Tra zar e soviet iam session vissero anni d'oro

Tra zar e soviet iam session vissero anni d'oro Un album antologico di mezzo secolo testimonia le insospettate fortune del jazz in Russia Tra zar e soviet iam session vissero anni d'oro COME 11 jazz sia arrivato e si sia diffuso in Europa, con differente velocità di penetrazione nelle varie nazioni, è un capitolo minore ma assai interessante della storia di questa musica rivoluzionarla In questo processo di diffusione un ruolo fondamentale è stato giocato dai complessi e musicisti locali, sorti per «imitazione», talvolta con risultati grotteschi ma qualche rara volta con dignità jazzistica. Una casa discografica inglese, la Harlequin, sta dedicando una straordinaria serie di microsolco alla ricostruzione, Stato per Stato, di questa vicenda storica Abbiamo sul giradischi il terzo volume della serie, quello dedicato alla Russia e ne siamo divertiti e stupiti Perché? Per una cosa che non sapevamo, e cioè che 11 jazz è arrivato In Russia prima che da noi in Italia e che ci sono stati molti e buoni complessi locali a partire dal 1910 e anche nel travagliato periodo della post-rivoluzione, specialmente dalla metà degli Anni Trenta in poi. Soltanto con Stalin il Jazz sembra, almeno ufficialmente, scomparire nel nulla «San-Lui, blius» sta scrìtto in caratteri cirìllici sul disco prodotto nel 1943 a Mosca: qualcosa di assai più corretto delle «Tristezze di San Luigi», com'era stato tradotto il celebre «St. Louis Blues» di Handy nell'edizione italiana uscita sotto il fascismo. Ma come suonano questi Armstrong, questi Dodds, questi EHington russi e sovietici? Non in modo autonomo e originale, diciamolo subito, non con grande personalità jazzistica, ma con sorprendente capacità di assimilazione stilistica dei buoni modelli e, guarda guarda, con «swing». Al confronto, le orchestrine tedesche dello stesso periodo sono dure e pesanti, un po' troppo militaresche; quelle italiane sembrano superficiali e hanno, ahimé, assai poca «botness», traducibile come Improvvisazione. In Russia, fino al 1917, sono state frequenti le tournee di musicisti afro-americani, non solo nella capitale Pietroburgo, ma in molte altre città, anche minori. Cosi i russi ascoltarono dal vero già nei 1905 i primi ragtlmes dalla famosissima orchestra americana di John Philip Sousa e negli anni successivi ne produssero e registrarono molti in proprio, insieme a qualche cakewalk, per le varie etichette discografiche che allora erano attive. Uno di questi pezzi, «The Daride's Dream» Inizia in bellezza l'antologia: è datato 1910 ed è suonato da una misteriosa «Orkestr Stella Konsert». Con drastica brutalità, il 1917 e la Rivoluzione fanno chiudere tutti gli studi discografici, i jazzisti russi emigrano in altre parti d'Europa o in America, dove registrano anche dei dischi. Soltanto verso la metà degU Anni 30 riprende l'attività discografica locale (con la fabbrica di Aprelevka — AprilevskU Zavod — vicino a Mosca), ma nel corso degli Anni 20 il governo sovietico aveva sporadicamente invitato orchestre e musicisti americani, come Sidney Bechet nel 1920. Poi, però, più nulla, nessun contatto con 11 jazz americano fino al 19591 Eccoci dunque negli Ami 30, ed ecco II nome del primo jazzista professionista sovietico: il bravissimo pianista Alexander Tsfasman (sembra proprio educato a Harlem), con tanto di grande orchestra al suo comando: ci dà un delizioso «Sweet Sue» datato 1938. Leader della «Leningrad Jazz Orchestra» è Alexel Vladimiro vie Semjonov, trombettista e ottimo solista come si potrà constatare ascoltando la sua «Ljublmaja melodi) a», registrata anch'essa a Leningrado nel 1938 (c'è anche un buon assolo di sax tenore, firmato da un certo Gavrilov). n re del jazz nell'Unione Sovietica fu però per molti decenni Leonid Utyesov, nato a Odessa, attore e intrattenitore (cominciò dipingendosi la faccia di nero come nei minstrel-shows): qui lo ascoltiamo a capo di una grande orchestra che esegue «Moja Ljubimaja», vale a dire la celebre canzonetta americana degli Anni 20 «Nobody's Sweetheart». La seconda guerra mondiale ebbe un effetto promozionale sul jazz, musica ritenuta adatta in Usa come in Urss, a tener su il morale dei combattenti Ogni contingente militare aveva la sua Swing Band: in totale le orchestre jazz erano assai più numerose della bande tradizionali. In assoluto, il miglior disco di jazz prodotto in Russia è ritenuto il già citato «Saint Louis Blues» di Eddie Rosner, del quale riproduciamo la copertina registrato a Mosca nel 1943-44. Fino al 1947 fu concesso alla musica afro-americana di fiorire ed espandersi, ma da quella data al 1953 (morte di Stalin) la guerra fredda congelò anche il jazz In maniera totale, almeno quello pubblico. Nel corso degli Anni 50 il jazz fu di nuovo, gradualmente, tollerato. I programmi Jazz della «Voice of America» giungevano anche in Unione Sovietica- insieme al Be Bop e al Cool rinacque, con il Revival, l'interesse per il Dixieland, n ritomo a una situazione normale fu sanzionato dall'invito a molte orchestre straniere a fare tournée in Urss: tra le altre, fu chiamata anche l'orchestra torinese del trombettista Sergio Farinelli, che riscosse un enorme successo, come grande attenzione dovette avere l'orchestra Jugoslava che conclude l'antologia con un brano registrato a Leningrado nell'agosto 1963: «Kogda ja poshel na Bembashu», cioè «Quando me ne vado a Bembasha». . BeppiZancan