E il Novecento, afflitto dai suoi mali, dimenticò Mefistofele di Carlo Carena

E il Novecento, afflitto dai suoi mali, dimenticò Mefistofele Come la cultura occidentale ha rappresentato il diavolo: si conclude la ricerca dell'americano Russell E il Novecento, afflitto dai suoi mali, dimenticò Mefistofele IL diavolo nel mondo moderno, séguito de II diavolo nel Medioevo, continua le ricerche di Jeffrey R. Russell su usa figura essenzialmente cultura- ' le, anzi essenzialmente letteraria. È' in sostanza la rassegna della rappresentazione del diavolo nella cultura è soprattutto nelle letterature occidentali, dalla Riforma ai nostri giorni. (Si nota solo, verso la fine," qualche irruzione musicale, nessuna. iconografica). Come in molti libri di questo tipo, ci si muove sull'equilibrio precario della definizione del protagonista, e il capitolo più debole risulta quello iniziale sul problema del Male e sulla sua equazione col diavolo. Con tutta la buona volontà, il professore americano non riesce certo a sbrogliare il nodo gordiano del Male metafisico, su cui si sono abbattute ben altre tempre di pensatori. Accenna ai problemi, ma finisce in vecchi dilemmi come quello che «se Dio esiste egli in ultima analisi è il responsabile del male naturale», ovvero in una riproposizione altrettanto semplice o semplicistica ■dell'intero problema gnoseologico. Abbandonati però poi i temi dell'esistenza o meno del Male, l'autore si volge alla sua storia nella figura del diavolo, ossia ai vari modi di conoscerlo e di rappresentarlo, che sono anche, dice, i modi migliori di definirlo; una storia non del diavolo in sé, che sarebbe francamente impossibile anche perché non esiste una sua Scrittura, ma del fenomeno, del concetto, mutevole nel tempo: ora un principio anch'esso assoluto, ora un aspetto dello stesso divino, ora una creatura decaduta, ora un simbolo astratto. Ed ecco questa storia: il diavolo della Riforma, favorito dall'individualismo protestantistico e dall'introspezione controriformistica, protagonista di una lotta interiore che fu «tutta la vita» di Martin Lutero e delle rappresentazioni, protagonista di una lotta interiore che fu «tutta la vita» di Martin Lutero e delle rappresentazioni drammatiche di Marlowe, l'inventore letterario del dottor Faust, e di Shakespeare, creatore, se non di demoni, di spiriti demoniaci e di sublimi scontri col male. Non per nulla questo è anche il momento culminante delle streghe e dei maghi, che tuttavia entrano marginalmente nell'idea e con poco spazio nel libro. I due secoli successivi vedono l'ultima grande raffigurazione e il massimo omaggio al diavolo nel Paradiso perduto di Milton, assieme all'inizio, in una la crisi del cristianesimo, del logoramento del suo concetto col razionalismo. Il diavolo si fa Mefistofele; perso il supporto per lui prezioso della teologia e della metafisica, si svuota e diventa un'immagine, addirittura un personaggio e un espediente artistico. Sarà ancora alimentato solo per un po' dall'immaginazione romantica grazie ai suoi aspetti orrifici o viceversa umoristici, e grazie ad uno spostamento di prospettiva, per cui il male diventa bene e Satana un Prometeo, il ribelle positivo e infelice, ii redentore rivoluzionario e incatenato, la forza perseguitata della libertà e del progresso. Niente più sistemazione razionale del concetto del male, ma, quando non si entri nel romanzo gotico o nell'ironia di Gautier che ne fanno uno spettro o un dandy, le equazióni a due facce del divino-demoniaco di Blake, di Byron, di Shelley, di Swinburne; la positività della ribellione dell'Angelo nella prospettiva dell'amore e della libertà in Hugo; il complesso e contrastante satanismo di Baudelaire. In questo fitto quadro, e mentre sotto gli assalti del darwinismo, del marxismo, poi del nichilismo nietzschiano e della psicanalisi freudiana, il cristianesimo «capitola» e si ritira in disordine» abbandonando via via le proprie dottrine, e in prima fila la credenza del diavolo, per tornare, in teologia, al simbolo nel «frenetico tentativo di "placare" il materia¬ lismo — come i siberiani che gettavano dalle slitte i propri bambini ai lupi, per placarli», un capitolo in sé merita ovviamente Dostoevskij e quel'a che fu «la visione cristiana del mondo più profonda nella sua epoca», impregnata d'un'acuta intelligenza del male e pur superata dalla speranza e dalla certezza della grazia salvifica. Il Novecento affievolisce persino questa speranza. La mostruosità e la vacuità dei suoi cataclismi e delle sue prospettive tolgono persino un senso alla sofferenza, e il diavolo continua paradossalmente a declinare col crescere dell'azione del male radicale. Il Maligno, o il Male, non si ripresenta che in qualche romanzo, di C. S. Lewis, il più tradizionalista,-di Bernanos, il più esistenziale, di Mann, il più sfaccettato. L'utilità della rassegna di Jeffrey B. Russell è indubbia, e così quella delle sue diffuse analisi e dei pazienti tentativi dì chiarire ogni volta intenzioni e significati. Russell ha anch'egli, come si può pur capire da.questi nostri accenni, 1 suoi demoni da esorcizzare, e, come tutti noi, le sue cadute: sì può mai dire (p. 168) che René (di Chateubriand) è il «modello di una lunga serie di scellerati della letteratura francese»? si può coltivare il vezzo, diciamo così, di scrivere (p. 75, 185) che MUton «sembra sia stato educato da buon protestante» o «non è chiaro se Lautréamont fosse matto»') o chiamare Adolphe (p. 150) il nostro caro Charles Pierre Péguy? Qualche altra pecca è più probabilmente della traduzione e della tipografia che dell'originale; ma è da supporre tutta dell'autore la responsabilità di «iniziare il racconto in medias res» (p. 76: cfr. Orazio, Ars poetica 148 seg.: Omero «in medias res... auditorem rapit-). Carlo Carena JefTrcy B. Russell, «Il diavolo nel moderno», traduzione di Fernando Cezzi, Laterza, 347 pagine, 38.000 lire. Foto di Marco Torello (da «Torino, il diavolo e altre cose», ed. Friuli e Verlucca)

Luoghi citati: Friuli, Torino