Ma la nemica non è la tv

Ma la nemica non è la tv Parliamone Ma la nemica non è la tv Quel che non si può certo rimproverare ad Alberto Moravia è una sorta di chiarezza didascalica. Nella sua attività pubblicistica, le grandi questioni (la tradizione e il moderno, il progresso e il regresso, insomma il bene e il male) vengono sempre delincate con un vigore espositivo che lascia il lettore rassicurato, perché gli sembra di aver acquisito qualche certezza in più. Sull'ultimo numero di «Nuovi argomenti», Moravia condensa in quattro domande, che sono poi altrettante affermazioni, tutto il male che si può dire del mezzo televisivo, e Io sottopone alla riflessione di una trentina di scrittori. Sono accuse peraltro ben note: Io strapotere di immagini «povere e sommarie», condite di chiacchiere ancor più povere e sommarie, finisce per rafforzare il conformismo delle masse, e per ridurre l'italiano a un sottolinguaggio di cento parole; la tv appiattisce la vita a spettacolo; la tv ha sostituito la scuola, la famiglia e la Chiesa del ruolo di padre e di educatore, senza averne le competenze. * * Sono temi enormi, che si dovrebbe poter cominciare a discutere sulla base di qualche indagine concreta, di qualche studio sul campo, ma son ricerche troppo complesse e costose, e cosi si continua ad andare avanti a braccio. Gli scrittori, peraltro, provano a introdurre qualche distinguo. Bufalino osserva che, essendo la vita stessa spettacolo, il video non può esimersi dal diventare esso pure «palcoscenico e gogna». Per Celati la vera falsità è quella dell'immensa recita collettiva ad di fuori dei teleschermi, ed è pia illusione pensare di poter vedere le cose dal di fuori e indicare agli altri via d'uscita. Fortini dice che si può fare ottima poesia con poche parole, e che la forza di una lingua non sta nella ricchezza lessicale ma nella energia della sintassi. Per Luzi non esiste un linguaggio specifico della tv. Secondo Orengo, è la povertà dello stile e del linguaggio a rendere uniforme la tv. Di questo, dunque, si discuterà nelle prossime settimane, a partire dall'intervento di Beniamino Placido che su «La Repubblica» ha accusato gli scrittori di parlare bene e di razzolare male, cioè di parlar male della tv ma di correre in tv ogni volta che li chiamano; e di comportarsi da «madonne addolorate», in perpetuo lamento. Siano qui consentite almeno tre osservazioni. Si può parlare di spettacolo come di un valore hegativo? Un vero spettacolo significa ritmo interno, intreccio, giusto rapporto tra gesto e parola, impatto emotivo e perché no, stimolo culturale: insomma, alta professionalità. Di un vero, grande spettacolo si può utilizzare molto, se non tutto. I guai cominciano quando si confonde lo spettacolo con la rissa da taverna, con il sussiego o con la noia. Di qualche bravo professionista dello spettacolo avrebbero bisogno, per esempio, le trasmissioni dei premi letterari: con le quali, se non fossero mandate in onda all'una di notte, si rischiano di perdere 10.000 lettori ogni volta. * * Replicando a Placido, Moravia ci invita a pensare cosa sarebbe — per overdose di tv — una letteratura simile alla televisione. Ma buona parte della narrativa d'oggi è già largamente televisiva (senza essere spettacolare): non cerca di realizzare i suoi compiti istituzionali, cioè la ricognizione di territori inesplorati, ma mira semplicemente agli indici d'ascolto, utilizzando ogni trucco, ogni ammicco possibile, sempre con l'occhio ai grandi maestri pasticceri americani. Infine: temo non sia soltanto la tv a involgarire il mondo, ad attizzare il conformismo e l'appiattimento dei linguaggi. Ogni bruito libro, e ce ne sono troppi, fa la sua parte. Ogni intervento critico corrivo o superficiale, ogni silenzio doloso aggiunge qualcosa alla confusione e al degrado. Se per dannata ipotesi la letteratura dovesse un giorno defungere, non sarà colpa della tv: sarà colpa degli scrittori, della loro incapacità di esprimere quel che solo la vera letteratura riesce a dire, in barba a qualsiasi tv. Ernesto Ferrerò

Persone citate: Alberto Moravia, Beniamino Placido, Bufalino, Celati, Ernesto Ferrerò, Luzi, Moravia, Orengo