fatta con il walkman. In «The Texas campare tapes» la voce di Michelle colpi subito per l'immediatezza e lo straordinario impatto, oltre che per le composizioni eseguite pur con tanta povertà strumentale. La prima prova in sala discografica conferma ed accresce quella prima impressione. L'irrequieta folksinger si sbizzarrisce tra uno swing spettrale («When I grow up»), un country schietto («Hello Hopeville»), un dixie accennato («Giadewater-). L'esito migliore lo raggiunge con un blues («Graffiti Limbo», dove offre una commossa commemorazione di Michael Stewart, «graffitista» di colore ucciso due anni fa dalla polizia di New York) e una toccante ballata («Anchorage»). Aspettiamo ancora un Lp di conferma, ma Michelle Shocked potrebbe essere la Baez degli Anni 90. Alessandro Rosa Dalla copertina dell'ultimo Ip di Peter, Paul & Mary Dalla copertina del disco di Michelle Shocked