Il ribes, lo Spirito Santo e la televisione: una favola con tanti enigmi di Nico OrengoLorenzo MondoNico Orengo
Il ribes, lo Spirito Santo e la televisione: una favola con tanti enigmi Il nuovo romanzo di Nico Orengo Il ribes, lo Spirito Santo e la televisione: una favola con tanti enigmi LIBRO dopo libro, con l'aria svagata di chi si trova a passare per caso, Nico Orengo ha finito per crearsi un habitat ideale che ora ci accade di associare immediatamente al suo nome. Si è fatto cioè accreditato cantore — in poesia e in prosa — della Liguria di Ponente nei suoi termini estremi, vicina a quella Francia con cui è tentata di scambiare colorì e suoni. Accade anche in Ribes, un romanzo dove per una volta non c'è il mare, ma il solo entroterra montano che Orengo ama esplorare — con virtù di «promeneur solitaire» — nei suoi ammali, fiorì e piante, con golosa attenzione alla sapida cucina paesana. La sua scrittura, stando alle prove ultime, è proprio caratterizzata da questa resa nitida della realtà che — nelle suggestioni da rustico almanacco — riesce a convivere con la favola e quasi a sprigionarla. Soltanto che prima, da Miramare a Dogana d'amore, si trattava di un mondo abbastanza conchiuso, di facile calibratura simbolica, mentre ora, nel paese di Acquadolce, irrompe il mondo esterno con la maggior deflagrazione possibile in tempo di pace: l'impianto di una televisione privata che trasforma le abitudini e i comportamenti degli abitanti. E' una frenesia che mette in movimento vanità, illusioni e cupidigie, coinvolge insieme con la gente minuta affaristi e politici, non si arresta neanche sulla soglia delle chiese. Si accende anzi ura gara con la vicina Pigna, che pensa di fare leva sugli antichi affreschi di San Michele per sbancare una rupe e costruire al suo posto un santuario, meta di pellegrini e turisti. Questo è il quadro, dentro il quale si agitano figure e figurine (proprio in senso faldelliano) trascinate in un balletto vorticoso che ha il suo centro ideale nel vecchio don Lercari. Burbero e testardo, dal suo letto di dolore (ha un femore rotto) muove una guerra perdente a quei di Pigna che si credono i soli detentori di un Cristo del Canavesio; ma anche alla tv che arriva a fargli concorrenza esibendo sul piccolo schermo confessioni impudiche. Dalle une e dalle altre confessioni vengono fuori storie comiche ma anche crudeli, disperate, da confortare l'opinione di Trepianti, il refrattario coltivatore di fiori che è l'alleato laico di Lercari: 'Scrivere è il male minore che si possa fare al mondo». La realtà di un piccolo universo pettegolo; avido, spietato sembra allora sfondare il telone della favola, che però manifesta inattese risorse. Penso al colombo bianco che don Lercari identifica ingenuamente con lo Spirito Santo. Abitava in una nicchia dentro la chiesa e i suoi 'raggi illuminavano in obliqua traiettoria l'aitar maggiore': un'ambigua rappresentazione che suggerisce la metamorfosi in tiepide piume di un dipinto o di un bassorilievo. Buona parte del romanzo gira intomo al misterioso rapimento dello Spirito Santo, che alla fine vola sul lago ghiacciato, dove il prete sta sprofondando, annunciandogli la salvezza (che arriverà ad opera di un cane cieco), n tutto in un'aria di ex voto naif, propiziata lungo l'intero romanzo da uno sbattere di all, da un nevicare di piume. Un altro segno forte, ed enigmatico, è quello del ribes che dà titolo al libro. Vediamo di precisarne le ricorrenze. Macchiata di ribes è la siepe che cinge la casa del fratello di don Lercari, dove si sono svolte torbide vicende. Richiama i chicchi di ribes il sangue rappreso dopo un'esecuzione di stampo mafioso; ma anche quello che scende dal costato del Cristo dipinto nella parrocchiale. E il colombo splendente porta nel becco un ramoscello di ribes, posandosi sulla finestra di don Lercari, per chiedere pace e re- • missione (rammenta il colombo dell'arca che torna con l'ulivo dalla terra diluviata). □ frutto sembra alludere a una vitalità esuberante, infetta, ma anche cristallina e sacrificale, aspra e insieme aromatica. Sono indicazioni che non vanno gravate di troppa responsabilità, come consiglia il temperamento «leggero» di Nico Orengo. Che è incline a rifugiarsi nella pelle amabile delle cose, che conosce le punte dell'inquietudine ma è pronto a rimuoverle allo stesso modo che si allontana, con una scossa del capo, un ciuffo molesto. Che è portato a sorrìdere e, come riesce alla One lo stesso don Lercari, a sorrìdersi addosso (-Ne ho abbastanza /.../ di me'). Capace di capri fileggiare, mimando nei suoi capitoletti veloci gli spot della tv, questa volgare, ingombrante sirena. Lorenzo Mondo Nico Orengo, «Ribes», Einaudi, 226 pagine; 24.000 lire. Morioni: «Donna che si lava», part.
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