Nell'autunno del jazz aleggia un profumo di donna

Nell'autunno del jazz aleggia un profumo di donna Molte presenze femminili fra le novità discografiche Nell'autunno del jazz aleggia un profumo di donna IN generale, le case discografiche hanno initlato la nuova stagione abbastanza bene, puntando finalmente più sulla qualità che sulla quantità. Qualcuna ha già licenziato degli album pregievoli e destinati a durare a lungo: Di passaggio (non fa più nemmeno notizia) registriamo la consueta vittoria a man bassa dell'italiano Giovanni Bonandrint, eletto miglior produttore discografico di jazz dell'anno dai critici americani. Anche le sue etichette, la Black Saint e la Soul Note, hanno vinto nel rispettivo settore. E proprio la Soul Note ha fatto il primo centro con Etudes, uno stupendo disco realizzato in trio da Qeri Alien al pianoforte, Charlie Haden al contrabbasso e Paul Motian alla batteria. La registrazione è avvenuta giusto un anno fa a New York. Col suo apporto prezioso soprattutto sui temi lenti (che sono cinque su nove, tra cui il 'maledetto» Lonely woman di Ometta Coleman) aeri Alien conferma definitivamente di essere la pianista emergente della seconda metà degli Anni Ottanta. Trentenne, nata e cresciuta a Detroit, allieva del mingusìano Marcus Belgrave, vive ora a Brooklyn e ha la fortuna di essere molto bella. Nel suo stile si riconoscono le tracce di Bud Powett, di Lennie Tristano e quelle più marcate e recenti di Paul Bley, ma la visione d'assieme è personale, o perlomeno è sulla buona via per diventarlo. Il tocco e la qualità del suono, deliziosamente femminile, vengono esaltati dal dialogo coi due assi che collaborano con lei. La Verve ha puntato con immediato successo su due cantanti, Ella Fitzgerald (la Rome: the 40th birthdai concert) e Betty Carter (Look wkat I got). Il disco della Fitzgerald, negli Stati Uniti, è in testa alle classifiche di vendita, e si spiega. Il contenuto, come dice il titolo, è un concerto romano di trentanni fa, la cui data ha coinciso col compleanno di Ella che cade il 25 aprile. L'ascolto provoca insieme ammirazione e nostalgia: la classe, la nonchalance, l'incanto di quella voce sono incredibili, ma danno anche la misura impietosa degl'insulti che il tempo le ha infilato da allora ad oggi, dei quali talvolta non ci accorgiamo. Quanto a Betty Carter, Look what I got documenta bene Usuo nuovo corso: la «voce del bebob», come viene chiamata per un riconoscimento tardivo, predilige adesso il registrò medio e gioca su anticipi e ritardi sapienti e su sfumature magistrali. La corsa alle ultime incisioni e alle riedizioni di Gii Evans si arricchisce di tre pubblicazioni: il plastico Fare well della Electric Bird, nel quale l'orchestra, incisa ancora una volta allo Sweet Basii di New York, sembra a portata di mano nella sua fisicità e nel suo tipico, inimitabile ordine disordinato; il vecchio Gii Evans and Ten della Prestige, ripescato dall'autunno del 1957, e Paris blues del duo Gii Evans-Steve Lacy (Owl Records) che con le sue date di registrazione (30novembre-l dicembre 1987, a Parigi) potrebbe essere l'ultimo della vita di Evans. Si noti che, per una curiosa coincidenza, Steve Lacy è presente in primo piano anche nell'album della Prestige. Oli spettatori che nella scorsa estate hanno potuto applaudire in concerto lo straordinario trio di Michel Petrucciani con Oary Peacock al contrabbasso e Boy alla batteria hanno ora a disposizione il bel Play s della Blue Note. I brani migliori sono i primi cinque, eseguiti dal trio appena citato, mentre negli ultimi quattro subentrano Eddie Qomez e Al Poster che abbassano lievemente il tono. Discutibile anche l'apporto (in due soli titoli) del chitarrista John Aber, crombie e (nella Brazilian Sulte) del percussionista Steve Thomion. In altre parole, Petrucciani sta bene con Peacock e con Haynes, e si spera che il sodalizio possa durare a lungo. C'è infine l'interessantissimo disco di un italiano, il sassofonista tenore e soprano Claudio Fasoli. Si chiama Egotrip perché il protagonista è solo col suol strumenti, e lo pubblica la Splasc(h). Fasoli ci pensava da tempo (i suoi primi voli solitari risalgono al 1981) ma, con l'intelligenza che lo distingue, temeva che l'impresa potesse riuscire noiosa all'ascolto. E così (sono parole sue) ha avuto cura di congegnare l'intero exploit 'Contro la noia: Ha composto quattordici pezzi brevi ben differenziati fra di loro e ha compe-tsato le naturali carenze armoniche accentuando i tratti colorostici e sottolinendo il senso di emancipazione creativa e di dilatazione spaziale che pervade le esecuzioni: per questo è ricorso anche a sovrapposizioni della voce, del pianoforte, a due tipi di eco e a un riverbero. Franco Fayenz

Luoghi citati: Detroit, New York, Parigi, Stati Uniti