Mille lire per mille sogni

Mille lire per mille sogni La vita quotidiana dell'Italia fascista raccontata da Vene Mille lire per mille sogni TUTTA l'era fascista ora per ora, oggetto per oggetto, fatica per fatica. Personaggi e interpreti della vita quotidiana: scene, costumi, trucchi, retroscena e suggeritori. Mille lire al mese. Grande spettacolo, a recitare è un popolo: capi, pseudocapi e gente. Voce narrante Gian Franco Vene, giornalista d'oggi. S'inizia, anzi si parte da Milano per Roma, la sera del 29 ottobre 1922, col direttissimo numero 17. Treno diversamente fatale per due uomini: il passeggero Benito Mussolini, incaricato dal re di formare il nuovo governo, e il capomacchinista in camicia nera e medagliere, che partirà due minuti in anticipo sull'orario, nonostante la pioggia furiosa, ma non saprà ottenere -l'alto onore di scortare il duce- fino alla meta Scenderà, se¬ condo regolamento, a Pisa, dove lo lasciamo uscire dalla Storia mentre il suo ignaro eroe dorme profondamente. Altro ci attende: siepi di gagliardetti e labari con ricamato il motto -me ne frego', gambali da caccia, bastoni, panciotti slacciati, mantelline militari, bretelle, pagliette, cappelli da buttero, berretti da ardito oda pastore sardo. «7 fascisti della vigilia, nell'insieme, sembravano sempre reduci dall'aver saccheggiato un fondo di magazzino: Non avevano inventato loro l'accusa di -antitaliani' per chi non esponeva il tricolore, ma ne fecero largo uso. L'i Rinascente consigliava un tipo -in pura stamigna di lana-, particolarmente adatto -per balconi e finestre d'abitazione privata': due metri di bandiera, 55 lire (il capomacchinista ne guadagnava 350 al mese). Per rispanni are le 15 lire dell'asta si appendeva il drappo alla ringhiera. Certo erano più le bandiere delle stanze da bagno: -Nel 1931, un censi¬ mento nei capoluoghi rivelò che su cento appartamenti 88 non disponevano ài un angolo'dovè assolve- " re igienicamente alle impellenze fisiologiche'. Gruppi di famiglia a turno occupavano gli stanzini ricavati sui ballatoi, con gabinetti alla turca o più spartani ancora: -Il wc era un miraggio sconsiderato, riservato alle case davvero signorili. Che la tazza fosse un lusso si capiva subito dall'aspetto: era di maiolica a fiorì'. Ai quasi ricchi la pubblicità offriva una •elegante latrina inodore, da camera- a 85 lire, poco meno della paga settimanaie di un operaio. Nelle periferie e nelle campagne, meglio gli spazi aperti, magari l'orto, prima che albeggiasse. Per fugare la paura del buio, il primo testo di lettura alle scuole elementari consigliava: «Se dal bosco esce la fiera/Dille: Son camicia nera!: Si diceva: sporco come un carbonaio, uno spazzino, un operaio. Eppure erano meno sporchi degli altri: -Più il lavoro insudi¬ ciava, più si trovava la forza per troncare i vincoli pratici che legavano la stragrande maggioranza della popolazione alla poca igiene: I maschi si lavavano in cucina. Raramente nei giorni di lavoro si facevano la barba il mattino; rinviavano l'operazione alla sera, quando nei fornelli era rimasta un po' di brace per l'acqua calda Problema assai aggravato dal freddo assassino delle case nelle mattine d'inverno. I geloni erano i più fedeli e feroci compagni di stagione. Si dormiva con i mutandoti! di lana addosso. Ci si rivestiva sotto le coperte con inauditi contorsionismi. Per avere un po' d'acqua tiepida si svuotavano nella bacinella gli scaldapiedi riempiti la sera prima e portati a letto. Splendida di ottoni e di nichel, la cucina economica apparve all'orizzonte, irraggiungibile: costava mille lire, più di un ottimo stipendio d'impiegato. Era già una pazzia il ferro da stiro elettrico, 60 lire, quasi il mensile della serva, che se rientrava tardi dalla spesa poteva buscare qualche schiaffo dalla padrona, però* tra,'ptìcD si sarebbe ' chiamata «domestica». Si cantava 'Voglio vivere cosi/col sole in fronte/e beatamente", oppure 'Si va sulla montagna/dove la neve il sol riscalderà: Ai ragazzi si chiedeva subito: «Hai già fatto il tifo?-. Gli scarafaggi passeggiavano sotto l'acquaio. La signore si concedevano la saponetta Vise t o Pai molive, o le calze leggere con la riga, mentre furoreggiava: «A chi piaccion gli occhi neri! a chi piaccion gli occhi blu:/ ma le gambe, ma le gambe i a me piacciono di più». I signori passavano dal colletto duro a quello floscio attaccato alla camicia; taluni portavano ghette e canna di bambù. Ambulanti, specie immigrati cinesi, offrivano cravatte divenute d'obbligo in ufficio: 'Una lila le clavatte: Gli impiegati nascondevano toppe e rammendi sotto l'abito, nella biancheria; gli operai li esibivano su maglie, camicie e pantaloni L'autarchia brevettava la salpa, 'Cuoio rigenerato», e la lanital dalla caseina del latte. Ecco gli zoccoli e il Sabato fascista, la miseria e il saluto romano, la rivincita dei ciabattini per salvare tomaie giunte al limite estremo e quella dei contaclini, prima disprezzati, poi arbitri pereritori del raercato nero. Ecco la radiò, le macchine per cucire Necchi o Singer, il mito dei cento all'ora, le acrobazie economiche dell'impiegato di rango. Fino al brusco risveglio: sempre più restrizioni e corruzione, divieto di ballare anche in casa, canti di guerra, rifugi, ferocie. Oggetto per oggetto, fatica per fatica, lira per lira, Vene conduce sulla vita quotidiana dell'Italia fascista una precisa inchiesta e l'offre con vivace ironia come uno strumento in più per capire la storia Un bel complemento ai nuovi libri di Miriam Mafai (Pane nero), Cesare Marchi (Quando eravamo povera gente) e Gaia Servadio (Un'infanzia diversa), dei quali Tuttolibri ha parlato. Seduce sempre la sirena della nostalgia Alberto Sinigaglia Gian Franco Vene, «Mille lire al mese», Mondadori, 299 pagine, 23.000 lire.

Luoghi citati: Italia, Milano, Pisa, Roma